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Chi ha detto che le grandi crisi favoriscono la creatività?

Maria do Carmo M. P. de Pontes

Pestilenze, guerre, oppressori, non sono mai stati i motori della creatività. Al contrario, sono la prova che questa energia è molto più forte di loro.

In fondo non è così terribile” improvvisa Orson Welles nei momenti finali di “Il terzo uomo”, in quello che forse è il suo monologo più famoso. “Sai quel che diceva quel tale? In Italia per trent’anni sotto i Borgia ci furono guerre, terrore, carneficine. Ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Isvizzera non ci fu che amore fraterno. Ma in cinquecento anni di quieto vivere e di pace che cosa ne è venuto fuori? L’orologio a cucù“. La narrazione è ambientata a Vienna, nel 1949. la città è ancora devastata dagli effetti della Seconda Guerra Mondiale, tanto che gli edifici bombardati possono essere ripresi dal vero. Wells sbaglia deliberatamente l’origine del suddetto orologio, ma è una tragica coincidenza che prenda ad esempio proprio l’Italia, uno dei paesi più colpiti dal COVID-19. Eppure la sua romantica ingenuità, in realtà, non ha ragion d’essere.

Orson Wells, he third man, 1950.

C’è l’idea ricorrente che i momenti di crisi – siano essi causati dalla guerra, dall’oppressione dei governi, dalle catastrofi naturali, dalle pandemie, o dai Borgia del caso – favoriscano la creatività. Per sopravvivere a questi momenti gli individui devono spingersi oltre se stessi. I più ottimisti ci ricordano che l’influenza spagnola ha dissodato il terreno perché potessero poi fiorire le meraviglie di Bauhaus e dadaismo, pur strappando la vita di 40 milioni di persone, tra il 1918 e il 1920. In questa statistica ci sono individui come il portoghese Amadeo de Souza Cardoso, pittore eccezionale. Oppure Bohumil Kubišta, critico e pittore ceco, figura centrale del Modernismo. O, ancora, Egon Schiele, che deve aver trascorso nell’orrore i suoi ultimi tre giorni di vita, soffrendo per la perdita della moglie Edith, incinta di sei mesi, anche lei colpita dall’epidemia. Erano tutti giovani quando sono morti, e avrebbero certo avuto ancora molto da dire.

Egon Schiele, Portrait Of The Artists Wife Seated, 1917/1918, Österreichische Galerie, Wien.

L’influenza spagnola, che a differenza di quanto suggerisce il nome, non ha alcun rapporto geografico con il Paese, è arrivata nell’immediato dopoguerra e ha causato la morte di circa 40 milioni di persone. Un numero che nella sua forma scritta è così astratto da sembrare osceno, e che sarà più che raddoppiato dalla seconda guerra mondiale. Questi periodi di crisi del XX secolo, insieme alla guerra del Vietnam, alla rivoluzione cubana, e ai molti altri conflitti che hanno funestato il ‘Secolo Breve’, avrebbero ispirato migliaia di libri, film, opere d’arte. Qualcosa, certo, è stato prodotto durante le tante crisi, ma molto altro – come ‘Il terzo uomo’ – è venuto alla luce nel periodi immediatamente successivi. E attraverso una miriade di narrazioni, tutta questa produzione è unanimemente contro la guerra.

In Brasile, durante gli anni della dittatura. abbiamo assistito a un enorme flusso creativo, nelle arti, nella letteratura, nel cinema, nell’architettura e, soprattutto, nella musica. Avrebbe nel 1973 Tom Zé scritto: “la piazza degli afflitti non era abbastanza quadrata per adattarsi alla mia angoscia [1]” se non ci fosse stato il sanguinario generale Médici, allora presidente del Brasile? E Chico Buarque, tornato a Rio de Janeiro dopo un periodo di esilio in Italia, avrebbe ringraziato Dio due anni prima “per avermi lasciato respirare, per avermi lasciato essere [2]” se non avesse vissuto in una realtà in cui Carlos Lamarcal, leader della guerriglia ed ex capitano dell’esercito, veniva brutalmente assassinato, a Bahia, a causa delle sue idee politiche? Le domande retoriche generano risposte di opinione, ma ci piace pensare che, come molti dei loro coetanei in campo creativo, avrebbero fatto di più e meglio se ci fosse state democrazia e pace sociale. Il Rinascimento sarebbe stato infinitamente più glorioso senza i Borgia.

Emílio Garrastazu Médici (1905-1985)

La pandemia di AIDS/HIV ha causato milioni di vittime nel mondo all’inizio degli anni ’80. Si tratta ancora di una malattia incurabile ed endemica, ma lo sviluppo di nuovi farmaci permette oggi alle persone portatrici del virus di vivere a lungo, senza la minaccia di una morte imminente – ovvio, se il malato ha accesso ai farmaci, cosa che non sempre avviene. Già, perché anche quando si tratta di malattie, infatti, c’è un legame diretto tra creatività e scienza. Il mondo dell’arte è stato duramente colpito dall’HIV. Ha perso alcuni dei suoi artisti migliori, colpiti all’apice della loro carriera – Keith Haring, Lorenza Böttner, Absalon, Feliciano Centurión, Leonilson e Rotimi Fani-Kayode, solo per citarne alcuni. Ma, oltre alla massiccia campagna a favore della pratica sicura del sesso, è difficile pensare a un altro beneficio che il virus abbia portato al mondo. Senza contare che la comunità gay è stata duramente accusata di questo male.

Lorenza Böttner, Face Art, 1983, digital C-print.

Nella sua “Storia dell’Arte” Gombrich ci ricorda come Van Gogh abbia fatto ciò che ha fatto nonostante i suoi demoni, e non a causa di essi. Le menti più brillanti che conosciamo in molte parti del mondo sono ancora rinchiuse dentro casa loro, sottoposte a costrizioni fisiche e intellettuali, forzate a elaborare strategie per ciò che seguirà. La grande maggioranza di noi sopravviverà e si riconfigurerà come specie – ma non “tornerà alla normalità”, perché non c’è nulla di normale in un’ecologia dove un miliardo di animali muoiono in Australia a causa degli incendi boschivi e i leader delle grandi nazioni negano il legame tra queste morti e il nostro stile di vita. E mentre in altre parti del mondo le misure sanitarie cominciano a essere allentate, ci troviamo di fronte a una realtà che sembra alludere ai titoli delle Biennali, mescolati insieme – May You Live in Interesting Times, All the World’s Futures, Live Uncertainty e How to (…) Things that Don’t Exist, solo per restare tra Venezia e San Paolo. La situazione certo ispira delle domande, che ora come sempre possono fungere da catalizzatore, oppure paralizzare gli individui. È un fatto positivo che i livelli di inquinamento siano bassi, e che la generosità si diffonda tra le persone. Ma nessuno pseudo-darwinismo romantico può nascondere il fatto che ciò che stiamo vivendo è una tragedia enorme, da qualsiasi punto di vista. A parte rendere le persone più consapevoli riguardo alla propria igiene, non sono affatto chiari gli altri benefici che ne deriveranno. Sappiamo però che alla fine la creatività prevarrà, come sempre.

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[1] Nell’originale portoghese, “o Largo dos Aflitos não era bastante largo para caber minha aflição”. Si tratta di un gioco di parole molto sofisticato, con una parola che sta per “grande” e l’altra che significa “quadrato” o “boulevard”. Libera traduzione a cura dell’autore.

[2] Nell’originale “Por me deixar respirar, por me deixar existir”. Testo di “Construção” (“Costruzione”), una delle più belle canzoni, o addirittura poesie, in lingua portoghese, fatta di versi dodecasillabi, ognuno dei quali termina con una parola proparossitona. Questi sono mescolati in ogni nuova strofa (tre è il totale), creando così varie interpretazioni.

June 15, 2020