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Philppe Model metterà in scena i depositi del Musée de Valence

Stefano Pirovano

Il Musée de Valence apre i suoi depositi a Philippe Model, che trasforma le sale espositive in un palcoscenico dove gli attori dialogano attraverso i colori. Una scintilla riporta in vita tesori dormienti.

Il prossimo 13 luglio il Musée di Valence aggiunge un tassello importante alla carriera di una personalità creativa che nessuno, fino ad ora, è riuscito a definire con precisione. Philppe Model non è uno stilista, non è un decoratore, non è un designer d’interni, non è uno scenografo, non è un artista, non è un personaggio televisivo, non è un cantante, non è uno scrittore. È tutto questo, e più di questo. Quindi ora nulla gli impedisce di curare insieme alla conservatrice del museo, Pascale Soleil, una mostra che si intitola De l’autre coté du miroir (Dall’altra parte dello specchio) e che attinge liberamente ai depositi del Musée di Valence, miscelando epoche e stili in funzione, sopratutto, del colore. Ed è questo un fatto eccezionale, non solo per il creativo, ma anche per i tanti musei che non hanno ancora esplorato il potenziale che esiste nell’affidare la cura di una mostra a personalità esterne al mondo dell’arte – come del resto hanno di recente provato, per esempio, Orhan Pamuk con il suo Museo dell’Innocenza o la Fondazione Carriero di Milano, che in occasione della retrospettiva su Sol Lewitt attualmente in corso ha scelto di collaborare con  Rem Koolhass.

‘Costruisco una scenografia, che si sviluppa per contrasti e armonie di temi e colori, È il mio museo immaginario’ dice Model. L’abbiamo incontrato qualche settimana fa a Parigi. Ha appena compiuto 62 anni, non è più un ragazzino, ma la sua curiosità sembra perfettamente integra. ‘Immagino un passaggio dietro lo specchio, come fa Alice nel Paese delle Meraviglie. Vorrei fosse un museo nel museo, che permetta di vedere le opere da una prospettiva diversa da quella usuale’. Ed ecco, spiegato, il codice attraverso cui si esprime il suo pensiero.

Model è sopratutto noto per aver disegnato cappelli indimenticabili – come lo Stetson a paillette voluto da Madonna – e scarpe rivoluzionarie, come le ‘elastico’, prototipo di tutte le sneakers fascianti d’oggi (Nike e Adidas in primis); ma della moda ha sempre amato ‘la bellezza’, non il consumismo, le tendenze, la rincorsa all’eterno presente. ‘Ho sempre cercato di valorizzare le persone e i loro luoghi’ ci dice, includendo in questo approccio gli accessori che lo hanno reso celebre nei favolosi anni 80, quando i fotografi di moda vivevano come rock star e gli outlet non avevano ancora cannibalizzato il ceto medio. ‘Per indossare un cappello ci vuole personalità, e lo stesso vale per guanti e scarpe. Il vestito non esiste in sé. Sono gli accessori che gli danno vita e potenza’.

Quella al Musée di Valence, che raccoglie più di 200 opere, non è la prima avventura museale di Model. L’artiste créateur, come lui di definisce, aveva infatti già curato se stesso nel 1988 alla Fondation Cartier di Parigi in occasione della mostra della fotografa Ouka Leele, che per l’occasione aveva ‘ritratto’ con una Polaroid gigante (formato 50 x 60) accessori disegnati da Model. O, per meglio dire, aveva fotografato ‘scene’ costruite per i propri accessori da Model, che poi aveva anche curato il display delle immagini. A distanza di tempo quello che in origine era un tributo allo stilista oggi diventa il gesto di uno scenografo che guardava al moda con l’occhio distaccato di cui parlavamo prima. Ed è lo stesso occhio che a Parigi disegnava i 650 metri quadri affittati da Model tra il 1992 e il 2016 in Place du Marché-Saint-Honoré per ospitare set fotografici, sfilate, feste e concerti privati, o che concepivano il libro ‘Métamorphoses’, pubblicato da Model nel 2007 (Chêne). Qui le scene ‘costruite’ sono 42, e compongono un vero e proprio vocabolario visivo che attraversa stili ed epoche, ma che rimane sorprendentemente coerente con una visione dello spazio basata sulla semantica degli oggetti e delle superfici. L’anno prima, nel 2006, Model aveva ‘disegnato’ la mostra che il Musée de la vie Romantique ha dedicato a un personaggio straordinariamente interessante come Pierre Loti. Oggi quelle stesse scene si ritrovano nei locali parigini di cui Model ha curato gli interni, come il bistro Aux Furreurs o il ristorante Ancienne Maison Gradelle. Oppure, a Torino, la boutique Verdeilla.

‘Raccolgo, più che collezionare – chiarisce Model. Inseguire le cose non è nella mia natura. Preferisco sempre poter fare oggi quello che voglio fare oggi. Piuttosto immagazzino oggetti per qualcosa che accadrà, magari la prossima messa in scena’. La fucina dentro cui Model raccoglie i frutti delle sue ricerche – che a volte è semplice raccolta, ma altre è frutto di un preciso disegno estetico -, si trova a Sens, nell’ex conceria di pelli di suo padre, un edificio sopraffatto dalla crisi del comparto industriale francese che Model ha riempito di un’altra vita, forse più leggera (nel senso che a questa parola da Italo Calvino). Lo stesso approccio si riflette nel rapporto con l’arte. ‘Ho molti amici artisti, frequento le gallerie, ma credo che il sistema, a un certo punto, ti impedisca di vedere e di creare liberamente’. Model non è persona che ama le strutture, siano esse fisiche o anche semplicemente mentali. Ad esse antepone il principio di libertà, che è innanzitutto libertà personale. ‘Si crea per piacere, per bulimia, senza nemmeno accorgersene’. Così che la sua carriera è esplosa, anche grazie a collaborazioni eccellenti come quelle con Claude Montana, Jean Paul Gaultier, Issey Miyake o Thierry Mugler.

Le creazioni di Philippe Model già si trovano nelle collezioni del Musée de la mode de la Ville de Paris, che ha acquisito una serie di 12 cappelli, uno per ogni mese dell’anno, al Metropolitan di New York, al Tassenmuseum Hendrikje di Amsterdam, al Museu de disseny di Barcellona. Ma il percorso creativo di questo straordinario autore è ancora tutto da scrivere, al di là dello specchio.

June 22, 2021