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Margaret Lee: vedi quel che significa

Emile Rubino

Pensando ai recenti dipinti di Margaret Lee, alla luce del linguaggio visivo composto che l’artista ha sviluppato nell’ultimo decennio.

C’è qualcosa di inquietante in un dipinto che ti guarda dicendoti che capisce cosa intendi dire. Sembra che le nove tele della suite I.C.W.U.M. di Margaret Lee – intelligentemente intitolata I.C.W.U.M. – stiano prestando attenzione, conoscano la sensazione, ti sentano. Che imbarazzo! Affrontare un’opera che sembra compiacere senza per ciò esprimere un’opinione chiara complica certamente qualsiasi indagine sulla fonte del suo significato. Siamo abituati a chiedere arte che ci metta alla prova, dunque non arte che acconsenta ai nostri desideri, che dimostri interesse per le brevi asserzioni, e che ci lasci parlare – che capisce quello che intendo dire…

A prima vista, un dipinto come I.C.W.U.M. #1 condivide la fredda disinvoltura di MP-KREBM-00068, o MP-KREBM-00089 di Michael Krebber. Eppure, nonostante le pennellate slacciate e l’atteggiamento accomodante, i dipinti di Margaret Lee si presentano come oggetti molto curati. “Non fate finta di non lavorar sodo” forse commenterebbe una pittrice come Rebecca Morris. Ma se da un lato questi dipinti ci collocherebbero all’interno del regno pittorico della pittura, dall’altro il fatto stesso d’aver reso conto del lavoro di Margaret Lee rende l’equazione più complessa – un’equazione tanto complessa quanto la natura sfaccettata delle sue attività. In effetti, Margaret Lee è allo stesso tempo un’artista, un’opera d’arte, la co-fondatrice della galleria 47 Canal, e una persona impegnata nel sociale, attraverso l’associazione Art Against Displacement, nella Chinatown di New York. Margaret Lee ci tiene, e indubbiamente lavora sodo anche quando si rivolge a noi con doppi negativi, come Non è che non prenda (questo) sul serio, ovvero il titolo della sua personale del 2016 alla Jack Hanley Gallery.

Per contestualizzare I.C.W.U.M. possiamo anche guardare alla collaborazione di Margaret Lee con il Dallas Museum of Art e il ristornate Duddell’s di Hong Kong (2016). In occasione della serie Concentrations, per il 35° anniversario del DMA, Margaret Lee ha dipinto una serie di opere per il ristorante stellato. Tra queste c’erano certe fotografie prodotte come sublimazione della pittura su alluminio, spruzzate con goccioline di vernice acrilica nera alla maniera, diremmo, di Jackson Pollock. Le fotografie riguardavano lavandini, scarichi, sifoni, rubinetti, e una scultura di Brancusi del DMA. Indentificate da un altro acronimo erroneamente inizializzato – W.D.U.T.U.R. -, queste opere hanno chiesto con sfacciataggine ai clienti del ristorante: “Chi ti credi di essere?” Sugli imponenti muri di pietra del locale le immagini di Margaret Lee e i loro titoli suggerivano un intento simile a quello del famigerato gioco di parole di Marcel Duchamp sulla Gioconda, con il suo L.H.O.O.Q. (in francese Elle a chaud au cul, lei ha il culo caldo), che alcuni hanno inteso come un tentativo di scioccare la borghesia. Così l’arte del ristorante di Margaret Lee ha portato la toilette un po’ più vicino alla tavola, e l’arte un po’ più vicina alla toilette.

Nel corso degli anni, Margaret Lee ha spesso danzato sulla linea sottile che passa tra i readymade, gli objets trouvés, gli oggetti alterati, per mettere in discussione le modalità d’esposizione e per studiare il rapporto tra arte e design, alla luce delle questioni di classe e di genere. Che si tratti di intendere i dipinti della serie I.C.W.U.M. come parte di una pratica più ampia, basata su oggetti e immagini; oppure si decida di prenderli sul serio come dipinti, essi rimangono sfuggenti quanto il titolo che hanno. Scegliere sarebbe come voler aggirare la strenua ma produttiva ambiguità che l’opera comporta. Non bisogna scordarsi che essi capiscono quel che intendi dire, e che sono comunque d’accordo con la tua opinione. Sporadicamente adornate da pezzi di corda spessa che corrono sui loro bordi, le tele di Lee flirtano volentieri con il gusto decorativo che si addice all’interno lussureggiante di una casa al mare negli Hamptons, o quello di un appartamento nella Knokke-Heist belga.

margaret lee
Mary Heilmann, Save the Last Dance for Me, 1979, acrylic on canvas, 80 x 100 inches. ©Mary Heilmann. Photo credit: Pat Hearn Gallery. Courtesy of the artist, 303 Gallery, New York, and Hauser & Wirth.

I quadri di Margaret Lee sono sexy e lo sanno. I loro arrangiamenti ritmici di rosa e nero ricordano l’iconico dipinto new wave di Mary Heilmann Save the Last Dance for Me (1979). Avvicinando la pittura astratta alla vita, ed evidenziando la sua vicinanza alla musica e al design, Heilmann ha bucato la logica dominante del tardo modernismo. In una scena artistica allora dominata dagli uomini, Margaret Lee diceva: “Se vuoi bellezza, ti darò bellezza!”. Dipinti su pezzi di giornale strappati e poi riportati su tela. Le opere di Lee conservano elementi ludici e frammentari. Sembra strano, ma è rilevante sottolineare che sono visibilmente fatti a mano. In I.C.W.U.M. #3 e #8 i pezzi di carta di giornale agiscono come un substrato artigianale che sembra aver fornito una valida ragione al modo in cui la pittura è stata applicata sulla tela. Lee ha letteralmente ‘coperto’ la notizia.

Le macchie di vernice, la carta di giornale e la corda, sono gli unici riferimenti identificabili in I.C.W.U.M. Tuttavia, i tre elementi hanno precedenti nelle mostre dell’artista. In Closer to right than wrong / closer to wrong than right (2014) Margaret Lee ha coperto repliche bianche di mobili modernisti con caratteristici punti neri dei dalmata. E nella sua mostra Shouting in a bucket blues (2018), un vinile da parete in edizione aperta a forma di corda aleggiava accanto a una grande nuvola di cartapesta che fuoriusciva da un tubo inserito nel muro.

Simboli e riferimenti ricorrenti suggeriscono l’idea che questi dipinti siano anche concepiti come oggetti ordinari. In quanto tali, i dipinti sono in grado di veicolare simboli e significati in modo surrettizio, perché sono simboli in sé e per sé. I dipinti sono mobili, trasferibili, docili, ma resistenti. I dipinti si fanno strada nella vostra vita e sulle vostre pareti, si appendono accanto a voi, quando sedete al ristorante, e compaiono sul vostro schermo, o mentre andate alla toilette. Sono la prossima cosa che vuoi fare con la tua pianta preferita, la tua sedia Gerrit Rietveld Zig-Zag, e i tuoi tavoli a nido ispirati al Superstudio. Ma i quadri non devono per forza essere solo comode poltrone. Possono anche essere buoni elettrodomestici, come l’aspirapolvere o il vecchio tostapane che non pulisci mai: puoi premere i loro bottoni, tirare le loro corde …e durano più dei tre anni di garanzia! Come un oggetto intelligente, che risponde “Mi dispiace, non ho capito”, i dipinti I.C.W.U.M. di Margaret Lee riescono a produrre stati di ambivalenza che ci tengono impegnati. Anche quando non siamo certi di esser ascoltati.

November 12, 2020