Liste 2024, effimero e permanenza in sei gallerie
Nel 2024 Liste art fair parla di relazioni: tra uomo e ambiente, tempo e memoria, perdita e morte. Anteprima in sei gallerie
Il conto a rovescia è iniziato. Art Basel è alle porte, così come l’edizione 2024 di Liste, che dal 10 giugno ospiterà 35 paesi e 91 gallerie, di cui ben 75 presenti con mostre monografiche. Nell’ultimo decennio è stata questa la piattaforma dove ascoltare le nuove voci, possibilmente fuori dal coro dell’establishment. E se i vaticini più neri si addensano all’orizzonte di un mondo allo sbando, Liste reagisce con l’ottimismo e lo slancio creativo che contraddistingue la speranza nel futuro, senza che questo mai significhi infilare la testa sotto la sabbia; anzi, riflettendo sul contesto attuale, attraverso un ventaglio di proposte che rispecchiano altrettanti punti di vista sul rapporto tra uomo e ambiente, tempo e memoria, perdita e morte, ovvero i temi al centro di questa edizione. Abbiamo dunque selezionato sei gallerie partecipanti, alcune per la prima volta, le cui proposte ci interrogano sul potenziale dell’arte come strumento di dibattito e confronto, sulla natura dell’effimero e sul significato di permanenza.
Parallel Oaxaca
Il mito e il racconto sono gli strumenti che dispiega la galleria messicana nell’elaborazione di un immaginario tellurico in cui uomo, flora e fauna si incontrano per rivelare le intime relazioni nel desiderio, comune e condiviso, di un’estetica proteiforme. Le sculture di Patricia Belli sono realizzate con ossa, rami e rifiuti plastici depositati sulla riva dal mare. I materiali di recupero, assemblati tra loro, danno vita a figure scheletriche post-organiche. “Il nuovo lavoro di Patricia scaturisce da una riflessione sul fragile contesto ecologico sudamericano” dichiara il fondatore Oliver Martinez Kandt “e stabilisce un parallelo con la nostra stessa fragilità così da offrire la chiave d’interpretazione di una geografia del territorio e degli impulsi umani”. In una società che di fronte al clima ha dimenticato il buonsenso, l’artista suggerisce la necessità di un rimedio, una cura a base di empatia, una visione gioiosa e, allo stesso tempo, disillusa: la reciprocità tra noi in quanto corpi e l’universo che abitiamo è come la superficie di uno specchio che si è deformato e che sta all’uomo e alla sua coscienza raddrizzare.
Lovay Fine Arts
Gioca in casa la galleria ginevrina che per questa edizione di Liste presenta Kartonagen, un gruppo di nuove sculture realizzate da Michèle Graf e Selina Gruter, affiancate da un lavoro cinetico della serie Clock Work. Il tempo e la parola nelle loro manifestazioni materiali e universali sono sottoposti a un processo di decostruzione. Annullamento e ricomposizione sono gli strumenti di un’anatomia che rivela un cuore automatico e dentellato; altrove, uno dei meccanismi interni di un orologio diventa il canovaccio da replicare ossessivamente in riconfigurazioni di cartone variate tra loro. Ne emergono criptici parallelepipedi formati da lamelle affiancate che alternano pieni e vuoti e sembrano alludere a un arcano vocabolario o spartito musicale. Sono fratture e cesure che, come sosteneva Louis Marin in Della Rappresentazione, “lacerano una coerenza semantica e logica”. L’ars combinatoria di Graf e Gruter è l’espressione estetica e tangibile di uno dei principi fondanti della galleria: “Lovay Fine Arts vuole dare spazio alle istanze critiche e innovative di artisti emergenti o già affermati” sottolinea il direttore Balthazar Lovay e prosegue: “essere un gallerista oggi significa costruire una solida consapevolezza di varie pratiche in dialogo tra loro che non possono trascendere dalla conoscenza della storia dell’arte”.
Rose Easton
Per la galleria fondata nel 2021, ogni mostra offre l’occasione di trasformare lo spazio della sede londinese in un universo sempre diverso. E per celebrare la prima partecipazione a Liste, chi di meglio del primo artista storicamente entrato a far parte della scuderia? Nel Purgatorio di Louis Morlae ci imbattiamo in un gruppo di sculture a metà strada tra umano e robotico, reminiscenti di Bosch e Breughel, intrappolate in pose innaturali, malsane, kafkiane. “In un’epoca in cui il mondo appare in una prospettiva esponenzialmente distopica, la ricerca di Morlae riflette sulle minacce di un futuro ormai alle porte” puntualizza Rose Easton. Realizzate con materiali seducenti e sensuali come fibra di vetro e resina, le sculture tradiscono le fantomatiche promesse di un progresso votato alla perfezione: queste sono metafore tragiche di una condizione umana malata. Che, come nel caso di Park McArthur o Carolyn Lazard, coincide con quella dell’artista. In Body and Pain (1985), Elaine Scarry dichiarava che il dolore e la malattia possono fungere da stimoli innovatori. Morlae, con le sue sculture ora ammiccanti, ora respingenti, ne dà la prova.
P21
Il 16 Aprile del 2014, nelle fredde acque della Corea del Sud, affondava il Sewol. Morirono 304 persone, molte delle quali, studenti in gita scolastica. Complici una serie di errori umani, l’incidente ebbe un notevole impatto mediatico e generò un trauma collettivo. Da questo evento parte l’indagine artistica di Keem Jiyoung che, con il progetto Glowing Hour, intende confrontarsi con qualcosa di non rappresentabile: il dolore. Al centro della presentazione concepita per Liste, ci sono dei quadri a olio che raffigurano delle candele, dipinte a distanza più o meno ravvicinata. Mentre in alcuni casi la fiamma sembra ondeggiare nella sua interezza, altrove lo sguardo si fa così ravvicinato da riprodurre solo un dettaglio. Viene in mente Gerhard Richter ma se in quest’ultimo prevale l’isolamento, l’atmosfera qui ricreata è quella di un memoriale, di una dimensione meditativa corale suggerita anche dalla presenza di sculture a forma di candela. “Il lavoro di Keem Jiyoung si pone su due livelli” dichiara Zach Williams della galleria P21, fondata nel 2017 a Seoul, “da un lato evoca un evento specifico; dall’altro invita l’osservatore a riflettere nell’ambito di un dibattito di portata più ampia sulla responsabilità dell’uomo di fronte a disastri come quello del Sewol”.
Margot Samel
Per Melissa Joseph non c’è differenza tra un quadro a olio e uno di feltro. Su un supporto di lana industriale, steso come se fosse una tela, l’artista di origini indo americane aggiunge strati di colore di fibre di lana e, mediante un ago che presenta piccolissimi uncini, “dipinge” per portare in superficie i fili, applicando gli stessi principi figurativi e di prospettiva mutuati dalla pittura tradizionale. La superficie è spesso complicata dalla presenza di altri materiali come argilla o piccoli oggetti di repechage che conferiscono al lavoro ulteriore spessore tridimensionale. “Sebbene la tecnica del feltro ad ago abbia origini antiche, nel mondo dell’arte contemporanea quasi nessuno la impiega” afferma la sua gallerista Margot Semel, “e ci auguriamo che il lavoro, profondamente radicato nel passato dell’artista cresciuta nella Pennsylvania rurale, catalizzi l’interesse del pubblico”. Quella di Joseph è un’arte dal sapore vernacolare, che partendo da ricordi fotografici personali, evolve in una prospettiva plurale e affronta questioni sociali più stringenti, compreso il lavoro e l’identità di genere.
Gauli Zitter
Dalla Biennale di Venezia a quella del Whitney l’identità di genere è del resto un tema ricorrente e anche Liste partecipa al dibattito. Gauli Zitter, fondata a Bruxelles l’anno scorso da Philip Poppek e Piero Bisello, presenta il lavoro di Mona Filleul, vincitrice nel 2023 di uno Swiss Art Award. L’artista parte da composizioni digitali legate al proprio vissuto che in un secondo momento sono tradotte in sculture. La varietà dei materiali impiegati per le opere della serie “Phantasia”, come cera d’api e pigmenti, luci LED e ricami, riflettono l’intreccio esistenziale e la complessità delle condizioni sociali, economiche e ambientali che l’artista è chiamata a districare. Il caso di Filleul è quello di un’artista per certi versi “estrema”, per la quale vita e lavoro coincidono senza cadere in fantasiosi romanticismi. A Brussels, Filleul si è letteralmente costruita con le sue mani una cabanne dove vivere, dormire e ascoltare musica. La riflessione sul significato di essere una donna trans nel mondo occidentale si intreccia inevitabilmente a quello della sopravvivenza e della precarietà. Accanto alle sculture sono presenti anche opere che derivano dallo “scarto” dei principali lavori, in una prospettiva di recupero che approfondisce l’indagine sui materiali. In merito al lavoro dell’artista e al ruolo del gallerista oggi, Bisello dichiara “ci interessano opere e artisti che richiedono uno sforzo aggiuntivo per essere compresi. La sfida ripaga sempre, specialmente nel lungo termine. Le opere d’arte devono continuare a ispirare, anche dopo molti anni dal loro concepimento”.
June 6, 2024