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Francesco Clemente, iconologia di ‘Il mio corpo è rosso per formaggio’

Stefano Pirovano

Il 1980 è un anno cruciale per Francesco Clemente, come dimostra ‘Il mio corpo è rosso per formaggio’ (che potrebbe essere stato dipinto prima).

Lo scritto che segue analizza Il mio corpo è rosso per formaggio, opera del 1980 attualmente parte della Collezione Maramotti di Reggio Emilia, dove è esposto al pubblico. L’opera, alta due metri e lunga più di quattro, è stata eseguita su tessuto sintetico applicato su tela, usando pittura acrilica e pennarello. Nel 1982 è stata parte della mostra Transavaguardia: Italia / America, presso la Galleria Civica di Modena e presso il Comune di Pisa. Tra il 2002 e il 2003 l’opera è stata inclusa nelle mostra Transavanguardia al Castello di Rivoli di Torino.

Nota: è possibile navigare l’immagine interattiva qui sotto cliccando sui bottoni sovrimpressi. Quelli rossi portano ad approfondire le varie parti del dipinto. I bottoni verdi aprono citazioni a suo riguardo, degli storici e dell’artista stesso. Consigliamo di navigare l’immagine a schermo intero.

Per Francesco Clemente il 1980, cioè quando Il mio corpo è rosso per formaggio sarebbe stato dipinto secondo l’attuale datazione, è un anno cruciale da molti punti di vista. Stando alla dettagliata cronologia a cura di Rene Ricard pubblicata nel catalogo della retrospettiva dedicata a Clemente dal Guggenheim Museum di New York – la mostra andata in scena nel cono di Wright tra la fine del vecchio millennio e l’inizio di quello nuovo – è proprio nel 1980 che l’artista, nato a Napoli nel 1952, mette le basi perché la Grande Mela diventi la sua patria d’adozione, con tutto ciò che ne segue per uno che fa il suo ‘mestiere’. In autunno, infatti, Gian Enzo Sperone (la galleria allora si chiama Sperone Westwater Fischer) lo espone per la prima volta negli Stati Uniti, in una collettiva a cui partecipano anche Sandro Chia ed Enzo Cucchi. Nel mese di dicembre Annina Nosei espone alcuni disegni di Francesco Clemente in una mostra personale.

Il viatico a queste due mostre è la Biennale di Venezia, a cui Clemente partecipa nella sezione ‘Aperto 80’, curata da Achille Bonito Oliva e Harald Szeemann (qui il link alla storia della Biennale di quegli anni). E prima della Biennale Clemente partecipa a diverse collettive in Germania, e a una collettiva alla Kunsthalle di Basilea, il cui catalogo raccoglie testi di Jean-Christophe Amman e Bonito Oliva. Insomma, per Clemente il 1980 rappresenta l’anno in cui la ruota della fortuna gira finalmente a suo favore.

The burning man, directd by Ravi Chopra, 1980, India, movie billboard.

La prima cosa che si nota vedendo l’impianto compositivo di Il mio corpo è rosso per formaggio è la struttura compositiva, che ricorda molto più di altre opere dello stesso periodo quella dei grandi cartelloni cinematografici di Bollywood, spesso dipinti a mano da artisti specializzati, riconosciuti dalla critica come una delle fonti visuali dell’artista. Sappiamo che nel 1978 a Madras Francesco Clemente, la moglie Alba e la piccola Chiara, nata il 12 agosto dell’anno prima a Piacenza, contraggono l’epatite, che colpisce soprattutto Francesco. Ma questo non gli impedisce di esporre, nel mese di luglio, alla galleria Art and Project di Amsterdam (per farsi un’idea, qui il link alla mostra dedicata dal MoMA ai bollettini della galleria pubblicati tra il 1968 e il 1989).

Francesco Clemente and Alighiero Boetti, Afghanistan, 1974; courtesy of Francesco Clemente.

Clemente, per cui l’autoritratto è già diventato un campo di ricerca – come del resto lo è stato per l’amico Alighiero Boetti, che nel 1974 Clemente raggiunge in Afghanistan in un viaggio che ha segnato un’epoca -, Clemente, dicevamo, si dipinge come protagonista eroe. Un rivolo di sangue – o di sugo – macchia il lato sinistro del labbro, gli occhi guardano fuori dalla tela, sprezzanti. La cravatta, stretta e gialla come la banda di colore che illumina la scena dal lato destro della tela, è un accessorio chic che in questi anni indossano anche Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat – nel 1982 Warhol dipinge un triplice ritratto di Clemente in giacca e cravatta, e lo stesso farà Mapplethorpe nel 1985.

Robert Mapplethorpe, Francesco Clemente, 1985. Courtesy of Tate London.

Gli altri personaggi della storia sono una grande lisca di pesce, un tale che si è appena sparato nelle gambe – ma che sembra riflettere sul fatto più che soffrirne – e quindici forme di formaggio (coi ‘buchi’, o pori), che non possono non ricordare un videogame di straordinario successo come Pac-Man, lanciato proprio nel 1980 dall’azienda Giapponese Namco (qui il link al sito ufficiale del gioco). Il videogame esce il 29 giugno in Giappone, che Clemente visita nel mese di gennaio del 1980, e arriva negli Stati Uniti nel mese di ottobre; entro la fine dell’anno se ne sono già venduti 100.000 pezzi.

Se la linea che stiamo percorrendo è corretta, allora Il mio corpo è rosso formaggio sarebbe il titolo di una narrazione non scritta, ispirata alla biografia dell’autore e di tono auto-parodistico. I due telefoni alla sinistra del viso sono la traccia dell’internazionalismo di cui Clemente, già grande viaggiatore, si fa interprete in un senso simile a quello che Bruce Chatwin avrebbe dato al viaggio nei i suoi romanzi (In Patagonia esce nel 1977). Il telefono, magari di fortuna, è stato il mezzo attraverso cui l’internazionalismo si è compiuto. Una telefonata importante in quegli anni è ancora una specie di epifania. 

Riguardo agli elementi presenti sulla tempia sinistra e sul petto della figura, valga l’idea di ‘frammentazione’ della realtà di cui spesso l’autore ha parlato nel corso degli anni. Non c’è gerarchia, e dunque non c’è un ordine da seguire. Ogni oggetto vale per sé, e ogni relazione tra i frammenti vale per il tutto. L’elefante sugli sci, il doppio amo (che forse è servito a pescare il pesce), le forbici, i ciucci e, sotto, le due croci, il cuore sul pattino, la bocca con la scritta X12, il fulmini con le ruote, le due figure simmetriche, l’una di fronte all’altra, fumettistiche e medievali al tempo stesso. Francesco Clemente suggerisce; ma poi sta allo spettatore tessere la narrativa di cui dicevamo, proiettandola sul fondale che l’autore ha previsto, con piglio poetico più che didascalico. Come il viaggiatore differisce dal turista così quello di Clemente è un invito all’interpretazione, piuttosto che un rebus da risolvere correttamente. A destra del volto, il martello, la radio, l’orologio con schermo a cristalli liquidi – altro segno dei tempi per lo più legato a brand giapponesi come Seiko, che aveva lanciato il primo modello di questo tipo nel 1973. I concetti intorno a cui ruota questo gruppo di oggetti sono quelli di tempo e lavoro.     

D’altra parte, il tema della malattia e quello della sofferenza psicologica che a essa si accompagna tornano in due opere, pure del 1980, come Sun (nella collezione del Philadelphia Museum of Art, qui il link al scheda del lavoro) e Moon, oggi di proprietà del MoMA di New York (qui il link alla scheda dell’opera). Al contrario di questi due dipinti, da cui molto differisce non solo dal punto di vista formale ma anche da quello tecnico, Il mio corpo è rosso per formaggio non è stato incluso nella retrospettiva del Guggenheim. Alla mostra partecipa invece un altro lavoro datato 1980, simile a quello in questione per dimensione, per struttura formale, per intonazione, e per la presenza di una scritta ‘boettiana’ che lo attraversa. La scritta, pure in stampatello, recita: ‘La ruota della virtù la ruota della fortuna’.

Francesco Clemente, Moon, 1980, gouache on twelve sheets of handmade Pondicherry paper, joined with handwoven cotton strips, 245,7 x 231,1 cm). Private Collection, Courtesy of Sperone Westwater, New York.

Anche in questo caso Clemente si ritrae sulla sinistra del dipinto. Fiotti di sangue escono dall’orecchio sinistro, dai pantaloni dell’artista ne sbuca il pene eretto, che trova riscontro nelle forme allusive che popolano la parte destra della tela. Gli altri elementi sono un letto, che nella parte centrale rinforza il riferimento all’orecchio ferito di Van Gogh, e un ciclista stilizzato che indica vittoria con le dita della mano sinistra. Il ciclista sta in una grande vescica ‘onirica’. Clemente la buca; ne escono delle goccioline in forma di cristallo. Il dipinto di cui parliamo si intitola Fortune and virtue. Rispetto a Il mio corpo è rosso per formaggio il rapporto con i manifesti cinematografici è decisamente meno accentuato. Al tempo della retrospettiva al Guggenheim Fortune and Virtue era parte di una collezione privata svizzera, dove ancora dovrebbe trovarsi.

Per quanto ne sappiamo scritte del tipo di quelle viste nei due dipinti di cui stiamo parlando non sono più comparse nel lavoro successivo di Clemente, e lo stesso si potrebbe dire per il tipo di composizione, alla Cy Twombly. Controllando i passaggi in asta si scoprono tuttavia almeno tre disegni datati 1979 che recano scritte di simile foggia: uno si intitola Pane e rappresenta una baguette sotto la quale c’è la scritta ‘cane’ (Christie’s, NY, 1989); il secondo è senza titolo, ma rappresenta un righello sopra il quale campeggia la scritta ‘vetta’ (Christie’s, NY, 1988); il terzo rappresenta una neonata – forse la piccola Chiara? – posata anch’essa sulla sinistra del foglio, in mezzo alla parole ‘una’ e ‘solo’, che danno titolo all’opera (Phillips, Londra, 1988). Alla luce di quella che è stata la produzione di Clemente prima del 1980, dei temi trattati, e di quello che Clemente ha fatto nel 1980 e negli anni a seguire, viene il dubbio che sia Il mio corpo è rosso per formaggio sia Fortune and virtue possano essere stati iniziati prima del 1980, in un contesto biografico e in un momento stilistico che sembrerebbe più coerente ai temi trattati nei due dipinti. Interrogato sulla questione l’artista dichiara che un buona ipotesi, ma non può confermare.

July 27, 2020