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Lotte Andersen e le forze che ci guidano attraverso la storia

Samantha Ozer

Lotte Andersen interroga i simboli culturali che normalizzano le narrazioni passate di identità, potere, oppressione e privilegio

Sospesa tra scultura, video, carta, spazio e suono, la pratica di Lotte Andersen è di fatto un processo di assemblaggio. Andersen cuce i media tra loro, sutura archivi privati con la cultura popolare, stratifica geografie, seziona e riformula storie umane. Opera come un’archivista, catalogando gli aspetti della cultura britannica attraverso la lente della storia della propria famiglia, spesso traendo riferimenti, oppure prelevando oggetti dal negozio di antiquariato dei nonni, a Londra, e attingendo dalla vasta collezione di dischi del padre. Andersen si muove anche come un collezionista di vinili, che spulcia sui banchetti dei mercatini per scovare qualche cimelio. Come si fa con i dischi, va a caccia di immagini, suoni e ritmi per disegnare un viaggio personale tra la Gran Bretagna, suo luogo di nascita, e l’America Latina, che è diventata la sua casa. La mostra intitolata Crowds and Crate Diggers, da Helena Anrather Gallery a New York, è la prima personale di Andersen negli Stati Uniti. Offre un quadro completo del modo sfumato in cui Andersen danza tra i vari medium, spesso tracciando un filo simbolico tra suono e immagine.

Installation view, Lotte Andersen, Crowds and Crate Diggers, Helena Anrather Gallery, New York, 2023. Courtsey of the artist and Helena Anrather Gallery.

Si consideri il modo in cui le opere a parete, in questa mostra, vengono stratificate. Ogni opera è costruita su manifesti di musica Chicha, che Lotte Andersen ha raccolto girando per Lima con il proprio compagno. La Chicha, una forma di cumbia peruviana, è il risultato del mix tra i ritmi della musica tradizionale andina e i suoni della chitarra elettrica del rock psichedelico degli anni Settanta. Come questo stile musicale, anche i manifesti sono elaborati attraverso vari gradi di visibilità, con la parola “corazón” (cuore) tagliata mentre si estende sul piano (in Tiny Dancer, 2023), con il blu brillante che emerge dal paesaggio (Fools Rush, 2023), e con un manifesto quasi interamente coperto (Dancing Froglet, 2023). Sopra i poster sono incollati ritagli di giornale, adesivi, stampe xerox di foto di famiglia, ritagli di carta velina, tortilla di stelle, note musicali che irrompono nell’immagine e creano punti di congiunzione tra diversi campioni di materiale di partenza; nello stesso modo in cui i vecchi generi musicali hanno influenzato la Chicha. All’interno delle sonorità surf rock della Chicha si nascondono storie di migrazione e ibridazione culturale dall’America Latina interconnessa con l’Africa e l’Europa attraverso le eredità del colonialismo.

Lotte Anderson, Dancing Froglet, 2023, found posters, tissue paper, white paper, tape, and glue, 78 x 56.6 cm. Courtesy of the artist and Helena Anrather Gallery.

La cumbia emerge per la prima volta in Colombia, sviluppandosi dal confronto tra le culture indigene americane, africane ed europee. Presto si diffonde in tutta la regione e, negli anni Sessanta, diventà popolare in Perù, soprattutto tra le comunità andine emigrate in massa a Lima negli anni Cinquanta e tra i migranti amazzonici. Qui i ritmi percussivi della cumbia incontrano i suoni della chitarra e del flauto dell’huayno, la musica popolare andina tradizionale, riflettendo sia la metamorfosi degli stili che si intersecano in un paesaggio urbano sia il ruolo di primo piano che le comunità di immigrati hanno nel plasmare la cultura urbana. In quello stesso periodo, la linea materna di Lotte Andersen si sposta dalla Dominica alla Gran Bretagna, come parte della Windrush Generation. Analogamente all’afflusso di peruviani rurali a Lima, spinti dalle opportunità di lavoro, un’ondata di immigrati dai Caraibi si stabilisce in Gran Bretagna per poi influenzare la cultura locale, infondendo nuovi stili nelle scene della musica e della moda. In Midnight (2023), copie xerox delle fotografie della famiglia dell’artista, di tre bambini neri vestiti e in posa per una foto, riempiono la bolla di una nota musicale che esplode in una scena più ampia, disseminata di altre note che esplodono con titoli di giornali e immagini storiche frammentate.

Lotte Andersen, Midnight, 2023, found posters, tissue paper, tortilla paper, luster poster, pva, fabric, tape, newspaper cuttings, and xerox copies, 163.5 x 152.3 cm. Courtesy of the artist and Helena Anrather Gallery.

Questi collage sono allo stesso tempo un’archiviazione personale e storica che traccia il percorso di un viaggio artistico attraverso le generazioni e gli oceani. La musica Chicha, la danza e la cultura visiva che l’accompagnano sono un’altra manifestazione dell’assemblaggio di diverse culture che si sono trasformate, spezzate e riconfigurate per dare vita a nuovi processi creativi e forme d’espressione. Accanto alla Chicha, alla tropicália in Brasile, alla scena punk nel Regno Unito e alla musica organica di Don e Moki Cherry in Svezia, c’è l’emergenza dei moti giovanili negli anni Sessanta, delle rivoluzioni nella musica e nella moda lanciate dalle giovani generazioni. Lotte Andersen si colloca all’interno di questa temperie di artisti, musicisti e designer che lavorano attraverso i media e al di là delle geografie; oppure, come spiega l’artista, che “vivono il loro lavoro”. Non deve sorprendere che una delle sue prime incursioni nella comunità creativa sia stata l’apprendistato presso il leggendario sarto londinese John Pearse, attivo sulla scena punk rock britannica.

Piuttosto che da una formazione tradizionale di impronta accademica, Lotte Andersen impara da personaggi come Pearse, per poi crearsi una propria rete di collaboratori. Dal 2011 al 2016 gestisce MAXILLA, cioè una serie di feste organizzate nella zona ovest di Londra, nate in parte come risposta all’eccessiva saturazione delle notti dell’East London e in parte come modo per onorare la scena creativa della West London propria della generazione dei suoi genitori. All’inizio gli eventi sono circoscritti a invitati raccolti attraverso Facebook, in modalità più simile a una festa di compleanno che a una serata professionalmente organizzata – gli inviti possono anche essere visti come la prima incursione dell’artista nel collage e negli esperimenti con il testo e la composizione.

Lotte Andersen, Typical Girls, 2023, newsprint, acrylic nails, and wrapping paper, 24.1 x 21.6 cm. Courtesy of the artist and Helena Anrather Gallery.

In un volantino per promuovere la festa di chiusura del 27 maggio 2016 c’è una foto ritagliata di una coppia che si bacia, con la frase “Born to Celebrate” strappata dai giornali e incollata con lo scotch sopra e sotto all’immagine. In un altro, una stringa di messaggi di testo che recita “you’re so banging / your body is unreal / you’re great fun”, arricchita di un’emoji a forma di labbra umane, è sovrapposta a schermate di dipinti e altre immagini pescate da Internet. Alcuni manifesti interamente testuali, scarabocchiati con il pennarello, recitano: “At Maxilla We’re Really Into Attitude / You Can’t Buy Style / Boycott Shop the Look” e “somethings changing in West London / and No it’s Not a Fukinnew shop on Westbourne Grove.” In questi scambi tra amici e amanti, usati per promuovere un evento musicale, Lotte Andersen racconta attraverso la lente della comunità a cui appartiene le ansie e le realtà del paesaggio londinese in trasformazione, usando la musica come stimolo per riunirsi. Nel suo recente Typical Girls (2023) è possibile vedere la traccia di questi manifesti. Su una pagina ritagliata da un libro spagnolo che include il disegno di una coppia che balla, Andersen ha posizionato unghie acriliche con simboli e colori dei tropici, una nota musicale rossa e la frase “A party will be such a treat”.

Le feste richiedono partecipazione, le persone devono presentarsi. Ma perché una festa sia grandiosa gli ospiti devono essere anche attivi; devono ballare, o almeno saper offrire uno sguardo, o un atteggiamento. Le installazioni di Lotte Andersen funzionano in modo simile. Lavorando con una rete di collaboratori, Andersen stila una lista di ospiti e fa entrare le persone nell’opera d’arte, spesso attraverso la loro partecipazione diretta alla sua creazione. In seguito, gli amici degli amici si sentono collegati al progetto identificando le persone che conoscono e l’opera si trasforma così in un luogo di incontro, resistenza e gioia. Dance Therapy (2017-) potrebbe essere il lavoro in questo senso più emblematico. Invitata dalla curatrice Cairo Clarke ad una residenza da Guest Projects, a Londra, Lotte Andersen allestisce uno studio cinematografico e invita a sua volta alcuni amici a ballare davanti alla telecamera. In seguito organizzerà altri “capture parties“, per poi montare filmati e organizzarli in installazioni video multicanale. Entrambe le forme di performance sono presentate alla Whitechapel Gallery di Londra e presso la Hyundai Card Storage Foundation di Seoul. 

Installation view, Lotte Anderson, Dance Therapy, The Koppel Project, London, 2018. Courtesy of the artist.

Attraverso questo progetto multimediale, Lotte Andersen chiede agli spettatori di confrontarsi con la politica dell’occupazione dello spazio, ottenendo al contempo di farne parte. Come nella serie Chicha, anche in questo caso ci sono momenti di offuscamento e di visibilità che spingono gli spettatori a considerare le forme in cui certi persone sono avvantaggiate rispetto ad altre, e come le dinamiche di gruppo operano e si modificano. Attraverso processi di cura e di editing, l’artista scompone il materiale visivo e sonoro per offrire al pubblico una linea guida seguendo la quale possa sperimentare attivamente. Nella sua serie di puzzle creati per la prima volta per la mostra collettiva All Opposing Players (2022) da David Kordansky, a Los Angeles (co-curata dalla sottoscritta), e successivamente adattati in nuovi pezzi da Helena Anrather, Lotte Andersen invita il pubblico a giocare con il proprio lavoro. Tagliati in triangoli, stelle, note musicali, pugni e pezzi degli scacchi, i puzzle di legno portano con sé una serie di riferimenti simbolici, allusioni a episodi storici di violenza, emblemi personali. Ai pezzi sono allegate fotografie tratte da album di famiglia che ripercorrono i viaggi di ogni linea familiare verso la Gran Bretagna – dai Caraibi da un lato e dall’India e dal Sudafrica dall’altro – oltre a ritagli di notizie tratte da pubblicazioni britanniche, mappe e appunti di varia natura.

Lotte Andersen, Fortuna, 2023, wood, acrylic, paper, polyurethane, and plaster, 46 x 30 cm. Courtesy of the artist and Helena Anrather Gallery.

Come ho scritto nel testo della mostra in questione “per Lotte Andersen un puzzle è uno strumento per riflettere sulle pressioni del suo retaggio meticcio e sui sentimenti di frammentazione, nonché sul potere insito nei molti pezzi che poi compongono un insieme ricco di sfumature”. In un’opera come Fortuna (2023), lo spettatore ha la possibilità di sezionare e ricomporre il ritratto di uno dei membri della famiglia dell’artista, controllando così i mezzi con cui la sua immagine è resa leggibile. Giocando con i puzzle, il pubblico assume il ruolo di quelle forze politiche esterne che plasmano le vite e dettano il grado di potere e di presenza pubblica di individui o comunità. Fornendo al pubblico la possibilità di collaborare alla scomposizione, all’elaborazione e persino alla riforma di questi pezzi, Andersen suggerisce che la storia è malleabile e molteplice. Ci spinge a riflettere sugli effetti delle icone culturali più longeve. Il suo lavoro si chiede come la storia informi il nostro momento attuale; nello specifico, interroga i simboli culturali che normalizzano le narrazioni passate di identità, potere, oppressione e privilegio. Come sono cambiati tali simboli nel tempo? A cosa servono oggi?

Lotte Andersen, Chaos has no morality II; Lullaby for expansion, 10 Ideologies, 2022, speakers, amp, media player, sound, 5 minutes 55 seconds, dimensions variable. Courtesy of the artist and Helena Anather Gallery.

Per affrontare al meglio questa domanda Lotte Andersen assume il ruolo del DJ, una figura che lavora sia come cercatore di dischi che come archivista, rovistando nella storia per condividere e persino remixare il materiale più vecchio per reinterpretarlo in un contesto contemporaneo e contemporaneamente catalogarlo nella memoria storica. In Chaos has no morality II; Lullaby for expansion, 10 Ideologies (2022-), Andersen presenta un’opera sonora multicanale che si è sviluppata da un’installazione audio a tre canali creata per la prima volta per la mostra da David Kordansky. Concepita come un esperimento per creare un inno decostruito, l’opera fa riferimento alla filastrocca razzista intitolata “Ten Little Injuns”, oppure “Ten Little Indians”, nonché a certi inni nazionali. L’idea è quella di rivelare la violenza e il razzismo presenti in molte filastrocche per bambini, ma anche ripercorrere la storia degli inni nazionali e la qualità ipnotica del “gancio” musicale.

Come il suo approccio a MAXILLA, in cui ha riunito una rete di collaboratori, questo viaggio sonoro è per Lotte Andersen il risultato di una stretta collaborazione tra altri artisti, amici e familiari; tra questi ci sono il suo partner, l’artista Alonso Leon-Velarde; la sorella, ossia la cantante Nancy Andersen; suo padre, il produttore musicale Toby Andersen; il musicista Ian Duclos. In Synthetic Opus (2023), una performance dal vivo che ho commissionato all’artista e a Leon-Velarde per il TONO Festival di Città del Messico, la coppia ha ampliato la sua rete di contatti collaborando con Naima Karlsson, nipote di Don e Moki Cherry, e con Max Manzano, musicista e compositore messicano, per continuare la ricerca sul collage di tracce sonore tratte dalla storia musicale di Messico e Perù. Per Lotte Andersen, “il suono è un oggetto nello spazio”, una presenza fisica e un collaboratore alla pari. È l’attore principale che attraversa il suo lavoro per irrompere attraverso i collage di carta ed emergere in paesaggi sonori collegati tra loro. È la forza che guida gli spettatori attraverso la storia.

October 10, 2023