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La profezia di Kasimir Malevič che onora la pigrizia

Antonio Carnevale

Un secolo fa Kasimir Malevič teorizzava il valore della pigrizia contrapponendolo a quello del lavoro. Oggi le sue parole aprono una finestra sul futuro.

Non sarà la bellezza, bensì la pigrizia a salvare il mondo. Andrà davvero così, come teorizzava un secolo fa Kasimir Malevič? Oggi, mentre gran parte del pianeta combatte contro l’emergenza sanitaria, ci si prepara timidamente a immaginare anche gli scenari futuri, a dare una forma plausibile alla parola “ripartenza”, a figurarsi il nuovo grado zero dei rapporti sociali, professionali, economici, culturali, artistici. Diventa allora attualissima, in questa circostanza, la figura di Malevič, il pittore e teorico russo che ha improntato tutta la sua esistenza, la sua arte e i suoi diversi scritti alla definizione di un nuovo grado zero dell’arte e della società: in una parola, ciò che l’artista chiamava “Suprematismo”.

Ciò che Malevič intendeva per “grado zero” era il punto nel quale – in pittura – tutte le associazioni oggettive e psicologiche pervenivano al silenzio. Il mondo oggettivo (della pittura ottocentesca, o del realismo impressionistico diffuso in Europa nei primissimi anni del Novecento) e la sua immagine riflessa nell’interiorità dell’artista (in autori come Kandinskij) dovevano svanire in quella che Malevič chiamava “Non-oggettività”. I quadri di Malevič diventavano così non opere di pensiero ma “puri prodotti di meditazione e puri oggetti di contemplazione: icone del nuovo modo di sentire il mondo” (W. Haftmann).

Kazimir Malevič
Kazimir Malevič, Woman who prays, 1910-1911, pencil on paper; 18.6 x 14.2 cm. Saint Petersburg, Russian State Museum, inv. R-25044.

Oltre che nelle opere di pittura, quel “nuovo modo di sentire il mondo” era stato espresso da Malevič in diversi scritti. Uno di questi è particolarmente utile alla nostra analisi, ed è stato scritto di getto nel 1921 con il curioso titolo La pigrizia come verità effettiva dell’uomo. Come ogni opera teorica, anche questa è fortemente debitrice delle particolari circostanze storiche in cui è stata prodotta. Prima di cercare un rapporto con la nostra attualità, dunque, conviene – seppure brevemente – ricordarne il contesto, magari tenendo presente che del valore pigrizia parla anche un un economista come Richard Thaler nel suo Misbehaving: The Making of Behavioral Economics, il libro che nel 2015 gli è valso il premio Nobel. Ricordando un episodio accadutogli in compagnia dell’amico e collega Daniel Kahneman (altro premio Nobel, qui il link al nostro scritto su di lui), nella breve prefazione al libro Thaler esprime un concetto fondamentale:

What? Really? I would never deny being lazy, but did Danny [Kahneman] think that my laziness was my single best quality? I started waving my hands and shaking my head madly but Danny continued, extolling the virtues of my sloth. To this day, Danny insists it was a high compliment. My laziness, he claims, means I only work on questions that are intriguing enough to overcome this default tendency of avoiding work. Only Danny could turn my laziness into an asset. But there you have it. Before reading further you should bear in mind that this book has been written by a certifiably lazy man. The upside is that, according to Danny, I will only include things that are interesting, at least to me.

Richard H. Thaler, Misbehaving, 2015.

Esattamente come accade per noi oggi, la chiamata a un nuovo modo di sentire il mondo era arrivata a Malevič da un cambiamento profondo, destinato a modificare meccanismi di produzione e di relazione: la Rivoluzione d’ottobre. Le scosse telluriche che anticipavano quell’evento epocale scuotevano gli artisti alla ricerca di nuovi linguaggi già nel 1905, quando Malevič aveva appena completato gli studi alla Scuola di Pittura, Plastica e Architettura di Mosca.

In quel periodo, la pittura europea veniva saccheggiata alla ricerca di nuove chiavi espressive. Nel 1910 penetra in Russia il Futurismo italiano (cui Malevič sarà fortemente debitore, insieme con il cubismo) ma in generale il contatto con l’arte europea, soprattutto francese, è l’alimento che nutre tutta la giovane arte russa (moltissimi i debiti nei confronti di Tardo-Imprssionismo, Divisionismo, Fauvismo, e Cubismo, appunto). Malevič vive in questo clima, e la costruzione formale dei suoi quadri comincia presto a svincolarsi dai presupposti oggettivi. Tra il 1913 e il 1915 nascono i primi dipinti dichiaratamente suprematisti, come il celeberrimo Quadrato nero su fondo bianco, definito da Malevič “la nuda icona senza cornice del mio tempo”.

Kazimir Malevič
Kazimir Malevič, Head, 1928-1929, oil on canvas; 61 x 41 cm. Saint Petersburg, Russian State Museum, inv. Ž-9498.

Il gesto con il quale Malevič riconduce gli elementi formali al loro punto zero deriva anche dalla comparsa di un radicalismo completamente nuovo nel rapporto con il mondo, è quanto Malevič definisce “l’esperienza della non-oggettività”. Come ha spiegato Werner Hafmann, “Malevič ritiene che un integrale riconoscimento di questa esperienza possa comportare una radicale trasformazione della percezione del mondo, e imporre la visione di un nuovo principio, atto a ristabilire la diretta comunicazione con la totalità del mondo e a far ritornare l’uomo all’unità originaria”.

Una visione ontologica così radicale, per quanto criptica, non poteva che suscitare le simpatie incondizionate della nuova classe dirigente russa. Il Suprematismo di Malevič – dopo il 1917 – si aggiudica subito la patente di “stile rivoluzionario”. L’artista viene chiamato a insegnare alla Scuola Statale d’Arte di Mosca e dal 1919 anche a Vitebsk. Ma presto cominceranno gli attacchi contro la sua visione artistica e politica, e le critiche da parte delle istituzioni diventeranno sistematiche dal 1921. Con la promulgazione della Nuova Politica Economica, infatti, nelle intenzioni della classe dirigente, l’arte doveva “servire il popolo”, prendere la forma del Realismo Eroico. E l’arte di Malevič non era certo adatta agli scopi della nuova propaganda di regime. Così, già dal 1919 l’artista sarà costretto a difendere la sua pittura con una serie di scritti anche violenti, più o meno direttamente rivolti contro la delusione nei confronti del nuovo e imperante materialismo dialettico, o per usare le sue parole: contro la “filosofia marxista della greppia”. La sua resistenza al nuovo regime non avrà posa. Kasimir Malevič avrebbe continuato a lottare per la sua arte e la sua utopia fino alla morte (nel 1935).

Sul piano formale, Malevič è stato il punto di approdo di tutte le ricerche che si sono sviluppate in Russia nel primo e secondo decennio del Novecento (da Kandinskij a Pevsner, da Lizickij a Tatlin e Larinov). E sempre sul piano formale, se in Europa diversi artisti si muovevano in una simile direzione – pur con esiti diversi –, è anche vero che senza il contributo pionieristico di Malevič, lo sviluppo dell’arte Concreta (da Teo van Doesburg al gruppo Abstraction-Création), con tutte le sue importanti conseguenze sull’architettura e sulla forma del nostro ambiente, avrebbero incontrato molte difficoltà nella stessa Europa centrale. (W. Haftmann).

Kazimir Malevič
Kazimir Malevič, Supremus n. 58, 1915-1916, oil on canvas; 79.5 x 70.5 cm. St. Petersburg, Museum Russian State Road, inv. ŽB-1687.

Il Suprematismo è una poetica con radici nel pensiero orientale che aspira a un sapere cosmico e a una versione universale dell’arte (L. P. Finizio). D’altro canto, in termini più terreni, per Malevič l’arte è la realizzazione esemplare di un progetto esistenziale, un modello che si pone come “alternativa alla linea di sviluppo storico dell’umanità e postula la necessità di una rottura radicale secondo un progetto di esistenza radicalmente diverso” (F.Rosso). Ma qual è questo progetto di esistenza?

Malevič lo rivela soprattutto nei suoi scritti sul Suprematismo, ma anche in libelli come La pigrizia come verità effettiva dell’uomo, scritto nel 1921 in risposta polemica alla direzione politica persa dalla Russia dopo la Rivoluzione. In quel momento storico, per Malevič né capitalismo né il marxismo-leninismo potevano consentire la nascita di un “uomo nuovo”. Per l’artista e teorico, abolito il primo modello, andava superato anche il secondo.

Oggi, com’è ovvio, ci troviamo in condizioni assai diverse – e del tutto incomparabili – da quelle della Russia post-rivoluzionaria; tuttavia un punto comune con il sentire di Malevič a quel tempo si può individuare: siamo in uno di quegli snodi della storia in cui le forme economiche e sociali, così come le visioni politiche, devono fare i conti con una sorta di “grado zero” e immaginare le formule di funzionamento di un nuovo mondo, in un tempo nel quale si fanno più urgenti le questioni legate alle diseguaglianze sociali, al welfare state, e al ruolo della tecnologia.

Malevič nel suo libello fa riferimento a due temi che sono cruciali anche per i nostri giorni: il primo è quello che noi chiamiamo “decrescita”, il secondo è relativo all’importanza delle “macchine”. L’argomento della decrescita, fortemente dibattuto in Occidente negli ultimi vent’anni, aveva perso negli ultimi anni la sua carica propositiva, ma torna adesso d’attualità in una luce del tutto nuova, meno ammantata di ideologia e più improntata al pragmatismo. Il discorso sulle “macchine”, invece, che per Malevič era usato in chiave di liberazione dal lavoro, si ripropone a noi nei termini di intelligenza artificiale e di algoritmi, ripensati nella nuova funzione di strumenti per contrastare le epidemie e proteggere la popolazione.

Proponiamo dunque qualche brano del pamphlet di Malevič. Ma con due avvertenze. La prima riguarda il titolo, dove il termine pigrizia va inteso più che altro come “non-attività” (così compare in alcune traduzioni). Non vale qui la contrapposizione latina di Otium-Negotium, perché l’Otium è una categoria connessa al pensiero, e nel russo Malevič tutto ciò che è “coscienza” è sempre visto con diffidenza (basterebbe ricordare i classici della letteratura russa per rendersene conto). Nella pigrizia o non-attività di Malevič non è indicata la vita contemplativa in contrapposizione a quella lavorativa. La non-attività nella vita, per Malevič , corrisponde alla non-oggettività in arte.

È inutile cercare una logica cristallina nella parole che leggerete di Malevič – ed è questa la seconda avvertenza – perché semplicemente non c’è. L’autore anelava a una nuova utopia, e per questo poneva nuove domande. Le risposte, invece, le aveva già date tutte: nei suoi tanti dipinti.

Da La pigrizia come verità effettiva dell’uomo, di Kasimir Malevič

(…) “La pigrizia è la madre di tutti i vizi”, è così che l’umanità, di qualunque parte del mondo, ha stigmatizzato questa particolare attitudine dell’uomo. Questa accusa contro l’inazione mi è sempre sembrata ingiusta. Per quale motivo il lavoro è così portato sugli allori, lodato e persino glorificato, e l’indolenza inchiodata al palo? Perché i pigri nel loro insieme sono coperti di obbrobrio, marcati da un sigillo di infamia, mentre qualunque lavoratore è votato alla gloria, agli onori, alle ricompense? Ho sempre pensato che dovrebbe essere esattamente al contrario: il lavoro dovrebbe essere maledetto, come ci insegnano le leggende sul paradiso, mentre il non fare dovrebbe essere lo scopo essenziale dell’uomo. (…)

(…) Per sfuggire alla morte, l’uomo inventa organizzazioni, sistemi di vita dove tutti lavorerebbero e non vi sarebbe un solo inattivo. Ecco perché il socialismo, ed il suo sbocco – il comunismo, fa impallidire tutti i sistemi che sono esistiti prima di lui: l’umanità tutta intera seguirà un solo sentiero laborioso e non vi sarà più un solo inattivo. Ecco perché la legge più crudele di questo sistema umano stipula: “Chi non lavora non mangia”, ecco perché il comunismo è ossessionato dal capitalismo, perché esso genera degli “indolenti” dato che il denaro conduce a colpo sicuro alla pigrizia… (…)

(…) Nel sistema laborioso comune ognuno si trova confrontato alla morte, ognuno non ha che un solo obiettivo: trovare un’ancora di salvezza nel lavoro, nella produzione, sotto pena di morire di fame. Questo sistema socialista del lavoro progetta nella sua azione, certo inconscia, di mettere al lavoro tutta l’umanità per accrescere la produzione, per garantire la sicurezza, per rinforzare l’umanità e, attraverso la sua capacità di produrre, affermare il suo “essere”. Certo, questo sistema, che non si preoccupa dell’individuo, ma di tutta l’umanità, è incontestabilmente giusto. Ma anche il sistema capitalista lo è. Esso offre lo stesso diritto al lavoro, la stessa libertà dal lavoro, di accumulazione del denaro nelle banche per garantirsi l’inattività nel futuro e presuppone dunque che il denaro è questo segno, segno che sedurrà perché porterà la felicità del far niente alla quale, in realtà, ciascuno mira. In verità questa è la ragione d’essere della moneta. Il denaro non è altro che un piccolo pezzo di “riposo”. (…)

Bibliografia

  • L’inattività come verità effettiva dell’uomo, Kasimir S. Malevič, Asterios, 2012, Traduzione italiano e cura di Maurizio Costantino.
  • La pigrizia come verità effettiva dell’uomo, Kazimir Malevič, Il Melangolo, 1999, Traduzione italiano e cura di Mario Alessandro Curletto.
  • Suprematismo, Kasimir Malevič, De Donato Editore, 1969.
  • L’Astrattismo costruttivo – Suprematismo e Costruttivismo, di Luigi Paolo Finizio, Editori Laterza, 1990.

April 16, 2020