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500 years anniversary of Hieronymus Bosch’ death calls for this rare writing by Dino Buzzati

With a meaningful “Welcome home, Jheronimus!”, the Jheronimus Bosch 500 Foundation (JB500) announces the return of a large part of Hieronymus Bosch‘s works to his city of origin, ‘s-Hertogenbosch, in order to celebrate the 500th anniversary of his death in what is going to be the largest exhibition ever dedicated to this old master. Titled “Hieronymus Bosch – Visions of a genius”, the show will take place at Het Noordbrabants Museum in HT ‘s-Hertogenbosch from 13 February to 8 May 2016, and among the masterpieces which will be on display we shall mention “The Extraction of the Stone of Madness”, “The Temptations of St. Anthony”, “The Ship of Fools”  and “The hermit saints”.

 

Next year, there will be another anniversary which, in a sense, is related to Bosch. The year 2016 will mark also the 110th anniversary of the birth of Dino Buzzati, a great Italian writer, journalist, playwright, poet who was very influenced by Bosch and to whom he dedicated one of his most intense tales: “Il Maestro del Giudizio Universale” (“The master of the universal judgment”).

 

Dino Buzzati was born in San Pellegrino di Belluno in 1906 (and died in Milan in 1972). He was the subject of interest of many artists – such as Enrico Baj, who also wrote an essay about him. In turn, Buzzati showed a vivid interest in art and was indeed among the first scholars to understand the explosive spiritual charge of Yves Klein. There is a beautiful photo taken in 1962 which shows the two of them together on the bank of the Seine river while Klein issues the receipt for Immaterial and releases the “Zone of immaterial pictorial sensibility” bought by Buzzati. This latter was also an artist inspired by the world of comics and surrealism related to the votive. His reputation, however, has been built mainly thanks to his writing. “Il Deserto dei Tartari” (“The Desert of the Tartars”, 1940) remains his most famous novel – in 1976 it became a movie starring Vittorio Gassman and Philippe Noiret – , and whose plot has inspired the South African writer JM Coetzee, Nobel Prize for Literature in 2003, to write his novel “Waiting for the Barbarians” (1980).

 

The core theme of the most famous novel by Buzzati is the escape from time. And the escape from time is also at the basis of the short story that Dino Buzzati dedicated to Hieronymus Bosch. Unfortunately, the text of “Il Maestro del Giudizio Universale” is not available in English yet. However, a distinguished translation of it would be highly desirable in occasion of next year exhibition’s catalog. Not only because the story is set in the city of HT ‘s-Hertogenbosch, but also because, in a key of magical realism, and in a narrative (non-critical) way, Buzzati manages to express the very essence of Bosch. The writer indeed destroys, through a few jokes, the critical interpretations that have seen from time to time, in the work by Bosch, advances of psychoanalysis, of existential anxiety and surrealism. And it returns, however, the crude reality, mixed with magic, which for 500 years has never ceased to fascinate the public. Here below, for those who can read Italian, some passages from the story. That, about anniversaries, will turn 50 years old in 2016.

 

Il Maestro del Giudizio Universale

 

Poiché mi ero sempre molto interessato del pittore Hieronymus Bosch, durante un viaggio in Olanda andai a visitare la sua città, cioè ‘s-Hertogenbosch, detta anche Bois-le-Duc, che noi chiamiamo Boscoducale. E qui l’albergatore, persona abbastanza colta, mi disse: “Se non altro per curiosità, signore, perché non va a trovare il vecchio Peter van Teller? E’ un tipo un po’ strambo, un orologiaio che vive di una piccola rendita dopo aver ceduto la sua bottega al nipote. Credo sia il decano di ‘s-Hertogenbosch. Per tutta la vita si è occupato di Bosch, è convinto anzi che Bosch sia un suo antenato da parte di madre. Su Bosch ha scritto anche un libretto, tanti anni fa, che a quei tempi fece un certo scandalo. Ha certe sue idee curiose. Chissà, un incontro potrebbe esserle utile..” Dicendo questo però sorrideva con una certa ironia, e io mi chiedevo se parlasse sul serio o invece intendesse prendermi benevolmente in giro.

 

All’indirizzo indicatomi, in una piccola strada dietro il palazzo municipale, trovai una casetta a due piani, di classico stile vecchia Olanda […] Tirai, al cancello, la maniglia della campanella e dopo poco venne ad aprirmi una donnetta sui sessant’anni, straordinariamente linda, con una gentile cuffia bianca. Siccome parlava soltanto in olandese, non capii bene se fosse una donna di servizio oppure una parente del vecchio orologiaio. Per fortuna intervenne in aiuto un passante che conosceva il tedesco. Seppi così che van Teller era uscito per la passeggiata pomeridiana e non sarebbe rientrato che fra un’ora. Però, se non volevo aspettarlo, potevo raggiungerlo al giardino pubblico; van Teller sedeva sempre sulla terza panchina a destra entrando. E non potevo sbagliare: era l’uomo più vecchio di ‘s-Hertogenbosch e portava un cappello d’altri tempi a tesa larghissima. Un passante mi indicò la strada e dopo pochi minuti vidi il curioso personaggio. […] Quanti anni avrà avuto? Ottanta? novanta? duecento? Impressionante il numero di rughe che solcavano il volto scarno, eppure era ancora una fisionomia viva e in certo modo battagliera.

 

Come mi avvicinai e lui mi guardò, avvertii subito, vedendolo di faccia, una straordinaria rassomiglianza con l’unico sicuro ritratto di Hieronymus Bosch che si conosca, il disegno cioè che si conserva ad Arras; gli stessi occhi penetranti e maliziosi di falco, la stessa bocca perentoria che finisce in due pieghe alquanto beffarde. […] Era lo stesso uomo, pareva arrivato alle soglie della decrepitezza.

 

Mi presentai e fui lieto di constatare che anche van Teller conosceva abbastanza bene il tedesco. In compenso bisognava quasi urlargli nelle orecchie, tanto era sordo. “Chi le ha detto di rivolgersi a me?” domandò per prima cosa. E come lo ebbe saputo fece un breve sogghigno, quasi che stimasse l’albergatore persona poco raccomandabile. Poi tacque e riprese a guardare la gente, come se io non esistessi. […] Si riscosse, mi guardò, sorrise (aveva ancora i suoi denti): “Lei è venuto a cercarmi per il grande Hieronymus? Eh, eh. Innanzi tutto è mio dovere avvertirla, signore, che qui in città mi considerano un matto”. E fece una stridula risata da cornacchia.

 

Intanto mi ero seduto al suo fianco. Con una mano scheletrica ma tutt’altro che tremante, strinse una delle mie. “Ma lei, signore, viene da lontano, lei non può sapere di questi pettegolezzi di provincia, a lei non possono interessare, però lei mi è simpatico, signore. A lei, se crede, posso dire alcune cose. Eh, eh. Avrà notato immagino, che io assomiglio a qualcuno!”. “In modo sorprendente”, dissi: “Una coincidenza quasi incredibile”. “Coincidenza, amico mio? Crede proprio si tratti di coincidenza?”. “Intende dire, signor van Teller, che si tratta di sangue?”. “Chissà, chissà”, fece lui enigmatico: “Certe cose noi non le potremo mai sapere”. Dopodiché non si fece pregare per raccontarmi la sua storia.

 

Figlio di un orologiaio, aveva seguito umilmente le orme paterne, occupandosi sempre del negozio ma, fin da ragazzo, una fortissima attrazione lo portava verso tutto ciò che riguardava il famoso pittore, ritenuto, in famiglia, un antenato di sua mamma, nata van Aken. […] Poi, fattosi uomo, era riuscito a vederli pressoché tutti, i celebri dipinti; era stato a Vienna, a Berlino, a Parigi, a Venezia, a Lisbona e più di una volta a Madrid. […] Mentre van Teller mi parlava, ebbi un piccolo soprassalto: con la coda dell’occhio mi era parso di vedere una cosa scura uscire da una siepe alle mie spalle e saltellare a scatti sull’erba; ma, come guardai, tutto era normale e tranquillo.[…] Mi diceva come nessuno dei tanti critici che avevano scritto su Bosch, anche firme autorevoli e reputatissime, lo avessero persuaso. “Parlano dell’inferno, parlano della dannazione eterna, parlano di sant’Agostino, delle eresie, della riforma di Lutero, vanno a frugare nella vita privata di Hieronymus, che nessuno di loro può conoscere, riempiono centinaia di pagine con interpretazioni gigantesche. E la psicanalisi! E l’angoscia esistenziale con quattro secoli di anticipo! E il surrealismo con quattro secoli di anticipo! … C’è stato uno, perfino, che ha registrato uno per uno i mostri – eh, eh, li chiamano mostri – e li ha classificati come fossero tanti coleotteri, e per ciascuno ha trovato il tipo di nevrosi corrispondente. E poi il manicheismo immancabile. E i refoulements sessuali… i complessi aberranti… la componente sodomitica… l’esoterismo negromantico… Quanta fatica inutile!”. Si era fermato, ora batteva per terra con rabbia la punta del sottile bastone: “Ma se è così semplice; così limpido! Se non è mai esistito un pittore più realista e chiaro di lui!… Altro che fantasie, altro che incubi, altro che magia nera… La realtà nuda e cruda che gli stava davanti… Solo che lui era un genio che vedeva quello che nessuno, prima di lui e dopo di lui, è stato capace di vedere. Tutti qui il suo segreto: era uno che vedeva e ha dipinto quello che vedeva…”.

 

Io dissi: “Capisco. Certo, in sede letteraria, non si può negare .. […] Però lei non mi dirà che quegli esseri orrendi, rettili antropomorfi, osceni meccanismi, utensili trasformati in membra, gnomi e insetti abominevoli, lui li vedesse veramente, che quattro secoli fa girassero per le strade dell’Olanda”.

 

“Non li vedeva?” fece lui, arrogante: “Non giravano per le nostre strade? Oh, non mi faccia parlare!”. A questo punto non ebbe più riserve. Confessò che pure lui, non tutti i giorni ma abbastanza spesso, “vedeva” il mondo come Bosch […] Cominciavo a capire perché l’albergatore, dandomi l’indirizzo di van Teller, sorridesse in modo insinuante. […] “Ma a lei”, domandai, “non è mai venuta la voglia di dipingere?”. “Aspetti”, disse van Teller con aria di complicità: “Aspetti. Le farò vedere”. […] Mi accorsi che eravamo giunti alla sua casa. Mi fece strada. Entrammo. Non si fermò al primo piano dove era presumibile fossero le stanze da letto… Si uscì nell’androne sommitale ricavato dallo scrimolo del tetto spiovente. Egli accese. Un getto di vivida luce cadde su una grande tavola poggiata a un cavalletto e dipinta per metà. Sotto, su un tavolo, pennelli, colori e tavolozza.

 

Era, per quello che se ne potevo capire, un quadro incompiuto di Bosch. […] Io rimasi là, di pietra. Era uno dei più crudeli e disperati Bosch che avessi mai visto. Eppure mai, in nessun libro o raccolta, lo avevo riscontrato. “Ma è un Bosch autentico, questo, no? E’ suo? Dove l’ha trovato? E perché è dipinto solo a metà?” Van Teller mi guardò sorridendo: “No, no, una semplice imitazione…”. “Eppure, eppure mi ricorda…”. Van Teller sembrò felice: “L’ha riconosciuto? Il Giudizio universale che andò distrutto nell’incendio del Prado? Lei ricorda la relativa stampa di Hameel, vero?” Sì, ora ricordavo perfettamente. Di quel prezioso dipinto, incenerito dalle fiamme, restava una sola testimonianza [..] ma ora qui, dinanzi a me, il capolavoro era per metà risuscitato. “E come è possibile?” feci io. […] “Qualche volta”, disse (van Teller) “mi viene a trovare”. Chi?”. “Lui, il grande Hieronymus”. “E come?”.

 

Corse a un tavolo pieno di carte e vi sedette. Prese una matita, poggiò la punta della matita su un foglio di carta, la matita si muoveva da sola. “E’ qui, è qui. Stasera è venuto”, annunciò con voce spiritata: “Lei è fortunato, signore”. Dunque il vecchio orologiaio era un medium? E adesso mi proponeva le liturgie del caso? […] Nello stesso tempo, e la luce era tale che non poteva esserci trucco, due pennelli, da soli, si levarono lievitando dal tavolo, come due addomesticate bestioline tuffarono il ciuffo nella tavolozza, quindi puntarono verso il quadro … […]

 

La scena era piuttosto allucinante. Van Teller, per quanto rapito in quella specie di trance, poté dire “Guardi, guardi dalla finestra”. Guardai dalla finestra. E capii ciò che il vecchio orologiaio aveva prima cercato di spiegarmi. Sì, Hieronymus Bosch non aveva inventato nulla, aveva dipinto tale e quale lo spettacolo offerto quotidianamente ai suoi occhi. Di lassù non potevo scorgere che la casa di fronte e una fetta di quelle adiacenti. Ma, per incantesimo di quella notte, esse apparivano come scoperchiate e nell’interno si distingueva la gente che mangiava, dormiva, litigava […] Erano uomini e donne e bambini, tali e quali il nostro prossimo quotidiano, ma frammisti a loro, con supremazia di maggioranza, si agitavano brulicando innumerevoli cose viventi simili a celenteranti, a ostriche, a ranocchie, a pesci ansiosi, a gechi iracondi, simili ai cosiddetti mostri di Hieronymus Bosch; e che non erano altro che creature umane, la vera essenza dell’umanità che ci circonda. […] Latravano, vomitavano, addentavano, sbavavano. Così come noi ci sbraniamo giorno e notte, a vicenda, magari senza saperlo.

 

Poi di colpo la rivelazione cessò. […] Il silenzio della notte, l’immobilità delle cose. Tutto come quando ero entrato: tranne quella schifosa forma metà salamandra e metà uccello dipinta sulla tavola, che quando io ero entrato non c’era. […] Guardai attentamente il dipinto. Era eseguito con la perfezione dell’antico maestro, si notavano perfino le screpolature del colore che soltanto i secoli sanno dare. “Nessuno l’ha visto?”, chiesi. “Nessuno”. “E dopo?”. “Dopo la mia morte, lei intende dire? No, signore, nessuno mai lo vedrà. Io sono un matto, un povero matto. Questo è il mio segreto. Ho dato disposizioni. Con me scomparirà”.

 

(“L’opera completa di Bosch”, Rizzoli Editore, 1966, presentation by Dino Buzzati)

November 25, 2020