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Arte Povera: sei documentari (parte prima)

Francisca Parrino & Stefano Pirovano

I protagonisti dell’Arte Povera raccontati in sei documentari, disponibili in streaming grazie a una rassegnata curata da Audiovisiva e CFArts

In collaborazione con Audiovisiva, piattaforma educational italiana che dal 2021 rende disponili in streaming documentari su arte, architettura e design, siamo lieti di presentare la prima parte di Arte Povera: sei documentari, una rassegna cinematografica online dedicata ai protagonisti del movimento artistico italiano più importante del secolo scorso, l’unico ad avere avuto un’effettiva portata internazionale, ossia a essere riuscito a portare gli artisti che ne hanno fatto parte nelle collezioni pubbliche e private più importanti al mondo. A circa sessant’anni dalla nascita dell’Arte Povera, avvenuta in momento che, come chiariremo in uno documento che pubblicheremo a breve, attende ancora essere precisato storicamente, ripercorrere le vite dei alcuni dei suoi protagonisti vuole prima di tutto essere un modo per ispirare le nuove generazioni di artisti, che di quella straordinaria convergenza di talenti sono senz’altro i più importanti osservatori. In ogni tempo e regione del mondo, infatti, tra i segnali che rivelano l’importanza di una certa pratica artistica c’è la capacità di tale pratica di ispirare chi viene dopo, anche a distanza di tempo. Non è forse grande arte quella che produce nuova arte? Sono dunque gli artisti del presente – ogni presente – a scegliere, con i propri maestri, anche quale passato diventerà futuro. In questo senso l’efficacia del linguaggio cinematografico e la potenza dell’immagine in movimento sono senz’altro alleati desiderabili, al servizio dei testimoni oculari. Buona visione.

Intorno a Marisa: le opere, gli amici, le parole di Marisa Merz

regia di Simona Confalonieri
Italia, 2013, 26′

Marisa Merz è una figura cruciale dell’arte italiana del secondo dopoguerra e una voce eccentrica nel mondo dell’arte contemporanea. Con lei, lʼArte Povera ha fatto il suo debutto sulla scena internazionale; moglie e compagna d’arte di Mario Merz, oggi il suo valore è evidente nelle più importanti collezioni museali del mondo. Marisa Merz cʼè sempre, con la sua personalità, con la sua ironia, con le sue opere, con le sue relazioni. Il suo lavoro non è mai finito. Ma le fotografie e le riprese televisive non le sono mai piaciute. Il film racconta la componente domestica della sua arte, il tempo e la modalità inediti con cui l’artista amalgama la sua arte alla sua vita. Nel film è inedita anche la voce di Marisa che parla di sé sullo sfondo delle case studio di Torino e di Milano e della mostra che la Fondazione Merz le ha dedicato nel 2012. Intorno a Marisa, un coro di voci partecipa a questo racconto: amici, artisti, storici dell’arte, curatori e galleristi che dentro a questa storia ci sono stati e l’hanno condivisa.


Michelangelo Pistoletto

regia di Daniele Segre, 2013

Il rapporto insolito tra il regista del cinema della realtà e l’artista di fama internazionale rappresenta un momento importante nel percorso cinematografico di Daniele Segre; un rapporto nato casualmente a Torino alla conferenza stampa del Prix Italia nel settembre 2012 e che si è rafforzato nel corso delle riprese realizzate nel dicembre 2012 alla Cittadellarte-Fondazione Pistoletto di Biella trovando un punto in comune nella consapevolezza nel reciproco impegno sociale. Nel corso degli anni Novanta Michelangelo Pistoletto, con Progetto Arte e con la creazione a Biella di Cittadellarte-Fondazione Pistoletto e dell’Università delle Idee, ha messo l’arte in relazione attiva con i diversi ambiti del tessuto sociale al fine di ispirare e produrre una trasformazione responsabile della società.
Nel 2003 è stato insignito del Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia. Nel 2004 l’Università di Torino gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze Politiche. In tale occasione Pistoletto annuncia quella che costituisce la fase più recente del suo lavoro, denominata Terzo Paradiso. Nel 2012 si fa promotore di Rebirth-day, prima giornata universale della rinascita, un’iniziativa che ha dato vita ad oltre un centinaio di eventi in tutto il mondo il 21 dicembre. Nel 2013 il Louvre di Parigi da aprile a settembre espone la sua mostra personale: Michelangelo Pistoletto, année un-le paradis sur terre.


Memoria dei fluidi: Giuseppe Penone scultore

regia di Giampaolo Penco, 2012

L’incipit del film è la ripresa delle fasi di costruzione ed installazione di una grande opera pubblica in bronzo per il GAM di Torino: IN LIMINE. L’opera che viene scoperta dal Presidente Giorgio Napolitano in occasione della ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Da qui si inizia a raccontare l’opera dell’artista. Dalle sue opere degli ultimi anni come “Sculture di linfa”, installazione presentata alla Biennale di Venezia del 2007 e adesso al Maxxi di Roma, 1’«Albero delle vocali» nel giardino delle Tuileries a Parigi, un albero in bronzo, divelto, che estende i suoi rami sulla superficie del terreno risaliremo fino ai suoi inizi, le scelte radicali, l’opposizione alla cultura internazionale dell’epoca, che già flirtava con le mode del consumo, la scelta di lavorare nel paese di montagna in cui è nato, Garessio, il fascino delle tradizioni popolari, che affondano le loro radici nella magia dei luoghi e del paesaggio. A Garessio è rimasta la casa di famiglia, l’infanzia tra i paesaggi montani, l’esperienza familiare di un nonno scultore ed un padre agricoltore, l’eco internazionale che la sua azione artistica raggiunge fin dagli esordi dei primi anni ’60. In mezzo c’è il nucleo del suo lavoro: “qualsiasi movimento nello spazio ha già in sé tutti i caratteri della scultura. Respirare è scultura come un’impronta digitale è un’immagine pittorica. Nel mio lavoro, spesso rendo visibile un gesto che normalmente può essere automatico, involontario; sono le forme legate al volume e alle azioni del nostro corpo. Un soffio di vento equivale a un respiro”. Ci sono quelli che vivono e lavorano con lui, la famiglia, gli artigiani e gli assistenti, quelli che danno forma al suo pensiero, quelli che lo conoscono fin dall’inizio, come Germano Celant, quelli con cui c’è un rapporto di stima e di collaborazione come Daniel Soutif. C’è l’idea di identità, che si materializza nell’impronta, la contraddizione della cultura contemporanea che ci spinge a cancellare la nostra identità, mentre l’arte chiede di affermarla. E poi c’è la natura, che si confonde con l’uomo, e l’uomo che “fluisce” nella natura.
 


Tutto su mio padre, Fabio Sargentini

regia di Fabiana Sargentini, 2003

Il film girato da Fabiana, figlia di Fabio Sargentini, rievoca la carriera di uno dei più interessanti galleristi italiani, e ripercorre la storia dell’Attico, celebre galleria romana che ospitò opere e performance di Pascali, Kounellis, De Dominicis, Ontani, Merz, Lewitt, Oppenheim, Tinguely, Trisha Brown, Philip Glass e molti altri.


Pino

regia di Walter Fasano

Roma, estate 1968. Pino Pascali, all’apice di un fulminante percorso artistico, muore giovanissimo in un incidente in motocicletta. Con lui scompare uno dei protagonisti di una straordinaria stagione creativa dell’arte italiana e internazionale. Cinquant’anni dopo il Museo Pino Pascali di Polignano a Mare, terra d’origine di Pino, compra ed espone la sua opera Cinque Bachi da Setola e un Bozzolo. Il racconto del ritorno nei luoghi delle proprie origini è l’occasione per una riflessione su Pascali in una dimensione narrativa in cui spazio e tempo si piegano e si cancellano.


Fabro

regia di Giampaolo Penco

Luciano Fabro è tra gli iniziatori di Arte Povera, di Aptico, della Casa degli Artisti di Milano. Le sue opere sono nelle collezioni del Moma, del Beaubourg, della Tate Gallery. Il film segue Fabro al Centre Pompidou nel ‘96, alla Biennale di Venezia del ‘97, a Basilea, Milano e all’Accademia di Brera.

Quando l’arte, anche se e’ povera, consegna nobilta’ al cinema

di Pino e Rossella Farinotti

Niente è più naturale del cinema che si ispira all’arte. Naturale perché la pittura è arte nobile e il cinema deve ancora darsi una dimensione in quel senso. Dicono “settima arte”: appunto, ce ne sono sei prima di lui. Premessa. Maestri a fronte di maestri. In sintesi colpevole certo: Kubrick, accettava e coltivava quella nobiltà superiore dell’arte figurativa, ha studiato Mondrian, nel suo “2001” e Gainsborough e Zoffany in Barry Lyndon. Dreyer riproduce Rembrandt in Dies irae; Eisenstein ha ben presenti Golovin e Schwarz in Ivan il terribile. Ford recupera Remington in Sentieri selvaggi. Antonioni ha studiato Rosenquist per Zabriskie Point. Il Nosferatu di Herzog è una derivazione di Friedrich. Giganti della pittura in società – con partecipazione maggiore- coi loro omologhi del cinema. Punta dell’iceberg, certo. E come non citare l’Urlo di Munch, usato dovunque, anche nell’animazione.

Dunque arte classica e nobile a ispirare. Poi irruppe l’”arte povera”. Definizione fulminea: il movimento è legato all’arte concettuale, rifiuta i mezzi espressivi tradizionali come la pittura e la scultura e impiega materiali “non artistici” poveri appunto. Gli elementi sono legno, pietra, terra, stracci, vegetali, plastiche, luci al neon, cascami industriali. Una povertà che gli artisti fondatori (Anselmo, Boetti, Calzolari Fabro, Merz, Paolini, Pistoletto fra gli altri) hanno trasformato in potenza e ricchezza. Ci sono lavori, come Mai alzato pietra su pietra di Merz, La Venere degli stracci di Pistoletto, Piede di Fabro che si allineano alla categoria delle opere storiche dall’arte.

Alighiero Boetti, Manifesto, 1967, offset print, cm100 x 70. Courtesy of Archivio Alighiero Boetti.

Se scrivi di arte e di cinema è legittima l’anarchia, se sai motivarla e darle un senso. Il lemma è: analogia. Il cinema di quegli anni sessanta. La memoria di getto e involontaria richiama la Nouvelle vague. Omologo di Celant è il critico André Bazin. Gli esecutori registi sono Godard, Truffaut, Rohmer, Chabrol, Resnais, Rivette. Tutta gente con base di scrittura. Animata da uno spirito rivoluzionario violento che derivava da una cultura profonda della disciplina cinema. Passati dalla scrittura alla regia, ritenevano di stravolgere il senso del racconto: non un metodo di messa in scena, di proposta visiva di una sceneggiatura, ma privilegiando la scrittura, soprattutto sé stessi come protagonisti del pensiero “autoriale” e dispensatori della propria poetica, lontana dalla tradizione e dalle convenzioni. Erano tutte persone intelligenti capaci di immaginare contenuti diversi, appunto. Ma nel tempo la loro proposta ha perso sostanza. La Nouvelle vague rimane un’invenzione che vai a scoprire se frequenti una scuola e devi studiare cinema. Certo, quell’intelligenza … sussiste.

“Sostanza” e analogia. Non è blasfemo se una delle definizioni può essere “povera”, certo allineata al concettuale e alla sostanza del concettuale che significa cinema di una certa qualità, del resto riconosciuta e accreditata anche se la devi scovare nelle rassegne. Dovendo fare la rivoluzione per prima cosa occorreva intervenire sull’evasione e lo spettacolo. Sostituiti dal puro pensiero. E quei film si proponevano nella “povertà” magari nobile, del bianco e nero. Spesso non presentavano modelli per un’identificazione o per il sogno. Il pensiero e l’intelligenza dovevano compensare quella che è la prima opzione del cinema, l’evasione e il sogno, appunto. Si trattava di considerare quella povertà di sostanza e quella qualità concettuale. Sono state citate alcune opere di arte povera. A fronte ecco alcuni titoli che, comunque, entrano nell’antologia nobile del cinema: I quattrocento colpi (Truffaut), Fino all’ultimo respiro (Godard), La beau Serge (Chabrol). Arte povera, cinema povero, con relativa qualità e aristocrazia.

Estendendo l’anarchia. Può essere bello e affascinante scovare nella storia qualcosa di omologo a ciò che è stato raccontato. Un’analogia antica e sexy. La memoria, appunto, richiama due artisti che, senza conoscersi, per quella strana, magica vocazione del tempo, in quello stesso periodo, magari in quegli stessi giorni, creavano due incanti.

1606. Caravaggio finisce di comporre La morte della vergine. E’ un dipinto anomalo, fuori dalle regole estetiche di quel tempo. Tanto che il committente, tale giurista Laerzio Cherubini, quando la vide non volle pagarla. Riteneva, e quasi tutti con lui, che la rappresentazione fosse troppo povera. Il corpo della Vergine giace in un ambiente opaco e umile. La Maddalena e gli apostoli, addolorati, emergono da un’ombra molto scura. Il contrasto, potente elemento del pittore, sta nella veste rossa della morta in una tenda, elemento di estetica povera. C’era una ragione per quella scelta. Derivava dalla personalità del cardinale Federico Borromeo che predicava la povertà del clero e viveva in un ambiente molto modesto, del tutto simile a quello immaginato da Caravaggio. Dunque, La morte della Vergine, modello di arte figurativa povera.

1606. Miguel de Cervantes porta a termine il suo Don Chisciotte. L’opera viene considerata da una corrente di pensiero prevalente e accreditata, una delle maggiori della letteratura universale. Cervantes viveva in piena trasformazione della società e della cultura: un passaggio dal rinascimento al barocco, dove la letteratura era ancora ancorata a racconti di vicende di famiglie nobili, di amori contrastati e di avventure di cappa e spada. E così l’artista decise per una storia che stravolgeva tutto. Non è improprio dire che trattasi di storia di povertà, un mantra che il cavaliere comunque non coglie, convinto di essere un eroe che cambierà il mondo. Il simbolo della lotta coi mulini a vento, rappresenta la sintesi, conosciuta, efficace delle sue imprese. Se non lo ha fatto don Chisciotte, è stato Cervantes a cambiare il mondo. La sua invenzione contiene il sogno, la fantasia, l’ignoto, il visionario, l’istinto di portare in superficie il recondito e l’inconscio. E’ roba che poi sarà perfezionata trecento anni dopo da gente come Freud. Chisciotte, con il suo cavallo sfinito, il suo scudiero scalcinato, la sua lancia inutile, tutta roba “povera”, ha dato segnali che sono sempre qui, anche adesso.

March 20, 2024