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Arte come collaterale

Piero Bisello

Il prossimo 17 luglio a Londra Christie’s e Vastari ospitano un summit su come la blockchain può essere applicata al mondo dell’arte. Siete pronti a cambiare l’idea che avete di proprietà di un’opera?

C’è qualcosa di molto interessante nel comunicato con cui Christie’s e Vastari hanno annunciato il simposio che si terrà a Londra il prossimo 17 luglio e che avrà come tema il futuro del rapporto tra blockchain e arte (titolo: Exploring Blockchain). Gli organizzatori si chiedo infatti se il mondo dell’arte sia effettivamente pronto a mettersi d’accordo sull’argomento; già, perché per un mondo così eterogeneo e opaco come quello dell’arte cercare di accordarsi su qualcosa è in sé una chimera. Qui, si sa, più che le regole contano le eccezioni.

Ma c’è senz’altro ragione di porre la questione, e la blockchain potrebbe diventare il più ampio accordo mai raggiunto in questo settore o, almeno, nel suo mercato. Più nel dettaglio, la questione che gli operatori hanno bisogno di porsi è infatti se il mercato dell’arte effettivamente possa trovare uno standard condiviso riguardo a una singola tecnologia che, dal conto suo, promette grandi opportunità di miglioramento per tutti gli attori scena. E il fatto stesso che un’agenzia come Christie’s abbia deciso di sostenere pubblicamente l’iniziativa di Vastari fa capire che forse qualcuno ha già scommesso che l’accordo sulla blockchain alla fine si troverà, e questa è certo una buona notizia per il sistema.

Ma perché sulla blockchain è così importante creare consenso? Dopotutto molte delle più importanti invenzioni della storia si sono sviluppate organicamente, senza che nessun ne calasse dall’alto le regole d’impiego, o che si dovessero organizzare convegni o eventi promozionali per sostenerne la diffusione. Non hanno avuto bisogno di questi sforzi l’aratro, la macchina vapore, e nemmeno internet è cresciuta in forza di quel genere di accordi che la blockchain sta richiedendo per affermarsi. Le tecnologie si sono sempre diffuse dal basso, in ragione di un’intrinseca efficienza. Ma perché questo non avviene nel caso della blockchain?

Probabilmente, almeno per quanto riguarda il mondo dell’arte, questo non avviene perché ci sono limiti tecnici superabili solo a condizione che gli attori principali sulla scena convergano su standard condivisi. Solo loro possono permettere a questa tecnologia di attecchire e crescere, e per capirlo basta guardare a quelli che si dice siano i principali vantaggi.

La prima grande promessa è che questa tecnologia potrebbe far superare i molti problemi ancora non risolti riguardo all’autenticazione e alla tracciabilità delle opere d’arte. Immaginiamo, per esempio, che un dipinto costi dieci lire e sia stato eseguito dal signor Pincopallino ma che qualcuno prenda un dipinto del signor Perdigiorno che costa 5 lire e lo spacci per un Pincopallino che vale il doppio. Dato che si tratta di un database impenetrabile e perfettamente sicuro, la blockchain promette che quando le informazioni riguardo a un certo dipinto (o altra opera d’arte) sono immesse correttamente nel database queste non sono più alterabili, e quindi diventa facile smascherare frodi come quella che abbiamo descritto. Quindi, almeno in linea teorica, se un lavoro è ‘registrato’ su blockchain non è più possibile farlo passare per quello che non è – e quello che non è, d’altra parte, non può ‘ingannare’ le informazioni riportate nella blockchain.

A questo punto va però notato che: 1) la promessa è basata su uno scenario futuro tutt’altro che certo; 2) la promessa parte da un assunto piuttosto problematico. Infatti, perché la promessa possa essere rispettata non solo servirebbe che esistesse un’unica blockchain (e dunque un unico standard), ma servirebbe anche che i dati di moltissime opere d’arte, se non tutte, fossero raccolte in questo unico contenitore. Se si vuole superare il problema della tracciabilità, allora il database non può essere frammentato, o parcellizzato. Il che è possibile in via teorica, ma alquanto improbabile se si considera che attualmente non esistono standard universalmente condivisi nemmeno riguardo alla schedatura delle opere, la cui natura materiale è, per altro, costantemente in evoluzione. L’opera ‘vive’ nel tempo. Il coinvolgimento di istituzioni fondamentali come Christie’s è senz’altro un segnale importante, ma altre agenzie di simile peso specifico dovrebbero aggiungersi, ed ecco dunque il problema di generare accordo tra queste.

I più ottimisti sono propensi a credere che le informazione fornite saranno attendibili, e magari danno per scontato che quanto detto dal database aderisce perfettamente allo stato di fatto. Ma di fatto la blockchain in sé non può dare alcuna garanzia a riguardo. Si può avere il più impenetrabile dei database, ma nulla ci dice che le informazioni poi siano completamente attendibili o, addirittura, non siano fraudolente. Per chiarire questo punto qualche tempo fa un tizio si è registrato su una blockchain come l’autore della Monnalisa, e nessuno ha avuto nulla da obiettare. Programmare una blockchain senza validare le informazioni che contiene sarebbe come costruire un caveau per custodire diamanti falsi. Il problema, di nuovo, si può superare solo se un’autorità riconosciuta garantisce che i diamanti sono veri e che le informazioni caricate a loro riguardo sono assolutamente corrette. La reputazione dell’autorità di garanzia è quindi il vero nodo da superare, non la tecnologia in sé. Questa autorità dovrebbe poi assumersi la responsabilità dell’autenticazione e della tracciabilità dell’opera anche nei confronti del mercato, e di tutti gli eventuali passaggi di proprietà, anche garantendo nel tempo la perfetta rispondenza tra l’opera – che potrebbe avere mutamenti di stato, anche significativi –, e le informazioni contenute nel database.

La seconda grande promessa della blockchain riguarda la possibilità di trasformare in moneta un certo sottostante, che in questo caso sarebbe arte invece che oro. Ogni moneta, che in gergo si chiama ‘token’ (gettone), rappresenterebbe il valore di una data opera, o frazione di essa, oppure quello di un’intera collezione. Questa moneta potrebbe poi essere scambiata, come qualsiasi altra crypto-valuta, permettendo così di monetizzare frazioni di valore, altrimenti non parcellizzabile. Ma anche in questo caso si dovrebbero superare problemi che sono intrinsechi al sistema dell’arte, problemi che la blockchain non può risolvere per magia. Del resto, anche i fondi d’arte grazie ai quali, in teoria, un investitore può comprare una singola quota di un’opera, non hanno mai convinto davvero il mercato. L’ostacolo principale sta nell’impossibilità di stabilire un benchmark sufficientemente certo. Un’opera d’arte rivela il proprio valore solo quando viene venduta, e visto che la stessa opera d’arte passa di mano poche volte nel tempo (in ceri casi posso volerci decenni), rimane grande incertezza riguardo al suo effettivo valore in un dato momento – quanto invece il mercato dei titoli chiede precise valutazioni che si aggiornano giorno per giorno.

Ora, anche se è difficile prevedere come la blockchain possa superare quello che è un problema fondamentale anche per i fondi d’arte, va comunque detto che grazie a questa tecnologia si potrebbe per esempio creare un network di fondi d’arte, incentivandone così la domanda da parte degli investitori – che a questo punto potrebbero contare su garanzie più solide. Ma, di nuovo, per costruire un network sufficientemente ampio, con un proprio protocollo, è necessario costruire un ampio consenso a riguardo, sopratutto se poi i vantaggi tecnici non sono di molto superiori a quelli di protocolli già esistenti come il TCP/IP.

Infine, se dunque è piuttosto chiaro quello che i grandi player del sistema dell’arte possono fare per la blockchain, non si capisce ancora del tutto quello che la blockchain può fare per loro. Quali sono i reali vantaggi che Christie’s avrebbe dal creare, o contribuire a creare, una blockchain dedicata all’arte? Questo è quello che, forse, scopriremo al Londra il prossimo 17 luglio.

June 22, 2021