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Rodolpho Parigi: intervista con un virtuoso

Maria do Carmo M. P. de Pontes

Rodolpho Parigi può dipingere ciò che vuole. Ma il vero problema, anche per lui, è scegliere cosa vale davvero la pena di rappresentare.

Nato e cresciuto a San Paolo, Rodolpho Parigi fa parte della generazione di pittori che si sono diplomati alla Fundação Armando Álvares Penteado alla fine degli anni 2000 – tra questi ci sono anche Marina Rheingantz [qui il link al suo contributo alla sezione “At the show with the artist” di CFA. Ndr.] e Ana Elisa Egreja. Inteprete di un’estetica estremamente vivida, Rodolpho Parigi trae insegnamenti da quasi tutte le scuole pittoriche, ma per creare dipinti che sono inconfondibilmente contemporanee. Abbiamo quindi parlato con lui di ispirazione, virtuosismo, influenze culturali e alter ego.

Guardando la tua pratica pittorica dalla fine degli anni 2000 a oggi si possono agevolmente individuare “fasi” differenti. Inizialmente si nota un interesse per la geometria, che via via lascia spazio alla figurazione, con diversi gradi di realismo e, negli ultimi tempi, con superfici sempre più lucide. Il tuo impegno nello studio del colore, tuttavia, è stato un filo conduttore costante; non sorprende dunque che la maggior parte delle tue opere siano dipinte su tela. Può essere una domanda difficile a cui rispondere, ma cosa ti spinge a passare da una ricerca estetica a un’altra? Il percorso è consapevole, o è piuttosto qualcosa di cui ti rendi conto mentre accade?

Rodolpho Parigi: Per quanto ricordo, ho sempre creato partendo da un desiderio che si manifesta nel processo stesso della pittura, o del disegno.

Come fossi un dj visivo e pittorico, prendo continuamente decisioni, sia verso qualcosa di nuovo, sia intensificando gli elementi che nella mia pratica artistica si ripetono. Tutto succede sempre all’interno della pittura e del disegno. Direi che avviene ‘in mezzo’, a metà tra la coscienza e l’intuizione, in un luogo indecifrabile che è intrinsecamente connesso al ‘saper fare’, non alla comprensione in sé.

Un altro filo conduttore della tua opera sembra essere l’insieme dei tuoi interessi, o delle tue muse ispiratrici: il corpo umano, la storia dell’arte, l’erotismo, la botanica. Gli elementi che informano il tuo lavoro sono una costante, mentre quello che cambia è l’approccio ai temi. Puoi dirci cosa ti spinge a dipingere ciò che dipingi?

Rodolpho Parigi: In effetti, le mie muse, o i miei motivi, sono sempre gli stessi; da quando ho iniziato non è cambiato nulla in proposito… è solo diventato tutto più intenso. Credo di trattare sempre questi temi in modo autoreferenziale, ma non fino al punto da farli diventare autoritratti. Le varie forme che emergono fanno parte di un lessico personale che ho inventato nel corso degli anni e che utilizzo come elemento di costruzione pittorica. Quando scelgo una forma, o lavoro su una sezione “più astratta” della tela, penso sempre alla composizione, e a come quella parte dialogherà con l’insieme. Sono un virtuoso, ma anche se riesco a dipingere quasi tutto quello che mi viene in mente, la cosa più difficile è proprio scegliere cosa dipingere. Così finisco per eliminare gli oggetti e concentrarmi su me stesso, ovvero sul soggetto che voglio trasmettere. In questo modo dipingere diventa semplice, veritiero e reale, sia per me che per la pittura.

Dipingi partendo da fotografie, soggetti reali, ricordi, oppure fai un mix di queste fonti?

Rodolpho Parigi: I miei dipinti hanno origine da una confusione di processi complessi. Il punto di partenza è sempre la memoria, seguita da proiezioni, fotografie stampate e modelli tridimensionali che metto in studio. A volte uso anche un IPad. Sono per lo più autodidatta, ma ho frequentato diversi corsi, con artisti che pensano e dipingono la tela in modi anche molto differenti tra loro: insegnanti di pittura classica europea, pittori accademici di San Paolo, pittori di velatura e ‘alla prima’, pittori di osservazione e contemporanei. Ho studiato sopratutto alla Fundação Armando Álvares Penteado e al Museu de Arte Moderna de São Paulo. È in questo mix che ho iniziato a dipingere; in realtà credo sua una cosa molto brasiliana.

Dici ‘brasiliano’ per via del miscuglio delle fonti?

Rodolpho Parigi: L’amalgama di informazioni, religione e patrimonio culturale è un aspetto del Brasile che ha sempre richiamato la mia attenzione. La mia famiglia materna viene da Firenze, mentre quella di mio padre viene da Porto, in Portogallo. Entrambe sono arrivate in Brasile all’inizio del secolo scorso e si sono stabilite a San Paolo. Così sono cresciuto in un ambiente italo/portoghese/brasiliano, che credo mi abbia fornito quel mix di riferimenti che caratterizza la mia arte. I miei dipinti non sono altro che filtri, per storie che ho sentito da amici e familiari.

Rodolpho Parigi
Rodolpho Parigi, Yoga Molusco, 2018, oil on polyester, 153 x 153 cm. Courtesy of the artist.

Hai già detto di aver sempre disegnato, sin dalla tua prima infanzia. Eppure pensavi che saresti diventato un ballerino, o un performer, non un’artista. E a un certo punto hai dato vita a una donna trans, chiamata Fancy Violence. Ci racconti di lei?

Rodolpho Parigi: Ho sempre disegnato e ballato molto da bambino. Queste erano e sono passioni che continuano ad accompagnarmi. Ma quando mi sono imbattuto nella pittura e ho visitato il museo del Prado – avevo 21 anni -, mi sono innamorato di Rubens; da allora non ho più smesso di dipingere. Fancy Violence è un personaggio drag diventato una sorta di Alter Ego dell’artista Rodolpho Parigi, non dell’individuo. È esistita per un breve periodo di tempo, forse cinque anni, tra il 2013 e i 18, e ha agitato la città di San Paolo in modo piuttosto violento. Ha fatto diverse performance in istituzioni e spazi indipendenti brasiliani. Le sue incarnazioni erano temporanee e notturne; duravano al massimo sette ore. In realtà la performance avviene nella vita reale, al di là delle mura di gallerie e musei, anche se è nata in questi ambienti. Lei era l’happening stesso; da qui la caducità della sua natura. Fancy è un tableau vivant, un personaggio che ho creato come pittura/scultura vivente. È stato un atto liberatorio, e piacevole. Si tratta di un personaggio più vicino a Batman, o agli X-Men, che a Marina Abramovich. La fantasia esiste nella testa delle persone, lei è il soggetto della psicoanalisi, dei fumetti Marvel, o dell’universo transgender. Ha scelto di nascere nel mondo dell’arte, e di morire dentro di esso.

Fancy è dunque già morta? Ti senti perciò di incarnare un altro alter ego? Magari come Fernando Pessoa, che aveva vari pseudonimi. O anche Monster Chetwynd – nata Alalia Chetwynd, poi diventata Spartacus Chetwynd e Marvin Gaye Chetwynd…

Rodolpho Parigi: Penso sempre a Fancy come a un altro essere. È una persona, un corpo diverso, un’identità visiva diversa, che ha vestiti diversi, e un’altra storia di vita… è più vicina all’essere un’altra persona che a essere uno pseudonimo. È un’altra energia, e un’altra presenza. Esiste su un piano mentale, e a volte si realizza/incarna nella realtà. È una miscela di diversi riferimenti e desideri che ho avuto fin dall’infanzia. Non credo che incarnerò mai un altro alter ego.

Rodolpho Parigi
Rodolpho Parigi, Deliche, 2020, oil on canvas, 70 xd 50 cm. Courtesy of the artist.

Hai dipinto durante la quarantena?

Rodolpho Parigi: Sono stato in autoisolamento per più di quattro mesi. È bene, a volte, lavorare senza una scadenza precisa; c’è più tempo per stabilire intimità con il processo di creazione. Continuo a dipingere ogni giorno. Il mio studio è in un capannone, separato da casa mia da un giardino, il che rende molto più facile lavorare nelle circostanze attuali. Il quadro mi protegge come un guscio. Al suo interno risolvo le questioni della mia esistenza e dei miei desideri. Si tratta di un territorio libero, ossia un linguaggio che, a partire dalla performance, mi è familiare. Passo molto tempo da solo, dipingendo e pensando. La sensazione che ricevo dalla pittura è molto positiva. E le composizioni sono diventate più gestuali negli ultimi tempi, a metà strada tra figurazione e astrazione. Ho iniziato a intensificare i miei gesti. Sono gesti calligrafici, ma la superficie è più pittorica. Il movimento c’è, e c’è ritmo nelle immagini, che è qualcosa che spesso cerco di trasmettere con le mie opere.

Rodolpho Parigi
Rodolpho Parigi, La danse, 2018, oil on canvas, 290 x 500. Courtesy of the artist.

Alcune tue opere hanno titoli letterali, come Blue Head (2019) o Kusama Wig (2018). Altre stabiliscono un rapporto meno ovvio con la composizione, come Black Dimanche Saturday Metal (2019) o Olive Blanka Volumen (2018). Come avviene questo processo? Chi è la gallina e chi l’uovo?

Rodolpho Parigi: Nella maggior parte dei casi l’opera precede il titolo, ma il tema a volte arriva prima. I miei lavori trattano un universo mentale molto personale che sul piano pittorico esprimo attraverso disegni, collage e dipinti. Anche se considero la mia estetica piuttosto contemporanea, il mio processo creativo si basa sui generi pittorici tradizionali: ritrattistica, paesaggio, natura morta, pittura di genere, temi storici, mitologici, religiosi.

Quando creo mescolo i generi e attraverso il mio “modo”, o maniera, concepisco l’opera; quindi tutto finisce per avere il mio stile. Sono una sorta di filtro. Per me tutto è inserito in una storia più ampia, che è un universo privato, quasi un lessico personale. Come dicevo, Si tratta di opere autoreferenziali, ma non di autoritratti. La gallina e l’uovo sono la stessa cosa. C’è una benefica confusione in termini di paternità.

Del resto, due dei miei artisti preferiti sono Shakespeare e Bowie. Entrambi hanno rappresentato le idee in modo molto personale, ma stranamente familiare e universale.

Questo è un buon collegamento con la nostra ultima domanda, forse abusata, ma che in genere offre un interessante spaccato dell’universo di un artista. Se potessi scegliere un’opera da avere a casa, quale sarebbe?

Rodolpho Parigi: Qualsiasi scultura di Jean Arp.

August 18, 2020