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Politica e temi sociali guidano la New Museum Triennial 2018

Paul Laster

La quarta edizione della New Museum Triennial sceglie di raccontare i malesseri del mondo attraverso una nuova generazione di artisti, che vivono i problemi sulla propria pelle.

Nel tentativo di indicare una nuova generazione di artisti, la quarta edizione della New Museum Triennial, che si intitola ‘Songs for Sabotage‘, presenta opere in un’ampia varietà di media eseguite da 26 artisti e collettivi emergenti, che provengono da 19 paesi diversi. Tematicamente focalizzata su lavori che esaminano il clima sociale e politico dei differenti contesti geografici da cui gli artisti provengono, la mostra evidenzia questioni che, alla fine, toccano tutti da vicino.

La mostra, che ha richiesto due anni e mezzo di viaggi e ricerca, è stata organizzata da un curatrice del New Museum, Gary Carrion-Murayari e da Alex Gartenfeld, vice direttore e capo curatore del Miami’s Institute of Contemporary Art. L’80% delle opere sono state commissionate specificamente per la mostra, e per molti degli artisti invitati questa è stata sia la prima mostra in un museo, sia la prima opportunità di esporre a New York.

“Questi artisti sono voci nuove, ma stanno affrontando problemi molto vecchi. Problemi come la dolorosa e persistente eredità del colonialismo, la negazione storica delle vittime della violenza di stato, o le inveterate forme di razzismo istituzionale che infestano il modo in cui gli individui vivono e lavorano” ha dichiarato Carrion-Murayari durante l’anteprima. “Tutte queste strutture combinate insieme contribuiscono a rendere precaria la posizione nel mondo di questa generazione di giovani artisti”.

Attraverso un gruppo di ceramiche iscritte e dipinte la scultrice peruviana Daniela Ortiz propone di sostituire i monumenti a Cristoforo Colombo presenti nel mondo con quelli di personalità che rendano omaggio alle vittime femminili delle crisi migratorie; mentre lo scultore sudafricano Haroon Gunn-Salie ha creato un’installazione composta da figure nere acefale con l’intenzione di commemorare i minatori scioperanti che nel 2012, nel suo paese, sono stati massacrati dalle forze governative di sicurezza.

Zhenya Machneva, artista russa, fabbrica arazzi che rappresentano paesaggi industriali e nature morte ispirate dai ruderi architettonici dell’ex Unione Sovietica. Tessendo a mano le sue opere, Machneva avanza un confronto tra l’improduttività delle industrie russe morenti e il proprio paziente lavoro artigiano, che l’artista vede anche come una forma di resistenza all’attuale digitalizzazione dell’arte.

Il collettivo greco KERNEL indaga il concetto di lavoro e presenta un scultura installativa formata da bancali d’alluminio impilati e fasce di guaine per cavi poste sopra di essi. A lati dei bancali si trovano forme organiche ricavate da resina rivestita di rame che ricordano i gusci dei cirripedi, che si attaccano agli scogli o alle chiglie delle navi. L’istallazione alluderebbe proprio alle nuove rotte delle navi mercantili.

Matthew Angelo Harriso, artista di Detroit, affronta le politiche di produzione di massa criticando il modo in cui, nella sua città, sono rappresentate le persone di colore. E lo fa attraverso un installazione altamente tecnologica di sculture rituali Africane e teschi di animali che echeggia la cultura automobilistica. Allo stesso modo Julia Phillips, metà tedesca e metà statunitense, produce oggetti di ceramica che esplorano le interazioni psicologiche e sociali con il nostro corpo creando strumenti immaginari capaci di produrre sia dolore che piacere e schemi per l’esame e la manipolazione del corpo umano. Phillips interrgoga così le strutture di potere relative alla dominazione e alla sottomissione.

Per ciò che concerne le opere audiovisive, un altro artista greco, Manolis D. Lemos, propone un video di musica anarchica che affronta la relazione tra l’austerità e la crescita dei nazionalismi attraverso la messa in scena del caos. Herdeep Pandhal, artista britannico di origine Sikh che attualmente vive a Glasgow, ha creato un cartone animato che usa un elefante, un pollo, una tartaruga e un albero per criticare le norme culturali e le scorrettezze politiche del suo paese.

L’edizione 2018 della New Museum Triennial include ovviamente anche molta pittura. Janiva Ellis, da Los Angeles, costruisce allegorie sul razzismo che incrociano storie bibliche e cartoni animati. L’artista messicano Manuel Solano cerca di andare oltre la cecità che lo ha colpito dopo aver contratto una malattia connessa all’AIDS dipingendo con le dita ritratti di persone che ricorda. L’haitinano Tomm El-Saleh crea ipnotiche astrazioni che evocano stati di trance mentale, propri della cultura Vodou, nella quale l’artista affonda le radici. Gresham Tapiwa Nyaude, dello Zimbabwe, miscela l’iconografia del travestimento con scene da propaganda bellica e vecchi proverbi tribali per esprimere il proprio punto di vista sui poteri autoritari.

“Il titolo della mostra, Songs for Sabotage, è un paradosso – le canzoni fanno rumore, mentre il sabitaggio è silenzioso” ha commentato Gartenfeld durante l’apertura della mostra. “In questo momento storico, in cui la comunicazione è pervasiva – e più sei rumoroso, e più ti devi nascondere – l’arte affronta questioni cardinali riguardo a chi e come intendiamo comunicare. Il titolo è emerso dal pensiero che un’arte politicamente coinvolta deve riferirsi alla natura dominante delle immagini di oggi”.

June 22, 2021