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Luigi Zuccheri, ‘na lengua mia, una pittura nostra

Sofia Silva

Semplice e inafferrabile al tempo stesso, Luigi Zuccheri ha tracciato un percorso eccentrico, spingendo il localismo su un’insolita scala.

Luigi Zuccheri nasce il 13 marzo 1904 a Gemona del Friuli. Frequenta il ginnasio a Udine e il liceo classico a Venezia; conclusi gli studi liceali, segue lezioni private di pittura in entrambe le città da due diversi maestri. Il percorso biografico di Zuccheri attraversa una geografia che si suddivide tra il Friuli – il palazzo di famiglia si trova a San Vito al Tagliamento – e Venezia, nonché Parigi (l’artista vi compie un viaggio di formazione nel 1929-30) e Firenze, dove Zuccheri acquista un podere sul finire degli anni Quaranta stringendo amicizia con Giorgio De Chirico.

[Qui il link a MMXX, artist-run space a Milano, che ha recentemente mostrato le opere di Luigi Zuccheri. Il testo che state leggendo introduce il catalogo della mostra; ndr]

San Vito al Tagliamento dista ottanta chilometri da Caporetto e pochi chilometri in più dal Piave; è dunque, quello del giovane Zuccheri, un nido di nobili che vive tra la natura e la trincea. Negli anni della maturità l’orrore non dà tregua, Zuccheri è ricercato durante l’occupazione nazista. Per tutta la vita, il pittore oscilla tra una gaiezza che lo porta a sconvolgere il proprio ambiente domestico per tramutare ogni oggetto in scultura e una profonda cupezza. Poiché l’opera di Zuccheri e la sua stessa persona sono spesso stati tacciati di anacronismo da una cultura tesa a riconoscere un’unica faccia del Novecento, quella del novecentismo appunto, per avvicinarlo è utile ripartire dal suo tempo e soprattutto dai suoi luoghi, il Friuli e il Veneto.

Luigi Zuccheri, Untitled (Temporale con insetti e figure umane), 1950/55, tempera on board, 40x45 cm. Courtesy MMXX Milan.
Luigi Zuccheri, Untitled (Temporale con insetti e figure umane), 1950/55, tempera on board, 40×45 cm. Courtesy MMXX Milan. Ph: DSL Studio.

Que rien ne pouvait le rendre ridicule

Nel mese e nell’anno in cui Zuccheri nasce, a Venezia si consuma un amore non corrisposto. Il rivoluzionario pittore anglo-tedesco Walter Sickert, conosciuto nella cultura popolare per essere tra i principali sospetti nell’identificazione di Jack lo Squartatore, s’innamora di Maria Luisa Fortuny, sorella del celebre Mariano. Maria Luisa è famosa per allevare ratti e dormire su una sedia anziché su un letto, e offre decisi rifiuti all’avvenente pittore; Sickert è innamorato a tal punto da scrivere centinaia di lettere ai colleghi spagnoli in Francia chiedendo disperatamente d’intercedere a suo favore. Grazie a queste lettere, la fama del corteggiamento si spande per tutta Europa fino ad arrivare alle orecchie di Degas il quale non ride ma, in virtù della grande amicizia nutrita per Sickert, risponde: «Que rien ne pouvait le rendre ridicule». Sickert è un ottimo esempio per figurarsi il quadro della Venezia frequentata da un pittore d’alto rango agli inizi del secolo. Ai tea party di San Vio il giovin pittore incontra impressionisti londinesi ritiratisi ad Asolo quali Frances James o ritrattisti in viaggio alla volta dell’India come Mister Ward, conversa con la Principessa di Thurn und Taxis e ammira tre giovani sorelle, le Montalba, edotte nell’uso della camera chiara. La Biennale, inaugurata nel 1895, celebra lo sposalizio tra pennellate inglesi, tedesche, francesi, spagnole e venete; ma quindici anni dopo, quando Zuccheri raggiunge le acque della laguna, quel mondo è già svanito, sfumato nei bagliori della città, lasciando in eredità una rete d’influenze decadute, che nulla possono contro la solidità d’idee e forme del novecentismo. Il maestro veneziano dello Zuccheri ad esempio, Alessandro Milesi, è un artista di genere dominato da numerosi ascendenti pittorici, teso alla riproduzione di una realtà che si vuole verista e risulta sentimentalista.

Figuratevi nel pensiero cento cognomi di pittori vissuti in Veneto e Friuli nei primi decenni del XX secolo: anime permeabili, scisse tra le proprie radici e le mode europee. Lasciano in eredità vedute tonali ed elegiache di borghi e marine nonché ritratti talvolta sensuali di paesani e accoliti, aguzzati dalla Secessione, schiariti dall’Impressionismo, indirizzati al verismo dei Macchiaioli, nel languore della poesia decadente, nella malinconia della letteratura crepuscolare. 

Luigi Zuccheri, Untitled (Bagnante con pesce e uccelli marini), 1950/55, tempera on board, 40x45 cm.
Luigi Zuccheri, Untitled (Bagnante con pesce e uccelli marini), 1950/55, tempera on board, 40×45 cm. Courtesy MMXX Milan. Ph: DSL Studio.

Luigi Zuccheri, piccolezze, monumentalità e tecniche

All’interno di questo panorama si forma lo Zuccheri che, saldo alla terra, seppe raggiungere esiti ben differenti. Nei dipinti d’età matura s’avvicendano sullo sfondo piccoli uomini intenti in faccende rurali, mentre grandi animali, ortaggi, fiori sono posti in un ambiguo primo piano della composizione, così che lo spettatore possa interrogarsi se la loro monumentalità sia dovuta a un’interpretazione prospettica primitiva o piuttosto a un dichiarato intento di alterazione della realtà. Zuccheri si ferma un passo prima d’arrivare al surrealismo delle idee, abbandonandosi piuttosto all’inesattezza della percezione quando è lavorata dal pensiero. Nei dipinti di Zuccheri non si sa se sia più grande la pera o l’insetto che ne divora la polpa, l’anitra o l’uomo che la sfama. 

Luigi Zuccheri, Untitled (Piazza con zucca, topo, falco e figure umane), 1955/60, tempera on board, 40x45 cm. Courtesy MMXX Milan.
Luigi Zuccheri, Untitled (Piazza con zucca, topo, falco e figure umane), 1955/60, tempera on board, 40×45 cm. Courtesy MMXX Milan. Ph: DSL Studio.

Certi anziani pescatori ricordano ancora che non più di settant’anni fa inavveduti pesci spada conficcavano la propria arma in cumuli di alghe andando a morire tra le barene della laguna, e che dove oggi passano i traghetti volti alle isole di Venezia si pescavano i pesci di San Pietro, mentre delfini e balenotteri seguivano il moto dei bragozzi. Nelle opere di Zuccheri, queste specie ormai scomparse dalle torbide acque veneziane, campeggiano sproporzionate nella metà inferiore della composizione, simili a mostri marini di antiche carte nautiche. Zuccheri era pescatore e cacciatore immacolato, si contentava della visione. Il pittore soleva passeggiare portando con sé gabbie per grilli e altri piccoli animali; nel dopoguerra arrivò ad acquistare una barca a vela con cui compiere i medesimi pellegrinaggi zoologici tra le isole. 

Luigi Zuccheri, Untitled (Delfino con bragozzo), 1950/55, tempera on board, 40x50 cm. Courtesy MMXX Milan.
Luigi Zuccheri, Untitled (Delfino con bragozzo), 1950/55, tempera on board, 40×50 cm. Courtesy MMXX Milan. Ph: DSL Studio.

La pittura dello Zuccheri è febbrile e sprezzante; per molti versi, anche coloristici, simile a quella del Guardi. In Zuccheri il soggetto campestre è tutto fuorché bucolico ed elegiaco; tordi, faine e garzette introducono a un mondo in cui l’uomo è animale tra gli animali circondato da una natura che scandisce il tempo con la gravità di un calendario liturgico. La tecnica dello Zuccheri? Per le opere mature, rigorosamente la tempera; la scelta tecnica è in questo caso una vera e propria dichiarazione d’intento poetico: la tempera riporta a un mondo sconvolto ma puro, privo delle illusioni, delle ambizioni, delle tracotanti transustanziazioni della pittura a olio. 

Francesco Guardi, The Grand Canal with Santa Lucia and Santa Maria di Nazareth, approx 1780. Courtesy Thyssen-Bornemisza Museum.
Francesco Guardi, The Grand Canal with Santa Lucia and Santa Maria di Nazareth, approx 1780. Courtesy Thyssen-Bornemisza Museum.

Zuccheri studia gli antichi trattati e ammoderna la tempera alla propria maniera. Per ottenere pigmenti che siano solo suoi e delle sue terre, raccoglie sassi lungo il greto di fiumi e torrenti per poi farli macinare in un molino a un suo uomo di fiducia.

Non-surreale

Dal 1945 al 1950 Luigi Zuccheri lavora ad alcuni dipinti che raffigurano porzioni di mura domestiche dove sono affissi ex voto, rosari e scapolari. Questi dipinti sono fondamentali per il raggiungimento della maturità; Zuccheri seppe rintracciare nella cultura cattolica di una specifica geografia l’alternativa rurale ai più onirici esiti delle avanguardie storiche. Non abbiamo bisogno del surrealismo né della metafisica – sembra dire lo Zuccheri in questa serie di opere – perché da secoli già doniamo ai Santi l’argento, le trecce, i dipinti, e vediamo le fiamme ai bordi del letto. 

Veneto e Friuli erano e sono imbevuti del sangue dei soldati, i perpendicolari tralci dei vigneti riflettono il mare di croci; ma i sepolcri sono sempre stati propri di queste terre, ben prima delle grandi guerre. L’algore dei Colli, la lapidaria eleganza dei canali del Brenta, i giardini e i roseti ricamati da fredde forbici, hanno sempre celato un rapporto privilegiato con la morte e con chi poteva ammansirla, la Vergine e i Santi. Gli incontri campestri, fluviali, lagunari tra la Madonna e il popolo sono narrati dalle tavolette votive, gli ex voto pittorici. Una tavoletta votiva – tolèle nel dialetto veneto lagunare – è un dipinto eseguito da un pittore specializzato, su commissione di un uomo che ha chiesto la grazia. I maestri di ex voto seguivano schemi compositivi cui spesso aggiungevano particolari naturalistici dopo aver visitato il luogo dove si era compiuto il salvataggio miracoloso.

Luigi Zuccheri portraying a rabbit.
Luigi Zuccheri portraying a rabbit.

Quasi tutte le tavolette votive venete e friulane sono bipartite, nella parte inferiore si dipinge l’incidente o la malattia, il supplice e la sua famiglia e talvolta le anime del Purgatorio che si uniscono alla prece; nella parte superiore trionfa un coro di nuvole al cui centro sono dipinti la Vergine, il Santo o entrambi. Umile e priva di nobiltà agli occhi degli uomini di mondo, la pittura degli ex voto apre allo Zuccheri un inedito patrimonio visivo. Al Museo della devozione popolare del Santo di Padova, gli ex voto sono protetti da spesse vetrine, appesi a pannelli di velluto rosato e consunto; sono divisi in sezioni sapientemente titolate con parole che evocano un pastiche tra la musica leggera di un tempo e la teologia del peccato: “Il dono della sposa”, “L’amore coniugale e il figlio desiderato”, “I pericoli della strada” per staffati, disarcionati e investiti, “Pensionamento, vedovanza, senilità. Sorella morte”. Non c’è eccidio dipinto a olio da magnifico pittore che dia una percezione domestica del rapporto con la morte pari a quella offerta dagli ex voto a tempera, dove muratori e bambini cadono dai balconi e volano nell’assenza di prospettiva, le mani di persefonesche fanciulle vengono schiacciate dai carri e i piedi dai tranvai, padri e madri ormai privi di speranza indossano l’abito della festa e si coricano sotto le coperte del figlio malato. Di alcuni ex voto non si coglie il significato, vuoi a causa della consecutio temporum deliziosamente primitiva dei pittori, capace di far precipitare tre volte la stessa fanciulla dal terrazzino, vuoi per la rappresentazione allucinata dei fenomeni atmosferici: i fulmini sono segmenti rossi che tagliano l’immagine in più parti e può capitare che le nuvole dei Santi emergano dai gas di scarico delle auto o si confondano con il fumo dei transatlantici. Gli interni poi, le stanze dei supplici, sono veri e propri teatri da camera; spesso coppie di coniugi supplicano assieme nelle loro camicie da notte, a debita distanza l’uno dall’altro, riposano sul vecchio materasso guardando sospettosi un Santo sul soffitto. 

Luigi Zuccheri, Untitled (Notturno con falene, grilli e figure umane), 1950/55, tempera on board, 30x35 cm. Courtesy MMXX Milan.
Luigi Zuccheri, Untitled (Notturno con falene, grilli e figure umane), 1950/55, tempera on board, 30×35 cm. Courtesy MMXX Milan. Ph: DSL Studio.

Lo Zuccheri dapprima fa meta-pittura, ovvero dipinge il dipinto nel dipinto, l’ex voto all’interno di una composizione pittorica più ampia; successivamente estrapola elementi dipinti – il cero, il Santo e la croce, per esempio – e li contestualizza in un paesaggio; infine sostituisce al Santo o alla Vergine, l’animale. Nella transizione da soggetto sacro a soggetto naturale, Zuccheri mantiene per alcuni anni un’impostazione teatrale della composizione, suddividendo primo e ultimo piano del dipinto tramite la rappresentazione di tende rosse simili a quelle di un sipario. L’uso del tendaggio a cornice dell’immagine richiama alcuni pittori distanti nel tempo e nello spazio, ma accomunati da un piacere intellettuale dell’impostazione pittorica, si pensi a Adriaen van der Spelt con Natura morta in trompe l’oeil con ghirlanda di fiori e tenda (1658) oppure a molte opere di Francisco de Zurbarán, che spesso dipingeva pesanti drappi di velluto rosso per incorniciare figure in preghiera o intente nello studio, come La Giovane Vergine (1632-33) o il ritratto di Frate Gonzalo de Illescas (1639). È interessante notare come la pratica dello Zurbarán derivasse dalla così chiamata statue-painting, ovvero l’usanza di riprodurre in pittura la scultura devozionale in legno o marmo, spesso incorniciata da drappi rossi nelle chiese. Lontani nel tempo e nel luogo, Zurbarán e Zuccheri elevano il teatro della devozione a riflessione metafisica sulla natura dello spazio. 

*

Mi me son fato ‘na lengua mia
Del venezian, de l’italian:
Gà sti diritti la poesia,
Che vien dai lioghi che regna Pan.

(Giacomo Noventa, A mo’ de premessa)

Zuccheri era cognato e amico di Giacomo Ca’ Zorzi detto Noventa, intellettuale atipico; anch’egli distante dalle correnti a lui contemporanee, intendeva trovare una sintesi tra i valori dell’aristocrazia e quelli del popolo. Il giovane Pier Paolo Pasolini – dedito allo studio del dialetto friulano e della pittura di molti artisti locali coetanei se non compaesani dello Zuccheri (si ricordi che Pasolini intendeva dapprima laurearsi in pittura italiana contemporanea) – scriveva testi critici ponderati, eruditi, avidi di moderno, al fine di portare il dialetto nel futuro della sperimentazione e la pittura friulana sulla ribalta dell’arte internazionale. Tanto era programmatico PPP, tanto Zuccheri e cognato sono scoppiati come mortaretti, nobilmente fraintesi per tutta la vita.

Ricordavo la mia Vicenza neoclassica, la bellissima Verona romana e romanica, la Padova di Galileo, la città della cultura con alla testa Venezia. Ma qui, sul Piave ero circondato da una cultura assai precedente: la «tabula rasa» dell’erba e il suo profumo al tempo dello sfalcio, le rane, la luce riflessa dalla laguna non lontana […]. In questa zona di terra veneta vivevano con i loro elfi e coboldi le culture nordiche e barbariche, non più mediterranee ma boschive, fungacee, muschiose, gelate e nebbiose […]. Mi chiedevo quale cultura potesse legare la solenne bellezza delle colonne palladiane, dei mattoni e dei portici padovani, dei ponti veronesi, della scintillante Venezia con il suo ricciolo di ferro sulla punta delle gondole e i suoi pittori all’enorme quantità di piccole e grandi fabbriche del Veneto e non ne trovavo nessuna salvo una e una sola: la forza barbarica della terra, che ha prodotto lavoro dei campi fino a ieri e ora produce lavoro nelle fabbriche. Ma era forza barbarica, a cui la mia stessa arte si nutriva, e non cultura latina e mediterranea. […] Altro che Veneto bianco, cattolico, bigotto, eccetera, i luoghi comuni della politica! Il Veneto era, ed è forte, barbaro, e dunque produttivo e dunque industriale. La sua arte se nasce senza alcun dubbio dalla cultura affonda tuttavia anch’essa dentro la terra.

(Goffredo Parise, Veneto barbaro di muschi e nebbie)

Contro il mio volto s’accende il fuoco del sole e rimango insensibile a guardare la vita come fosse un’antica stampa. Il dopo mezzogiorno allontana i monti sul piano ed il silenzio racchiude la fessura fatta nell’aria da una sola vespa che passa.

(Giovanni Comisso, Solstizio Metafisico)

Luigi Zuccheri, Untitled (Faina e chiocciola), 1955/1960, tempera on board, 30x35 cm. Courtesy MMXX Milan.
Luigi Zuccheri, Untitled (Faina e chiocciola), 1955/1960, tempera on board, 30×35 cm. Courtesy MMXX Milan. Ph: DSL Studio.

La raccolta di frammenti di Giovanni Comisso intitolata Solstizio Metafisico è un’operetta priva di trama, idee o estroversioni dell’anima; ha come unico contenuto la propria perfezione formale radiosa e distante. È difficile leggerne più di qualche frase per volta, ogni punto sosta come un macigno di fronte a parole che continuamente paiono vergini. In quel libro e in pochi altri, la campagna veneta e quella friulana trovano il proprio contrappunto letterario. Giovanni Comisso, Goffredo Parise, Arturo Martini, Filippo de Pisis sono i fratelli di sentire dello Zuccheri. Scrittori e pittori della medesima geografia, diversi tra loro ma uguali nel tratto ossimorico: empirei serafini attratti dalla carne. Quando nei Colloqui sulla scultura Martini narra il momento in cui prese atto dell’esistenza della forma, descrive se stesso bambino guardare il moto dilatatorio del culo di una prostituta intenta a defecare. Quando nel Diario Comisso racconta il Piave che nell’adolescenza gli lisciò l’anima come un sasso, scrive: «Su quelle ghiaie estive tutti i miti panici e ermafroditi furono viventi». Non sono mediterranei costoro, ma barbari cresciuti nel grembo di Venezia e delle sue sorelle, e così è lo Zuccheri: un pittore barbaro, dissimile da De Chirico che pure amava, dissimile da tutto quello che vide e udì Parigi nel proprio viaggio di formazione, Picasso, Breton e gli altri. 

Tuttavia, oltre al già citato Guardi e agli anonimi pittori di ex voto, un altro artista idealmente può avere mostrato qualcosa d’importante allo Zuccheri, si tratta di Jacopo Ligozzi, un veronese che soggiornando a Venezia negli anni Settanta del XVI secolo, respirò il fervore verso lo studio della storia naturale nutrito dalla città producendo volumi dipinti di uccelli e pesci e successivamente lavorando come disegnatore di animali e piante per il granducato fiorentino.

Jacopo Ligozzi, A Marmot with a Branch of Plums, 1605. Courtesy The National Gallery of Art, Washington.
Jacopo Ligozzi, A Marmot with a Branch of Plums, 1605. Courtesy The National Gallery of Art, Washington.

[Qui una nostro scritto sull’opera di Jacopo Ligozzi. Ndr]

Di Ligozzi si ricorda la magnifica Marmotta con ramo di prugne (1605): un buffo animale peloso e felice, dipinto in acquerello, osserva di sbieco lo spettatore; si evince che l’artista guardasse a Dürer e a suoi seguaci come Hans Hoffmann. I ritratti d’animale del Ligozzi non sono mai su sfondo neutro, la marmotta ad esempio spartisce il foglio con prugne dal fogliame avvizzito e con una mosca, elementi che fanno diventare questo studio della natura un primo esemplare di natura morta italiana d’età moderna. In pittura, più il passaggio da un genere all’altro è sottile e ambiguo più è importante e drammatico. Che un’opera di studio sulla natura diventi a un tratto natura morta grazie all’inserzione di un elemento, segna un passo fondamentale nella storia del sentire. Qual è il genere di Luigi Zuccheri? Natura morta, paesaggio, composizione surrealista, o non è forse pittura sacra? Lo storico dell’arte Guido Perocco, intervistato in un documentario del 1991, lo definisce: “Un pittore antico veneziano spuntato, per caso, anche nella modernità.”

Luigi Zuccheri, Untitled (Cespuglio con faina, calabrone e frate), 1950/55, tempera on board, 40x45 cm. Courtesy MMXX Milan.
Luigi Zuccheri, Untitled (Cespuglio con faina, calabrone e frate), 1950/55, tempera on board, 40×45 cm. Courtesy MMXX Milan. Ph: DSL Studio.

Zuccheri amava San Francesco e Santa Caterina di cui, negli ultimi anni di vita, teneva sul comodino Le lettere. Per un pittore che usa la tempera, il secolo non può essere che il Trecento. Impetuosa sposa mistica frequentemente colta dall’estasi, Caterina insegnava che le cose del mondo – gli animali, le piante, la vita – alludono all’infinita pietà di Dio. Seguendo un percorso inverso a quello che l’aveva portato dal tema sacro al tema naturale, Zuccheri commenta pittoricamente gli scritti dei due Santi sul finire degli anni Quaranta, sebbene le opere dedicate a Caterina verranno alla luce dopo la morte dell’artista nel 1974. La surrealtà, la metafisica, non sono dei pittori o dei poeti o dei professori; tutto ciò che le avanguardie svelano, è già racchiuso nel culto di un contadino o nell’estasi di una santa bambina. Nel ciclo illustrativo dell’opera di Caterina, gli angeli vegliano il cielo, gli animali la terra e le acque: il pellicano si becca il petto per dare in pasto ai figli gocce del proprio sangue e assurge a simbolo di Cristo Pellicano. Così si chiude il percorso di un pittore del XX secolo: nato in un palazzo in dissolvenza, cresciuto al rumore delle trincee, svezzato da Venezia e Parigi, dai tordi e dagli stornelli, prostrato dall’orrore del nazifascismo, consolato dai Santi, Zuccheri visse la propria intuizione visionaria e barbara.

July 28, 2020