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Rodrigo Hernández da Pivô: la suora astratta appare sensuale

Maria do Carmo de Pontes

La mostra di Rodrigo Hernández da Pivô mischia realtà e sogni realmente sognati per trasformare l’astrazione in una mappa personale della modernità.

 

La pratica artistica Rogrigo Hernández, artista messicano presentato quest’anno nella sezione Statements di Art Basel dalla galleria Madragoa, poggia su referenze storiche e aneddoti. Si pensi, per esempio, alla sua personale del 2017 da Chert Lüdde, a Berlino, intitolata J’aime Eva (Amo Eva), che aveva come punto d’inizio un collage composto da Picasso nell’estate del 1912 – a quanto si dice l’unico che il genio ha prodotto in quella stagione. ‘I love Eva’ Guitar è un tributo a un’amante, Marcelle Humbert (alias Eva), ma si dice anche che il lavoro sia stato inspirato da un dipinto di Henri Rosseau, il Doganiere, che una volta, come è noto, disse a Picasso: ‘tu e e io siamo gli artisti più importante di quest’epoca. Tu nello stile egiziano, io in quello moderno’. Nel vocabolario di Hernández questi eventi si traducono in otto lavori, tutti composti mettendo il nome Eva nei loro titolo e abbracciando diverse tecniche, come il collage, il disegno, la pittura. Il processo creativo da cui nasce The Real World Does Not Take Flight, questo il titolo della mostra ora in corso da Pivô a San Paolo, segue lo stesso modus operandi.

La mostra, che ha previsto una residenza di due mesi presso l’istituzione brasiliana, guarda al regno dei sogni. Precisamente, a un sogno particolare che Hernández ha vissuto due volte nella stessa settimana; la prima volta il sogno è stato viscerale, la seconda ha assunto valenza simbolica – e qui bisogna segnalare che l’artista ha da poco perso la madre. Il sogno accade a Londra, città che Rodrigo Hernández ha visitato due volte fin ora nella vita. Ritrae un uomo che insegue una suora da Bloomsbury al Victoria & Albert Museum a Kensington. Ma la specificità dei dettagli è d’improvviso offuscata dai vuoti tipici che caratterizzano i livelli subconsci della percezione, e attraverso una serie di eventi poco chiari i due personaggi finiscono per parlarsi. La suora dice di essere una Mo-Po, ovvero una sorella dedicata ad aiutare le novizie a compiere interventi di chirurgia sessuale. Poi la narrativa continua in maniera frammentata, in un ospedale, e di nuovo all’interno del museo, per le strade, e così via. A decorare il piatto c’è il necrologio della suora che fa da comunicato stampa e che porta dal sogno alla dimensione reale.

The Real World Does Not Take Flight – titolo preso in prestito dalle prime righe della poesia di Wislawa Szymborska, è una installazione site-specific che occupa il secondo piano di Pivô. Il lavoro gioca meravigliosamente con le nozioni di sfondo, primo piano e punto di fuga, che sono i fondamenti del collage, tecnica che Hernández da prova di padroneggiare con disinvoltura. Con una sorta di carta da parati, Hernández, ricopre le tortuose superfici dei muri, usando un medesimo motivo geometrico – che chiama Campo di Fiori – fatto da rettangoli bianchi e blu scuro. ‘Appoggiati’ su di questo ci sono otto lavori a muro tridimensionali, tutti del 2018, a volte colorati e geometrici (come quelli intitolati Anche, Noi, o Possiamo Dividerci), altre volte più inclinati verso la figurazione (come Vita o Queste cellule). Scopriamo dopo qualche ricerca che questa specie di opera-carta-da-parati si basa sui motivi dei vestiti di carta che la Scott Paper Company ha creato negli anni ’60 e che questi vestiti si trovano in mostra al V&A. Scopriamo dopo qualche ricerca che questa specie di opera-carta-da-parati si basa sui motivi dei vestiti di carta che la Scott Paper Company ha creato negli anni ’60 e che questi vestiti si trovano in mostra al V&A. Detto ciò, come spesso accade nei territori dell’arte concettuale, il tropo onirico delle suore finisce per distaccarsi dall’estetica della mostra, che pare un composto armonioso e al tempo stesso potente, certo abbastanza forte da reggere i racconti che lo hanno generato. Sono racconti che, per quanto interessanti, espandono la visione dello spettatore. L’uso dello spazio di Pivô – notoriamente non semplice, poiché ritmato dalle sensuali curve di Niemeyer – è delizioso. Ma forse il discorso che avvolge la mostra si spinge tanto in là da disturbarne, a un certo punto, la struggente bellezza formale. Potrebbe essere il caso in cui, come si dice, per un sigaro è meglio essere solo un sigaro.

June 22, 2021