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CAC Vilnius, un’intervista con il suo direttore, Kęstutis Kuizinas

Denis Maksimov

Da palazzo della cultura a centro d’arte contemporanea, per ospitare la Triennale del Baltico: parola a Kęstutis Kuizinas, direttore del CAC di Vilnius

Il Centro d’Arte Contemporanea (CAC) di Vilnius è una delle principali istituzioni culturali della regione baltica. Fondato nel 1992, il CAC ha trasformato un vecchio “palazzo della cultura” sovietico nel crogiuolo della cultura contemporanea della nuova Lituania indipendente. Abbiamo parlato con Kęstutis Kuizinas, fondatore e direttore del centro. La sua visione curatoriale è stata fondamentale per plasmarne l’identità, avvenuta nel corso di tre decenni.

[Riguardo al ruolo curaotriale dei direttori dei centri d’arte contemporanea si vedano le nostre recenti conversazioni con Sofía Hernández Chong Cuy (Kunstinstituut Melly) e Bart van der Heide (Museion). Ed.]

Kuizinas
Kęstutis Kuizinas photographed by Visvaldas Morkevičius.

Kęstutis Kuizinas ha assunto l’incarico di direttore del Centro d’Arte Contemporanea quando ancora studiava all’università. Dal 1988 è stato direttore artistico e curatore responsabile dell’internazionalizzazione della Triennale del Baltico, nata in epoca sovietica, portandola a diventare un evento d’arte contemporanea primario dell’Europa centro orientale. Sotto la sua guida l’istituzione si è distinta per lo spirito di sperimentazione, per le vitali esposizioni d’architettura, e per i progetti multimediali.

CAC Vilnius

Come si presentava scena artistica lituana dopo il crollo dell’Unione Sovietica? Cosa ha spinto alla creazione del CAC negli anni ’90?

Kęstutis Kuizinas: Ricordo che era una stagione molto intensa. Tra il 1990 e il 1991 i giorni erano segnati dalle notizie che passavano TV, radio e giornali riguardo all’Armata Rossa che lasciava il paese, all’esplosione dell’inflazione, all’introduzione dell’unità monetaria, al blocco economico imposto dalla Russia; e, più tardi, per l’improvviso incremento del crimine e per gli agenti del KGB infiltrati tra la popolazione. In altre parole, le cose che accadevano sembravano – e di fatto erano – più importanti e stimolanti di ciò che si poteva vedere nelle gallerie e nei musei. L’arte di quel tempo, direttamente collegata a ciò che succedeva nella società, era letteralmente inondata da simboli e segni patriottici, religiosi, esoterici. Dominavano temi strampalati e metafore superficiali. Per quanto mi ricordo, le grandi mostre panoramiche al Palazzo delle Esposizioni d’Arte di Vilnius sembravano una uguale all’altra, come una cattiva fiera d’arte di cui non si vede la fine. Se c’era qualche opera degna di nota, era comunque destinata a scomparire nel mare della produzione artistica hobbistica o improvvista.

Nel 1991 avevo 23 anni. Studiavo storia dell’arte all’Accademia d’Arte di Vilnius. Ero già attivo come critico d’arte. Pubblicavo le mie prime recensioni sui periodici locali. Le persone al potere si erano subito rese conto che era necessario un rinnovamento essenziale del sistema di funzionamento dell’arte. Ricevetti certe telefonate che mi incoraggiavano a partecipare al concorso per il posto di direttore di quello che sarebbe stato il più grande centro d’arte del nuovo paese.

CAC Vilnius
Olafur Eliasson, Succession, 1998. Installed at CAC Vilnius.

L’inizio della mia carriera è stato relativamente facile. In realtà nessuno sapeva, me compreso, cosa aspettarsi. Ma dopo il primo anno di programmazione del Palazzo delle Esposizioni d’Arte di Vilnius – CAC dal giugno del 1992 – ci fu un’enorme campagna contro la neonata istituzione. Il messaggio era semplice e diretto: non ne abbiamo bisogno, perché mostra solo arte d’avanguardia. Secondo i suoi detrattori il CAC era un corpo estraneo all’interno della cultura locale, incapace di riconoscere la vera arte e rispettare i cosiddetti “valori tradizionali”. D’altra parte, il CAC è presto diventato un punto di riferimento per i più giovani e il suo programma è stato inizialmente sostenuto dalle ambasciate e dagli istituti culturali stranieri. Inoltre, alla fine del 1992 George Soros ha iniziato a dar vita, in Lituania, ad attività di carattere filantropico, che si sono poi rivelate fondamentali per continuare a promuovere le nuove forme d’arte.

Ha affrontato la crescita dell’istituzione con una visione curatoriale predefinita? Come è cambiata nel tempo?

Kęstutis Kuizinas: Sono stato fortunato ad avere avuto subito la possibilità di viaggiare, grazie al sostegno delle ambasciate straniere e di centri culturali come il Goethe Institute o il British Council. Visitando in Europa e negli Stati Uniti le istituzioni artistiche simili al CAC Vilnius ho potuto vedere, confrontare e imparare molto cose a riguardo. Dopo essere stato a Berlino, nel 1992, la prima cosa che ho fatto è stato scrivere una breve lettera al ministro della cultura chiedendo di cambiare il nome dell’istituzione in CAC, perché all’estero mi risultava difficile spiegare che tipo di impresa fosse il “Palazzo dell’Arte” di cui ero responsabile in patria. In effetti era un periodo in cui i vecchi nomi scomparivano facilmente. L’ex “palazzo”, il suo rifugio fisico, con i muri dell’edificio interno di consistenza grigia e ruvida, un pavimento marmoreo spiccatamente decorativo, stava per essere trasformato in uno spazio neutro, un white cube. Si trattava di raggiungere certi standard, che ci avrebbero permesso di operare come una normale istituzione artistica occidentale.

Carsten Nicolai, installation view of Pioneer, CAC Vilnius, 2011.

Piuttosto che affidarci a bandi aperti e al valio delle candidature, come era in uso prima della trasformazione, abbiamo iniziato a invitare direttamente gli artisti. Perciò è stato necessario dotarsi di un team di professionisti. I primi curatori a lavorare al CAC sono stati critici d’arte e artisti, come Deimantas Narkevičius o Kristina Inčiuraitė. Più tardi sono stato invitato a tenere un corso di Arts Management all’Accademia d’Arte di Vilnius, e questa è stata una buona occasione per invitare storici dell’arte più giovani a unirsi al progetto. Tra questi ci sono stati, per esempio, Raimundas Malašauskas e Jonas Valatkevičius. Oltre agli artisti provenienti dalla vecchia generazione – per lo più quelli che erano leader non ufficiali già nei primi anni Novanta, artisti che erano stimati dagli altri artisti e dagli studenti di storia dell’arte come me, e che non erano quelli premiati durante il periodo sovietico – abbiamo iniziato a mostrare arte emergente. Abbiamo anche aiutato gli artisti nella produzione dei lavori. Per costruire una carriera artistica allora non esistevano strutture intermedie, come piccole gallerie o spazi gestiti da artisti. Alcune delle prime mostre hanno attinto quasi direttamente dagli studi della Vilnius Art Academy. Come è dunque cambiata la visione curatoriale nel tempo? All’inizio degli anni ’90 cercavamo semplicemente di raggiungere certi standard. Un po’ più tardi, direi alla metà degli anni ’90, ci siamo resi conto che non aveva senso seguire o copiare altre istituzioni occidentali, nonostante ci sembrassero di grande valore. A questo proposito, abbiamo avuto il privilegio di avere ancora più libertà nelle nostre scelte: il governo non interferiva più di tanto nel nostro percorso di costruzione dell’identità. Quello è stato il periodo in cui il CAC è stato riconosciuto come una piattaforma di sperimentazione, attraverso l’architettura degli allestimenti, i formati espositivi insoliti, le campagne di comunicazione più innovative. Per esempio, ricordo l’evento collaterale dell’ICA di Londra durante il lancio della Baltic Triennale del 2005. Si trattava un progetto legato alla cucina. Si chiese agli artisti di portare un ingrediente. Avevo parlato con Jens Hoffmann, allora direttore delle mostre dell’ICA, e lui mi aveva detto: “Kęstutis, a Londra non è permesso usare coltelli nelle istituzioni pubbliche”. Ho risposto: “Come può accadere un evento culinario senza i coltelli?” In Lituania a quel tempo i politici non ci sostenevano, ma come ho detto non interferivano nemmeno in quello che stavamo facendo – eravamo in grado di portare avanti il nostro piano, cosa che non sarebbe successa a Londra.

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Anastasia Sosunova, Another Dinner Ruined, 2021. Copyright: the artists, Contemporary Art Centre, Vilnius, Baltic Triennial 14: the Endless Frontier
 (curated by Valentinas Klimašauskas and João Laia), and Ugnius Gelguda.

La Triennale del Baltico è forse il progetto più noto del CAC. Invece di istituire un nuovo festival, si è deciso di trasformare quello esistente. Sono stati conservati elementi del festival originale?

Kęstutis Kuizinas: In origine si trattava di una mostra di giovani artisti baltici. Si teneva nel “palazzo” sovietico delle mostre d’arte di Vilnius. Occasionalmente era una rassegna buona, che presentava le opere più ambiziose della generazione più giovane. L’evento godeva di ottima reputazione. Ricordo di averne scritto una delle prime recensioni critiche, quando ero ancora uno studente. Aveva perciò senso continuare e ridefinire la tradizione, piuttosto che partire da zero. Alla fine degli anni ’90, mentre stavamo preparando l’edizione 1998 della Triennale del Baltico, ci siamo resi conto che non era corretto che il principale festival d’arte nazionale fosse dedicato esclusivamente agli artisti emergenti. È stato allora che abbiamo eliminato il termine “giovane” dal titolo. Direi che l’unico elemento del festival originale sopravvissuto è che ancora si preferisce invitare curatori relativamente giovani e offrir loro una piattaforma per sperimentare il formato espositivo su larga scala.

CAC vilnius
Viktor Timofeev, DOG, 2021. Flaka Haliti, What are they thinking that we thinking that they thinking we going to do next? #1, 2019. What are they thinking that we thinking that they thinking we going to do next? #2, 2019. Copyright: the artists, Contemporary Art Centre, Vilnius, Baltic Triennial 14: the Endless Frontier
 (curated by Valentinas Klimašauskas and João Laia), and Ugnius Gelguda.

L’introduzione curatoriale della 14esima edizione della Triennale del Baltico dice che l’evento “per la prima volta dalla sua istituzione nel 1979… si concentra sul territorio geopolitico dell’Europa centrale e orientale e include pratiche artistiche storiche e contemporanee”. Oltre all’ampliamento dell’ambito geografico, i curatori guarderanno per la prima volta all’arte della regione in modo retrospettivo. Può dirci di quest’idea? C’è davvero l’urgenza, oggi, di andare oltre il contemporaneo?

Kęstutis Kuizinas: Prima di tutto, sono davvero felice che dal team curatoriale della 14esima Triennale del Baltico (Valentinas Klimašauskas and João Laia) arrivi l’idea di concentrarsi su questa regione perché credo che, dopo la caduta della cortina di ferro, sia stata sottorappresentata. Come sapete, dopo la rottura seminale del 1990, la maggior parte dei paesi dell’Europa orientale ha iniziato a guardare a occidente.

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Laure Prouvost’s installation at 13th Baltic Triennial.

Era comprensibile. Dopo cinquant’anni di cooperazione forzata tutti si erano stanchi e volevano stringere nuove relazioni con altri paesi, per abbracciare nuovi orizzonti. La seconda ragione della sotto-cooperazione era economica: ovvero, c’era mancanza di denaro e di infrastrutture. Era più facile ottenere sostegno per portare artisti da Berlino o Amsterdam piuttosto che da Praga o Bucarest. Nel contesto dell’arte contemporanea, le opere storiche scelte dalla Triennale sembrano quindi fresche e interessanti.

Notoriamente la solidarietà, in termini politici e culturali, è una caratteristica di questa regione. Quanto e in quale formato collaborate con le vicine istituzioni lettoni ed estoni?

Kęstutis Kuizinas: Siamo come vicini di casa. Ci conosciamo meglio di chiunque altro. La differenza principale tra Vilnius e Riga, o Tallinn e Vilnius, o Praga e qualsiasi altro paese dell’Europa centrale o orientale, è che si può sempre prendere il telefono e chiamare, invece di scrivere una e-mail. La persone si conoscono meglio. Ci sono molti progetti di cooperazione in corso, ma nulla è dovuto, come invece accadeva ai vecchi tempi. Ci incontriamo a Venezia, o a Basilea. Condividiamo gli inviti alle feste di ricevimento dei padiglioni nazionali. Tutto sommato, è un po’ come la cooperazione regionale nordica o scandinava. Solo che lo scambio è più lento ed è appena iniziato. Questa cooperazione è anche incoraggiata dal Fondo baltico per la cultura, che promuove finanziariamente la collaborazione tra i tre paesi baltici. Per esempio, il catalogo della 14a Triennale baltica ha ricevuto un sostegno essenziale, non solo per la sua realizzazione, ma anche per la diffusione al di fuori della regione. Per quanto riguarda le istituzioni con cui collaboriamo, direi che oltre alla rete filantropica ex-Soros – ovvero il CCA di Lettonia ed Estonia – abbiamo a che fare con le istituzioni artistiche che più ci somigliano, come kim? a Riga o la Tallinn Art Hall. La partnership è ben sviluppata anche con il Kumu Art Museum e il Latvian National Museum of Art.

Kęstutis Kuizinas
Vojtěch Kovařík, The Three Fates: Clotho, 2021. The Three Fates: Lachesis, 2021. Three Fates: Atropos, 2021. Zsófia Keresztes, Circulation in Sorrow, 2019. Zsófia Keresztes, Inconsolable Presence, 2019. Copyright: the artists, Contemporary Art Centre, Vilnius, Baltic Triennial 14: the Endless Frontier
 (curated by Valentinas Klimašauskas and João Laia), and Ugnius Gelguda.

Cosa c’è nel futuro del CAC?

Kęstutis Kuizinas: La nostra sede attuale, l’edificio del CAC nella città storica di Vilnius, ha più di cinquant’anni. È tecnicamente piuttosto antiquato e quindi presto sarà chiuso per la grande ristrutturazione che da tempo attendiamo. Qualche anno fa ci è stato offerto dal Ministero della Cultura di prendere in consegna un altro edificio in nostro possesso, con la proposta di lavorare lì sull’idea di un nuovo centro d’arte. Si tratta del bellissimo Palazzo Sapiega, del XVII secolo. Così, mentre la nostra sede attuale viene ristrutturata per affrontare la prossima fase della sua storia, stiamo sviluppando una nuova istituzione, dedicata alle arti e all’educazione.

Oggi il CAC Vilnius è quindi solo a metà del suo futuro prossimo. Il centro ha già una forte identità, mentre un nuovo luogo sarà sviluppato per essere poi presentato al pubblico. È una sfida avvincente per me e per il team del CAC. Si tratta di creare una nuova, grande istituzione. La storia ha un nuovo inizio.

August 12, 2021