loading...

Guillaume Dénervaud: bello come il post-apocalittico può essere

Samuel Haitz

Guillaume Dénervaud dà forma a un uno scenario post-apocalittico, frutto della nostra incuria per l’ambiente

A parte l’aver letto 1984 di George Orwell (1949), mi occupo raramente di fantascienza: la mia conoscenza in quest’area è limitata, pertanto comprende una varietà di narrazioni utopiche e distopiche. Invece, l’opera dell’artista svizzero Guillaume Dénervaud (Fribourg, 1987) è profondamente influenzata da questo genere e si colloca da qualche parte all’interno di tale spettro. Nei dipinti, che trascendono sia l’astratto che il figurativo, l’artista evoca visioni microscopiche e, contemporaneamente, la possibilità di una vita organica che si riappropria del pianeta. In questo mondo post-apocalittico, la materia vegetale sovrasta ciò che è stato creato e poi distrutto dall’uomo dell’Antropocene.

Nella mostra di Guillaume Dénervaud allo Swiss Institute di New York, intitolata Ozoned Station (2023), incontriamo sei di questi dipinti, meticolosamente eseguiti a matita, tempera e olio su lino. Dénervaud si avvale di stencil per disegni architettonici, reliquia dell’epoca precendente ai personal computer. Forme che possono essere interpretate come fiori, fuochi d’artificio, forme simili a ventagli e mulini a vento, pianeti e reti neurali si estendono densamente su queste tele. Le tonalità terrose e vivaci dei dipinti derivano dall’impiego di pigmenti naturali, ricavati dalla flora, della fauna e dai minerali, che vengono poi stesi in strati traslucidi; piuttosto che vera e propria pittura, la piattezza con cui il colore viene applicato sembra essere un metodo di disegno.

Installation view, Guillaume Dénervaud, “Ozoned Station,” Swiss Institute, New York, 2023. Image: Daniel Pérez, Swiss Institute. Courtesy of the artist and Bel Ami, Los Angeles.

Il compito di inserire l’opera di Guillaume Dénervaud all’interno di un discorso sulla pittura contemporanea è reso improbo dall’arsenale di tecniche e riferimenti a disposizione dell’artista. Pur paragonando il suo del processo di diluizione dei pigmenti bruni Cassel (ottenuti dalle miniere di lignite) all’uso del bruno di Van Dyck, ossia all’instabile colore bituminoso a base di carbone usato dal grande maestro fiammingo e dal suo coetaneo Peter Paul Rubens, l’artista non si ispira direttamente alla loro tecnica. “Ho fatto molte ricerche sui pigmenti storici e naturali” spiega, e aggiunge: “il fondo dei miei dipinti è preparato con una miscela di colla di pelle di coniglio e un pigmento minerale grigio-verde che asciugandosi crea una superficie pittorica molto assorbente… Mi interessa contrapporre una tecnica che potrebbe essere considerata arcaica, addirittura obsoleta, come quella che impiega sostanze come la tempera o la caseina, a soggetti legati all’industrializzazione, oppure all’idea di una natura antropica”. Le opere di Dénervaud funzionano infatti nel singolare ecosistema della sua pratica artistica. I suoi dipinti non sono alla moda d’oggi, eppure non sembrano vecchi. E pur essendo belli nel senso in cui possono esserlo certi paesaggi post-apocalittici, sarebbe impreciso definire le sue tele “decorative”. Si tratta piuttosto di un’asimmetria ambivalente, secondo termini stabiliti dell’artista stesso. Dénervaud non si può dire contemporaneo, o anti-contemporaneo. Ed è proprio il fascino sfuggente e senza genere di queste tele ciò che scatena immediato interesse.

Guillaume Dénervaud, Volatility Orb’1, 2023, blown glass, light bulb, electrical cable. Image: Daniel Pérez, Swiss Institute. Courtesy of the artist and Bel Ami, Los Angeles.

La mostra all’Istituto Svizzero presenta anche tre disegni incorniciati, eseguiti con inchiostro di China, che ampliano i soggetti dei dipinti in modo quasi comico. Uno di questi, Whisper Something, del 2022, presenta due figure aliene i cui corpi sono stati incorporati da Guillaume Dénervaud con un sistema interconnesso, quasi aggrovigliato, di tubi e tubature. Le pareti dell’Istituto Svizzero sono state trattate con una vernice contenente il pigmento terra d’ombra che ha dato origine a una patina che richiama i residui polverosi lasciati dalla produzione industrializzata e dall’inquinamento che ne deriva. “Questo gesto è più legato alla pittura che alle opere su tela”, spiega l’artista. La scultura in acciaio a forma di S (InOut Capacities, 2023) funge da panchina per i visitatori. Un’altra scultura, a forma di ventilatore da soffitto (Please note, they are fading, 2023), traduce sul piano tridimensionale uno dei motivi pittorici preferiti dall’artista, raddoppiando l’atmosfera (post-)industriale della mostra. I pezzi più sorprendenti si trovano nel corridoio che conduce allo spazio espositivo. Per Volatility Orb ‘1, Changeability Orb ‘2 e Levity Orb ‘3, tutti del 2023, Dénervaud ha appeso tre sfere di vetro soffiato a mano di colori diversi, formando inavvertitamente un sistema solare in miniatura. Una dichiara di fluttuare; le altre due sono più affaticate, bloccate a mezz’aria, appollaiate contro la parete. Ciascuna delle sfere, dotata di lampadine, produce un bagliore inquietante e un’atmosfera psichedelica nel corridoio, un effetto che si percepisce durante tutta la presentazione.

Guillaume Dénervaud, detail of Mr Miles Adjusts the Filaments of the Lantern, 2023, oil, tempera, and pencil on linen. Image: Daniel Pérez, Swiss Institute. Courtesy of the artist and Bel Ami, Los Angeles.

Con Ozoned Station Guillaume Dénervaud dà forma a una delicata interpretazione di uno scenario post-apocalittico abbandonato, gestendo gli effetti minacciosi della nostra incuria nei confronti dell’ambiente ed evitando di adottare il tono moralistico impiegato da molti suoi colleghi. Il suo lavoro sembra invece proporre un esito vivibile per le generazioni a venire, suggerendo la possibilità di un recupero ecologico o, più colpevolmente, la capacità della natura di adattarsi. 

Per quanto riguarda l’adattamento, la pratica di Guillame Dénervaud non è caratterizzata da significativi cambiamenti estetici, ma da una continua evoluzione. Un passo conduce chiaramente a un altro. Radicato nel disegno, Dénervaud muove con facilità verso nuovi formati, tecniche e persino dimensioni. Sebbene i suoi disegni non appaiano schizzi preparatori, è evidente la loro influenza sul linguaggio visivo che l’artista applica utilizzando altri medium. L’artista esprime con chiarezza la sua posizione: “Posso disegnare senza avere un progetto preciso in mente – dice -, ossia qualcosa che è impossibile fare quando si fa una scultura, per esempio”. Ecco che Dénervaud rivela le due metà della sua poetica, spiegando anche come durante il periodo di ideazione di una mostra egli pensi attraverso la lente del disegno, e come dopo l’inaugurazione la intenda “come una forma di archiviazione”. Questa strategia di ripetizione e variazione senza fine potrebbe risultare noiosa, o persino troppo lenta per il mondo dell’arte; ma nel caso di Dénervaud non è derivativa o auto-plagiante, bensì convinta e sincera. La costante reiterazione rende la sua nozione intrinseca di “pratica” precisa e ricorrente.

Guillaume Dénervaud, Whisper Something (detail), 2022, China ink on watercolor paper, 12 x 9 in. (30.5 × 22.9 cm. Courtesy of the artist and Bel Ami, Los Angeles.

All’interno della consistenza attualmente omogenea del corpo di disegni, dipinti e sculture di Giullaume Dénervaud, ci sono macchie di tensione tra futurismo e realismo, tra galattico e distopico, tra abbandonato e reliquia. L’artista è riuscito ad affinare una posizione artistica unica – una nicchia tematica e visiva, geometricamente orientata – tracciando solo una tangente al cerchio delle onnipresenti rappresentazioni del disfacimento e di altre “anti-estetiche” dell’arte contemporanea.

Di recente ho fatto un sogno, stimolato dalla poetica in questione. Cammino mano nella mano con una recente conoscenza e insieme entriamo in una casa di Zurigo, la stessa in cui ho vissuto alcuni anni fa. L’abitazione è ormai fatiscente, come se fosse stata abbandonata da secoli. La maggior parte delle finestre sono rotte, l’accumulo di sporcizia e polvere sui muri ricorda la patina di quelli della Ozoned Station. Tutti i miei mobili sono ancora nella stanza, come se non mi fossi mai trasferito, anche se le piante sono cresciute troppo, soffocando tutte le superfici disponibili. Uno sciame di cimici asiatiche, introdotte per la prima volta in Svizzera durante la ristrutturazione del Chinagarten Zürich nel 1998, si è insediato nell’armadio, ignorando il valore sentimentale dei cimeli che vi sono conservati. La lampadina della lampada di carta di riso funziona ancora, ma l’economico paralume è strappato e scolorito; è un’immagine che credo il mio cervello abbia creato fondendo i ricordi di una serie di lampade di carta assorbente incollate dell’artista Tobias Madison, anch’egli svizzero, e delle prime sfere di vetro di Dénervaud – Strata (2020). La distruzione della mia vecchia casa da parte di una forza sconosciuta e l’invasione della natura al suo posto – una narrazione che si ricollega all’opera di Dénervaud – si sono susseguite. Come la strana associazione della bellezza nel suo lavoro, lo scenario post-apocalittico in questo sogno era rilassante e lucido come un trip di psilocibina. Non mi considero un esoterista, ma è solo dopo questo sogno che ho capito la funzione dell’irrazionalità per Dénervaud, ovvero qualcosa che avevo cercato invano di decifrare e a cui avevo cercato di dare un senso quando ero sveglio da giorni.

September 29, 2023