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La storia del Trittico Demidoff

Alberto Lenza

Analisi, storia collezionistica e ipotesi attributive riguardo a un vibrante trittico il cui misterioso autore oggi altri non è che il Maestro del Trittico Demidoff

San Michele è raffigurato con una bilancia nella mano sinistra con la quale sta effettuando la pesatura delle anime dei defunti. La psicostasia era molto comune nelle religioni degli antichi, soprattutto in quella egizia (cfr. Link 1995, pp. 115 – 119) e ha anche echi nelle Sacre Scritture: i passi del libro del profeta Giobbe (Gb 31,6) e del profeta Daniele (5,27) si riferiscono al peso delle buone e delle cattive azioni sulla bilancia della giustizia mentre nella lettera di Giuda (1,9) è ricordata la disputa tra San Michele e Satana sul possesso del corpo di Mosé, che pone l’arcangelo come difensore delle anime dei defunti. Di solito su un piatto della bilancia è posta una macina, simbolo del gravame del male e sull’altro l’anima stessa, oppure, come in questo caso, due minuscoli personaggi nudi che rappresentano le buone e le cattive azioni dell’uomo; a seconda di dove pende il peso l’anima è salva o dannata. Per questo motivo il demonio tenta di manipolare il risultato, aggrappandosi ad un piatto della bilancia per farla pendere a proprio favore, ma l’arcangelo lo sconfigge, schiacciandolo con un piede e piantando una lunga lancia nelle sue fauci. L’iconografia di Satana in questo dipinto è davvero un unicum: raffigurato in genere come un essere semiumano con caratteri animaleschi e mostruosi (ali di pipistrello, corna, coda a punta; cfr. Bashet 1994, pp. 644 – 650 e Link 1995), un serpente secondo la Genesi (Gn 3, 1) o un dragone, in base al racconto dell’Apocalisse di San Giovanni (cfr. Ap 12, 7 – 9) qui, invece, appare sotto le sembianze di un cane e non ricordo un altro dipinto dove ricorre una rappresentazione simile.

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Master of the Demidoff Triptych Emilia?, active in the first half of the 15th century, “Saint Michael the Archangel Weighing the Souls and the Devil”. Tempera on panel, 41.2 x 22.4 cm. Provenance: Florence, Demidoff collection Florence, Carlo De Carlo collection Florence, Lisa De Carlo collection. Courtesy of Moretti Fine Art, London.

Nell’altra tavoletta San Raffaele prende saldamente per mano Tobia e gli indica il cammino che devono compiere: l’arcangelo, infatti, è stato inviato da Dio per accompagnare il giovane in un avventuroso viaggio a Rage, città della Media, dove deve riscuotere dieci talenti che il padre aveva prestato a un suo parente venti anni prima (cfr. Tb 4, 20 – 21 e 5, 1 – 18). Tobia, nella mano destra stringe un pesce, suo tradizionale attributo iconografico (cfr. Mara 1968, pp. 1366 – 1368), da lui pescato nel fiume Tigri; il fiele di questo animale servirà a restituire la vista al suo vecchio padre, rimasto cieco (cfr. Tb 6, 2 – 4 e 11, 7 – 8).

I visi degli arcangeli, dalle morbide fattezze, sopracciglia arcuate e sottili, bocca piccola e mento tondo hanno caratteri femminei; quest’iconografia della figura angelica, sviluppatasi a partire dalla metà del XIV secolo, fu probabilmente influenzata dalla poetica della donna angelicata, ma anche dalla riscoperta della dottrina filosofica dello Pseudo Dioniso, basata sulla perfetta analogia tra l’armonia dell’universo e la bellezza femminile (cfr. De Divinis nominibus, IV, 7).

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Master of the Demidoff Triptych Emilia?, active in the first half of the 15th century, “Saint Raphael the Archangel and Tobias Tempera on panel, 38.9 x 22.6 cm. Provenance: Florence, Demidoff collection, Florence, Carlo De Carlo collection, Florence, Lisa De Carlo collection. Courtesy of Moretti Fine Art, London.

I dipinti sono circondati da una incorniciatura a bande rosse, bianche e verdi. Sul retro del San Michele, entro una cornice uguale a quella del recto raffigurata lungo il margine destro e superiore, si trova il frammento di uno stemma grigio in campo blu, molto danneggiato inoltre è scritta a mano una vecchia attribuzione a Pollaiolo. Il supporto ligneo, formato da un solo asse, si presenta in discrete condizioni e lo stato di conservazione della pellicola pittorica è buono. Sul verso del San Raffaele e il Tobiolo una cornice, dipinta lungo il lato sinistro e superiore e oggi quasi del tutto scomparsa, inquadra il frammento di uno stemma ed è incollata una vecchia etichetta.

Master of the Demidoff Triptych Emilia?, active in the first half of the 15th century, “Saint Nicholas with crozier and gospel book”. Tempera on panel, 41.5 x 22.3 cm. Provenance: Florence, Demidoff collection, New York, Christie’s sale, 31st May 1991, lot n. 22 (as Bolognese School). Courtesy of Moretti Fine Art, London.

Le due opere, insieme a un altra tavoletta con San Nicola esitata all’asta Christie’s del 31 maggio 1991 a New York (lot. n° 22; cm 41,5 x 22,3), appartenevano ad un unico complesso che, come recita un cartellino affisso sul retro del San Michele, era un grande trittico che si trovava nella collezione Demidoff (“Saint Georges (Ècole Florentine du 13° Siècle) Gaddi Taddeo. Anciennement partie de un grand triptyque ex. coll. Demidoff 100”). I Demidoff sono una nobile famiglia originaria di San Pietroburgo. Suo esponente di spicco fu Nicola (Chrirkovitsy, San Pietroburgo, 20 novembre 1773 – Firenze, 4 maggio 1828), imprenditore, ambasciatore dello zar Alessandro I, filantropo e appassionato collezionista d’opere d’arte che raccolse a partire dal 1824 nel palazzo Serristori a Firenze e, in seguito, nella sua nuova residenza, la sontuosa villa a San Donato in Polverosa all’epoca nei dintorni della città, edificata dal 1828 al 1831 (cfr. Borroni Salvadori 1981, pp. 940, 941). Dopo la sua morte, tra il novembre e il dicembre del 1828, gli eredi chiesero al Granduca di Toscana il permesso di esportare parte della collezione a San Pietroburgo; tuttavia negli elenchi delle opere (pubblicati da Argenziano 1996, pp. 103 – 143) per le quali venne chiesto e concesso il trasferimento in Russia, il trittico non figura. Da un’asta della collezione di Nicola Demidoff avvenuta a Parigi tra l’otto e il tredici aprile 1839 (cfr. Lugt 15370) sembra che il figlio Anatoli (San Pietroburgo, 5 aprile 1813 – Paris, 29 aprile 1870) abbia venduto alcune delle opere ereditate dal padre forse per il loro scarso interesse artistico, ma non mi è stato possibile consultare questo catalogo. Tullio Dandolo (1863, p. 325) ricorda che nella cappella cattolica della villa San Donato c’era una “tavola di Giottino, divisa […] in iscomparti, che sono tre, da cornici, e rappresentante con toccante magistero Angioli e Santi che fanno corona alla Madonna ed a Gesù infante”, ma la descrizione troppo generica suggerisce di lasciare in sospeso l’identificazione del trittico con quest’opera. Cesare da Prato (1886, p. 425), da parte sua, si limita a citare tre trittici in questa cappella. Dagli anni Sessanta, come riportato dal repertorio di Lugt (1938 – 1987) i Demidoff cominciarono a vendere progressivamente le collezioni della loro residenza parigina, delle ville fiorentine di Quarto e di San Donato, ma nei cataloghi che ho consultato del dipinto non risulta traccia: asta a Paris, 13 – 16 gennaio 1863 (n° 27065), Paul Demidoff; Paris 18 aprile 1868, Anatoli Demidoff (n° 30437); Paris dal 21 febbraio al 10 marzo 1870, Anatoli Demidoff (n° 31764). Mentre non è stato possibile vedere i seguenti cataloghi d’asta: Paris 3 febbraio 1868, Paul Demidoff (n° 30192); Paris, 1 – 3 aprile 1869, Paul Demidoff (n° 31127); Paris, 6 maggio 1873 (n° 33990). Alla morte di Anatoli l’intero patrimonio fu ereditato dal nipote Paolo (Francoforte sul Meno, 9 ottobre 1839 – Pratolino, Firenze, 26 gennaio 1885), figlio del fratello, anch’egli di nome Paolo, che tra il 15 marzo e il 10 aprile 1880 mise all’asta tutta l’intera collezione di opere d’arte e l’arredo della villa San Donato; ma anche nei due cataloghi di questa vendita il trittico non è menzionato. Parte della collezione venne trasferita nella sua nuova residenza a Pratolino, ma nemmeno nel catalogo dell’asta dell’arredo di questa villa (cfr. Sotheby’s, Firenze, 21 aprile 1869), poi ereditata dai principi di Jugoslavia, l’opera è citata. Inoltre non mi è stato possibile consultare i cataloghi delle aste della collezione del ramo russo dei Demidoff, citati dal Lugt (n° 8140 a Paris il 2 aprile 1812), e degli eredi: Paris, 6 luglio 1909 (n° 67817), Budapest, 29 – 30 marzo 1918, di Cornelia Demidoff (n° 77748), Amsterdam, 13 – 16 dicembre 1921 (n° 82889), Roma, 11 – 16 maggio 1925 (n° 88594).

E’ difficile ipotizzare in origine che aspetto avesse questo trittico; probabilmente era un dipinto di forma cuspidata con al centro l’immagine della Madonna col Bambino o la Crocifissione, i soggetti iconografici più tradizionali e ai lati due sportelli con le immagini dei santi che, quando erano chiusi, mostravano le insegne gentilizie dei committenti. Oppure poteva essere un retablo, suddiviso in tre scomparti, con ai lati i Santi.

Il San Michele nel 1993 si trovava sul mercato antiquario inglese (cfr. appunto manoscritto sul retro della fotografia del dipinto PI 0013/5/2 n° 29189 conservate nella Fototeca Zeri), mentre insieme al San Raffaele e Tobiolo, l’anno successivo era nella Galleria di Giovanni Sarti a Paris (com. or. Miklós Boskovits), quindi si tratta di due delle ultime opere acquistate da Carlo De Carlo. Attribuite ad anonimo emiliano da Federico Zeri (cfr. appunto manoscritto sul retro delle fotografie dei dipinti conservate nella Fototeca Zeri nella scatola di Piacenza, Reggio Emilia, Modena; PI 00113/5/3 n° 29190 per l’altro dipinto) le due tavolette sono state riferite alla cerchia di Giovanni da Modena nei cataloghi d’asta dell’eredità di Carlo De Carlo (Firenze, 11 giugno 2003, cat. n° 9 e Venezia, 17 aprile 2005, cat. n° 31, pp. 78 – 79) in cui viene ipotizzato che in origine esse facessero parte della predella di un polittico poi smembrato. Angelo Tartuferi (2007) nota nel dipinto l’influsso di Barnaba da Modena e una sensibile propensione neotrecentesca mentre Daniele Benati (com. or.) lo riferisce ad un pittore bolognese e coglie echi di Orazio di Jacopo e della produzione giovanile di Michele di Matteo. Il San Nicola, invece, nel catalogo dell’asta Christie’s del 1991 è stato genericamente riferito a Scuola Bolognese, con una datazione intorno al 1430.

Lo stile dei dipinti è tipicamente emiliano per la carica espressiva delle figure, che a tratti sfiora il caricaturale e il vivo interesse naturalistico col quale viene descritto il demonio oppure il pesce nell’altra tavoletta; questi elementi, insieme ai colori carichi, come il rosso vino della veste del San Michele e le capigliature gonfianti, richiamano alla mente un pittore come Giovanni da Modena, in particolare le figure del Dio Padre della cimasa e dei Dolenti dei tabelloni della Croce della Pinacoteca Nazionale di Bologna (cfr. Benati 2004, p. 174 cat. 59), eseguita nella seconda metà del secondo decennio del XV secolo. Il timbro umoristico dell’espressioni può rievocare anche il pittore bolognese Orazio di Jacopo, in particolare una sua inedita tavoletta frammentaria raffigurante San Pietro, già in collezione privata e attualmente presso l’antiquario Grassi di New York. Le masse espanse e le vesti costruite con grande senso di appiombo del San Raffaele, invece ricordano il dittico suddiviso tra la Fondazione Longhi (cfr. Benati in Goméz 1998, pp. 65 tav. 6, 155 cat. 6) e una collezione privata (ma già Lyon, coll. Aynard; cfr. Colléction Aynard 1913, tav. 31) di Stefano da Ferrara, databile verso la metà degli anni Venti pertanto, in base a tali analogie stilistiche, è possibile collocare l’esecuzione delle tavolette nel terzo decennio del XV secolo. Nei dipinti sembra di cogliere anche l’influsso della pittura piacentina: l’impaginazione e la cornice a bande rosse, bianche e verdi infatti, sono simili alle ante di un trittico – reliquiario dei Musei Civici di Piacenza, eseguito nell’ultimo decennio del Trecento (cfr. De Marchi 1998 in Il Gotico a Piacenza 1998, pp. 100 – 101, 175 – 176 cat. n° 18). La condotta pittorica morbida e pastosa e la preferenza per accordi cromatici che alternano colori pastello a tinte brillanti, insieme alla linea di contorno che evidenzia la consistenza plastica delle figure, invece, rivelano affinità stilistiche con le opere di Antonio de Carro; in particolare il San Nicola già New York, Christie’s 1991 mostra somiglianze fisiognomiche con quello del Sant’Agostino in trono tra due angeli (Parma, coll. privata; cfr. Gorni in Il Gotico a Piacenza 1998, pp. 109, 192 – 193 cat. n° 26), databile in base ad una documentazione perduta, al 1397. Ma allo stato attuale delle nostre conoscenze non è possibile arrivare ad un nome preciso per l’autore di questi due dipinti che hanno un notevole fascino per la raffinatezza e l’eleganza dell’esecuzione, curata fin nei minimi dettagli, tanto che è possibile pensare che quest’artista fosse anche un miniatore: si veda ad esempio la pelliccia del diavolo, delineata pelo per pelo con sottili e delicate lumettature, la lenticolare descrizione delle fasce dorate della tunica del San Raffaele, l’incresparsi della stola del piviale di San Nicola e soprattutto le splendide masse gonfianti dei capelli degli arcangeli, impreziosite da un nastro, e di gran sciccheria, quasi come se fossero appena usciti dal parrucchiere, e il modo di rendere le ombreggiature attraverso delicati passaggi tonali. Tale attenzione verso una rappresentazione analitica si nota anche nella descrizione delle vesti eleganti e all’ultima moda: San Michele indossa una corta vestezola maschile caratteristica del ’400 (p. 314 fig. 145) molto attillata e decorata con girali d’acanto e una partizione che ricorda corazza, gambiere e calzari di ferro a punta mentre nell’altra tavoletta il Tobiolo ha una gonnella infantile e delle calze solate, corte a mezza gamba, con l’orlo accuratamente arrotolato (Ibidem, pp. 313 fig. 144, 314 fig. 145 e 370 – 371). Anche l’esecuzione tecnica è molto raffinata: splendido è il particolare della ali direttamente sgraffite sull’oro e poi punzonate nella parte superiore per farle acquistare una volumetria. I movimenti del San Michele sono gentili ed insieme energici come l’avvitamento del braccio sinistro nel tentativo di allontanare la bilancia da Satana oppure la posizione delle gambe, una protesa per bloccare il demonio mentre l’altra piegata per controbilancia il peso del copro. In conclusione, si tratta di due opere davvero suggestive e di estrema qualità e raffinatezza, realizzate da un pittore ancora ignoto, ma dotato di una forte personalità artistica che, data la provenienza del complesso, in passato (2007) ho indicato con la denominazione provvisoria di Maestro del Trittico Demidoff.


Bibliografia

A. Lenza, in Le opere del ricordo. Opere d’arte dal XIV al XVI secolo appartenute a Carlo De Carlo, presen- tate dalla figlia Lisa, ed. A. Tartuferi, Firenze 2007, pp. 32-37

A. Lenza, in The Middle Ages and Early Renaissance. Paintings and Sculptures from the Carlo De Carlo Collection and other provenance, Firenze 2011, pp.142-151

November 25, 2022