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Sultan Sooud Al Qassemi, studioso e collezionista d’arte (un’intervista)

Paul Laster

Cosa succede quando la passione per gli studi umanistici incontra l’animo di un collezionista? L’abbiamo chiesto al Sultano Sooud Al Qassemi.

Oltre a essere un appassionato collezionista Sultan Sooud Al Qassemi è anche editorialista e ricercatore nel campo delle scienze sociali, politiche e culturali degli Stati Arabi del Golfo. Nel 2010 Al Qassemi ha fondato la Barjeel Art Foundation, che ha sede a Sharjah, negli Emirati Arabi Uniti. Al Qassemi è stato praticante in residenza presso l’Hagop Kevorkian Center of Near East Studies della New York University nel 2017, ed è stato borsista a Yale Greenberg nel 2018, nonché docente presso il Council of Middle East Studies della Yale University, e istruttore aggiunto presso il Center of Contemporary Arab Studies della Georgetown University nel 2019. Attualmente tiene il corso di “Politica dell’arte moderna mediorientale” al Boston College e sta scrivendo un libro, che ha lo scopo di documentare l’architettura moderna di Sharjah. Conceptual Fine Arts lo ha incontrato a Boston, per discutere della sua vasta collezione di arte araba moderna, parte della quale è ora a New York, presso la Grey Art Gallery della New York University, come tappa di una mostra itinerante intitolata “Taking Shape: abstraction from the Arab World, 1950s-1980s”.

Sooud Al Qassemi
Sultan Sooud Al Qassemi, Courtesy of Barjeel Art Foundation.

Provenite da una famiglia di collezionisti d’arte?

Sultan Sooud Al Qassemi: Nel suo insieme la mia famiglia comprende un certo numero di collezionisti, tra cui il sovrano di Sharjah; ma non ci sono collezionisti tra i miei parenti più stretti.

Qual è stata la prima opera d’arte che ha acquisito?

Sultan Sooud Al Qassemi: Nel 2002, era il dipinto di una porta, eseguito dell’artista Abdul Qader Al Rais, di Dubai.

Perché ha fondato la Barjeel Art Foundation?

Sultan Sooud Al Qassemi: Ho collezionato molto tra il 2002 e il 2008, e le persone a un certo punto avevano cominciato a chiedermi dove avrebbero potuto vedere le opere che stavo comprando. Mi sono reso conto che non c’era un posto dove esporle. Così, nel 2008, ho scritto al governo di Sharjah per chiedere uno spazio. L’anno dopo mi è stata concessa un’area in un bellissimo edificio che si stava ristrutturando nel quartiere di Al Qasba, a Sharjah.

Che cosa l’ha portata a focalizzarsi sugli artisti arabi?

Sultan Sooud Al Qassemi: All’inizio acquistavo opere di artisti provenienti dall’Asia meridionale, dall’Iran, dalla Turchia e dal mondo arabo. Stavo guardando la regione chiamata MENASA e ho scoperto che c’erano molti collezionisti provenienti dall’Iran che compravano arte iraniana, iracheni che compravano arte irachena, egiziani che compravano arte egiziana e molti sud asiatici che compravano arte dell’Asia meridionale; ma non c’erano collezionisti che guardavano alla regione nel suo complesso. Ho deciso di concentrarmi su quest’area perché sentivo che era un modo per raccontare una storia. C’è un dibattito per includere nella collezione la Turchia, l’Iran e parti dell’Africa, ma avevo dei limiti di budget, così ho deciso di concentrarmi sull’arte del mondo arabo. E poi, sono panarabo nel cuore. Credo nel panarabismo culturalmente ed economicamente – anche se non credo nel panarabismo politico.

Omar El-Nagdi
Omar El-Nagdi (Egypt), Untitled, 1970. Mixed media on wood, 47 x 47 in. Collection of the Barjeel Art Foundation, Sharjah, UAE.

Gli artisti devono per forza essere musulmani?

Sultan Sooud Al Qassemi: No, per niente. Una delle delizie del collezionare arte del mondo arabo è riscoprire le etnie che continuano a esistere nel territorio arabo, siano esse cristiane, ebree o bahá’ís. Ci sforziamo sempre di includere diversi gruppi etnici nelle nostre mostre. La mostra a New York ha opere dell’artista ebreo-egiziano Ezekiel Baroukh, dell’artista armeno-libanese Seta Manoukian, dell’artista bahá’í-palestinese Meliheh Afnan e di Mohammed Khadda, artista berbero del Nord Africa. Mi assicuro sempre di guardare a tutti gruppi etnici all’interno del mondo arabo. Questa non è una collezione etnica araba. È una collezione d’arte proveniente dagli stati arabi, non soltanto d’arte araba. Ci sono molte persone che vivono nel mondo arabo che non sono etnicamente arabe, come me. Cerchiamo sempre di sottolineare che molti artisti sono nordafricani di varie etnie, o che provengono dal Libano, dalla Turchia, dall’Iraq e persino da Dubai. Abbiamo artisti nati in Iran che sono stati molto attivi negli Emirati Arabi Uniti, come Hassan Sharif. Alcuni di questi artisti non sono artisti etnicamente arabi, ma politicamente provengono da stati arabi.

Nabil Nahas
Nabil Nahas (Lebanon), Untitled, 1983 Acrylic on canvas, 47 3/4 x 36 in. Collection of the Barjeel Art Foundation, Sharjah, UAE

Ci sono artisti della diaspora araba nella sua collezione?

Sultan Sooud Al Qassemi: Sì, ce ne sono moltissimi. Ma quando, mi chiedo, si diventa artisti della diaspora? Abbiamo opere di Dia al-Azzawi antecedenti al 1976 che sono state create in Iraq. Ma solo dopo il 1977 Dia al-Azzawi diventa un artista della diaspora. Abbiamo opere del tempo che ha trascorso in Iraq e di quando invece è stato  in Europa. Ci piace molto osservare gli artisti della diaspora araba. Ritengo sia fondamentale raccontare anche la storia di questa migrazione. 

La collezione è incentrata sui modernisti o comprende anche opere di artisti contemporanei?

Sultan Sooud Al Qassemi: All’inizio compravo quasi esclusivamente arte contemporanea, ma poi ho capito che l’arte moderna mi piaceva di più. Una delle cose che ha cambiato il mio modo di essere collezionista – ovvero qualcuno il cui gusto evolve nel tempo – è che mi sono reso conto che il mio amore era soprattutto per le opere moderne. La collezione è passata dall’essere fortemente contemporanea con un’attenzione per il moderno al contrario; ovvero all’essere fortemente moderna con un’attenzione per l’arte contemporanea. Lo stesso vale per le artiste donne. Per esempio, nell’ultimo decennio ho raddoppiato gli sforzi per acquistare opere di artiste donne, non del tutto mancanti nella collezione, ma che in questa non erano adeguatamente rappresentate. Anche questo aspetto è parte della mia evoluzione come collezionista. (A questo riguardo, si veda la nostra intervista con Valeria Napoleone, che all’arte femminile ha dedicato la sua intera collezione)

Fino a dove si spinge per trovare opere da aggiungere alla collezione?

Sultan Sooud Al Qassemi: Viaggio in Nord America. Vado in Europa. Attraverso il mondo arabo, dal Golfo al Marocco. Mi piace andare in Libano, Giordania, Egitto, Libia, Tunisia e Algeria. Guardo le collezioni private. Guardo le aste. Cerco in ogni modo possibile. A volte mi ci vogliono anni per acquisire un’opera. Occorre coltivare un rapporto con i suoi proprietari. Poi decidono, a volte molto tempo dopo, di vendere.

Mohamed Melehi
Mohamed Melehi (Morocco), Composition, 1970 Acrylic on wood, 47 1/4 x 39 3/8 in. Collection of the Barjeel Art Foundation, Sharjah, UAE.
Huguette Caland
Huguette Caland (Lebanon), City II, 1968. Oil on canvas, 31 1/2 x 39 3/8 in. Collection of the Barjeel Art Foundation, Sharjah, UAE.

Lavorate con mercanti e specialisti del settore?

Sultan Sooud Al Qassemi: In realtà quando si tratta di opere importanti sono aperto a qualsiasi tipo di ricerca. Ultimamente uso anche i social media. Chiedo degli artisti che mi interessano, mi metto in contatto con le famiglie, o con i loro discendenti. Uso sopratutto Facebook, Twitter e Instagram.

Quali sono i pezzi più rari che è riuscito ad acquisire?

Sultan Sooud Al Qassemi: È molto difficile scegliere opere specifiche, ma sicuramente The Last Sound di Ibrahim El-Salahi è uno dei miei preferiti. È stato acquisito attraverso la Meem Gallery. Recentemente, in Giordania, ho anche acquisito un’opera di Suha Shoman intitolata Mystical Chants. Era da molto tempo che cercavo un suo lavoro. Queste sono solo un paio delle mie opere più rare. Come ho detto, è molto difficile avere dei favoriti.

Ibrahim El-Salahi
Ibrahim El-Salahi (Sudan), The Last Sound, 1964. Oil on canvas, 47 7/8 x 47 7/8 in. Collection of the Barjeel Art Foundation, Sharjah, UAE.

Le importa se l’artista è un autodidatta o se invece è stato istruito?

Sultan Sooud Al Qassemi: Per me non fa differenza. Alcune delle opere che abbiamo acquisito sono state eseguite prima che gli artisti che le hanno concepite ricevessero una formazione. In realtà colleziono moltissimi artisti autodidatti; come Baya, un pittore algerino che molto piaceva ai surrealisti.

Ritiene che le influenze sull’arte modernista e contemporanea provengano dall’occidente – dall’Europa e dagli Stati Uniti – o piuttosto che alcuni degli artisti locali abbiano avuto un’influenza anche sulle generazioni successive?

Sultan Sooud Al Qassemi: Credo che gli artisti del Medio Oriente, del Nord Africa e del mondo arabo abbiano molteplici influenze. Molti di loro guardano all’artigianato tradizionale, alcuni all’arte islamica, altri all’arte copta, mentre altri ancora sono influenzati dagli artisti occidentali. Si tratta quindi di un bagaglio misto di influenze e tradizioni, non di una singola fonte.

Che ruolo hanno avuto le varie ‘società di belle arti’ presenti in paesi come il Bahrain, il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti nel plasmare la scena artistica della regione del Golfo? Sultan

Sultan Sooud Al Qassemi: Una delle società d’arte più importanti è quella del Kuwait, anche se ce ne sono altre; per esempio in Bahrain e negli Emirati Arabi Uniti. L’Emirates Fine Arts Society è stata fondata a Sharjah nel 1980, mentre quella in Kuwait è stata fondata prima, tra gli anni Cinquanta e i Sessanta. Si tratta di veri e propri luoghi di interazione, che comprendevano non solo artisti, ma anche intellettuali, giornalisti, poeti e drammaturghi. Persone di diversa estrazione intellettuale si confrontavano e si scambiavano idee, e questo è stato determinante per la formazione dell’identità artistica moderna. Diciamo, per esempio, che un archeologo si presenta alla Società e spiega una recente scoperta. Questi motivi ricompaiono poi nelle opere d’arte. Il lavoro di Dia al-Azzawi è stato influenzato in questo modo – ma anche in altri. Le società dell’arte erano anche spazi di attivismo sociale. Erano viste positivamente dai governi del Golfo, che non le temevano perché esse lavoravano sotto l’ombrello dell’arte. C’era molta interazione tra gli intellettuali, al riparo dalla consueta censura governativa, ed era un’interazione che non avrebbe potuto aver luogo, per esempio, all’interno del sindacato dei giornalisti, o in qualsiasi altro sindacato.

Crede ci sia stato un cambiamento, negli artisti della regione, quando il colonialismo è finito?

Sultan Sooud Al Qassemi: Certo. In tutto il mondo arabo si poteva notare la differenza tra l’arte pre e post-coloniale.  In Tunisia ad esempio, non appena il periodo coloniale è finito, l’artista Safia Farhat ha introdotto concetti che erano vietati durante l’era coloniale, come il lavoro artigiano, gli arazzi, o l’impiego di materiali tradizionali come la tela di iuta. E la stessa cosa valeva per il Marocco. (Può essere interessante a questo proposito leggere il nostro scritto riguardo al ritorno alle tecniche tradizionali che negli scorsi hanni ha interessato gli artisti europei)

Riguardo alla mostra itinerante, perché ha deciso di concentrarsi esclusivamente sull’arte araba astratta nella sua collezione?

Sultan Sooud Al Qassemi: Il merito di questo focus va a Lynn Gumpert, la direttrice della Grey Art Gallery. Tuto è partito da una sua idea, poi si è scoperto che in Occidente non c’era mai stata una mostra, o un libro, incentrato su questo argomento. C’era stata una mostra sull’astrazione araba in Kuwait, ma senza un catalogo. Non c’è mai stata una mostra di questo tipo al di fuori del mondo arabo. Era invece importante mettere in chiaro da dove veniva l’astrazione araba, quali erano le sue influenze. E non potrò mai sottolineare abbastanza l’importanza di avere un libro che ne parla, con i saggi di otto dei migliori studiosi d’arte araba viventi. Il catalogo finalmente riunisce le loro idee e i loro pensieri. Come docente universitario non ho mai avuto un testo da assegnare agli studenti a questo riguardo. Ora ho otto saggi, che posso condividere con loro per conoscere e spiegare le origini dell’astrazione araba.

Quali sono i punti di vista dei curatori, ovvero di Lynn Gumpert e della curatrice della Barjeel Art Foundation, Suheyla Takesh?

Sultan Sooud Al Qassemi: Non posso parlare a loro nome, ma credo che abbiano voluto mostrare le molteplici influenze piuttosto che un’unica influenza – l’influenza della Scuola di Casablanca, quella della Scuola di Khartoum, o la Scuola di Baghdad – mostrando come l’astrazione si è sviluppata nel mondo arabo. Sono incuriosito dalla loro selezione quasi quanto voi. Non mi faccio mai coinvolgere nella curatela. Hanno dovuto scegliere tra le opere che ho comprato negli ultimi 15 anni. Ammiro il fatto che siano riusciti a mettere insieme questa mostra, soprattutto considerando il vincolo che hanno avuto lavorando con un’unica collezione. 

In cosa si differenzia questa mostra dalla quella che lei ha avuto allo Sharjah Art Museum negli scorsi anni, o dalle mostre alla Whitechapel Gallery del 2015 e del 2016?

Sultan Sooud Al Qassemi: La mostra alla Whitechapel era di carattere enciclopedico. È stata una mostra che ha attraversato un intero secolo. Comprendeva opere figurative, paesaggi, astratti, video, fotografia e arte concettuale. Era l’enciclopedia della collezione, ma non un’enciclopedia del mondo arabo. La mostra a Sharjah è invece solo uno dei momenti salienti della collezione. Comprende opere di diversi medium, ma soprattutto dell’era moderna. Penso che su 130 opere, 127 erano opere moderne. Le altre opere erano opere contemporanee, con artisti come Mona Hatoum ed Etel Adnan.

Etel Adnan
Etel Adnan (Lebanon), Autumn in Yosemite Valley, 1963–1964. Oil on canvas, 20 1/8 x 20 1/8 in. Collection of the Barjeel Art Foundation, Sharjah, UAE.

Come si sono evoluti la collezione e il suo sguardo sull’arte araba moderna e contemporanea da quando, nel 2010, ha fondato la Barjeel Art Foundation?

Sultan Sooud Al Qassemi: Oh, si sono evoluti molto. Vorrei aver saputo 10 anni fa quel che so oggi, perché molte delle opere che sto cercando ora sarebbero state più facili da reperire. Passavano in asta e i prezzi erano accessibili, almeno per me. Ora, più ne so e più vorrei aver avuto prima queste informazioni. Sono sicuro che la stessa cosa accadrà nel 2030. Probabilmente vorrei aver saputo nel 2020 quello che saprò in futuro; certe opere sono così rare da trovare. Mi sono decisamente evoluto. Ci sono molte opere di artiste donne che ormai sono quasi impossibili da ottenere. E il caso, per esempio, di Naziha Selim. Abbiamo due dei suoi dipinti, ma ci sono state opere più grandi disponibili per una frazione del prezzo a cui le ho pagate.

Cosa spera che il pubblico americano impari dalla mostra?

Sultan Sooud Al Qassemi: Dico sempre che questa collezione è disponibile per chi è pronto a cambiare idea e a cambiare la propria conoscenza del mondo arabo. Questa è un’opportunità. Sto cercando di attirare nuovi visitatori, il che è sempre meraviglioso; ma penso che la gente debba avvicinarsi a questa mostra con mente aperta. Devo dire che sono entusiasta del libro quasi quanto lo sono della mostra, perché è un documento durevole e qualcosa di importante per le biblioteche di tutto il mondo. È fondamentale avere testi sull’astrazione araba, e si tratta di testi che interessano anche opere che non sono in collezione. Il libro è in realtà molto più ampio della collezione. 

Non vedo l’ora che la collezione vada in Michigan, per esempio, perché è un posto dove vivono tradizionalmente molti arabi americani. Sono ansioso di vedere come reagiranno là. Chicago – o almeno il Block Museum of Art della Northwestern University di Evanston – ha un’atmosfera completamente diversa da quella di New York, e lo stesso vale per Boston. Nel caso del Johnson Museum of Art presso la Cornell University, va detto che il museo si trova in un centro già importante per lo studio dell’arte africana. Ognuno di questi luoghi ha un focus diverso.

May 15, 2020