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Autentico o no? Una guida breve, ispirata da Liubov Popova e dal Ludwig

Gianluca Poldi*

Le analisi scientifiche possono essere fondamentali per svelare un falso, ma da sole non bastano, come prova una mostra al Ludwig.

Prima di tutto, cos’è un falso? Secondo, come fare una buona indagine a riguardo? Una mostra al museo Ludwig di Colonia su dipinti dell’avanguardia russa, originali e discussi, e il relativo catalogo (Russian avant-garde in the Museum Ludwig. Original and fake. Questions, research, explanations) fanno sorgere spontanee queste domande. Tra l’altro, il tema delle opere dell’avanguardia russa contraffatte – tema interessante ma troppo ampio per essere approfondito in questa sede – è particolarmente importante per via delle molte vendite di pezzi “non corretti”, ora appartenenti a varie collezioni. Ma questo problema riguarda molte altre opere d’arte. Per esempio, restando al ‘900, le opere di Modigliani, o quelle dei futuristi italiani, in particolare Balla e Depero.

Installation view Russian Avant-Garde at the Museum Ludwig: Original and Fake Questions, Research, Explanations. Museum Ludwig, Cologne 2020 Photo: Rheinisches Bildarchiv, Cologne/ Chrysant Scheewe.

Riguardo all’autenticità

Possiamo definire un falso come una cosa che non è vera, ma che viene creduta vera, o che si vuole far passare per vera. Un falso d’arte può essere un’opera dipinta, venduta o esposta con un’errata attribuzione, o con l’intenzione di presentarla come se fosse un’opera autentica di un determinato autore, o appartenente a una determinata scuola o periodo. Un manufatto è sempre autentico rispetto al suo vero autore, ma per vari motivi può accadere che sia attribuito a qualcun altro. Ad esempio, l’autore o un’altra persona potrebbe aver apposto una firma non corrispondente al vero, o potrebbe esser stato commesso un errore nel riconoscere lo stile di un artista per mancanza di documentazione specifica a riguardo.

Pensiamo alle copie. Non si possono definire falsi d’arte se vengono presentate come copie, ma diventano falsi se vengono mostrate come opere originali di un autore diverso da quello reale. Capita a volte che copie accademiche molto buone dei dipinti in commercio non siano facilmente distinguibili dall’originale e siano considerate copie o versioni diverse dello stesso maestro. Altre volte possono essere dipinti eseguiti nella bottega del maestro, o nel suo ambito, generalmente appartenenti allo stesso periodo in cui è attivo il maestro. Per tutti questi motivi, la parola “falso” nel mondo dell’arte deve essere usata con grande precisione. Rispetto all’autore cui l’opera viene riferita, le diciture “attribuzione scorretta”, “già attribuito a” o “non autentico” sono in molti casi preferibili.

C’è poi il problema della datazione dell’opera, un problema che può essere molto difficile da risolvere. Un autore come Giorgio de Chirico, per esempio, per vari motivi (solitamente di carattere economico), ha retrodatato alcune sue opere, o addirittura le ha eseguite nello stile di sue opere precedenti. Analogamente all’autorialità, l’errata datazione può cambiarne completamente il valore dell’oggetto.

art fake
Earlier attribution: Olga Rozanowa, Landscape (Decomposition of Forms), c. 1913 (given). Oil on canvas 57 x 40 cm. Museum Ludwig Cologne. Photo: Rheinisches Bildarchiv, Cologne.

Analisi scientifiche

A volte le opere d’arte non autentiche sono facili da individuare a causa di errori stilistici o tecnici. Altre volte sono necessari esami scientifici, anche se non sempre questi sono sufficienti, a meno che non siano accompagnati da una meticolosa selezione di documenti e dalla storia conservativa dell’opera. L’indagine può diventare un giallo. Un team di persone con formazione e competenze diverse, cioè storici dell’arte, storici, conservatori, curatori, fisici, chimici, biologi, sono tutti coinvolti per svelare la verità. Il ruolo degli esami scientifici può essere decisivo, ma non sempre è così.

Gli scienziati che si occupano di autenticazione degli artefatti di solito dicono che è più facile dimostrare che un’opera non è autentica piuttosto che il contrario. Potrebbe sembrare un paradosso, ma dietro si nasconde un’importante verità: se dati scientifici coerenti mostrano incoerenze con la presunta datazione, o con l’autore (per vari motivi, il primo caso è più comune del secondo) l’opera deve essere considerata non autentica o erroneamente datata. Quando si trovano materiali e tecniche esecutive coerenti con l’età dell’opera, non si può dimostrare attraverso analisi scientifiche che il lavoro è un’imitazione, soprattutto se è un’imitaizione particolarmente intelligente.

Kliment Redko Suprematism, 1921. Oil on canvas 71,2 x 53.2 cm MOMus – Museum of Modern Art – Costakis Collection, Thessaloniki. Photo: MOMus – Museum of Modern Art – Costakis Collection, Thessalonik.
Earlier attribution: Kliment Redko Suprematism, 1921/22 (given). Oil on canvas 69 x 49,5 cm Museum Ludwig Cologne. Photo: Rheinisches Bildarchiv, Cologne.

Le analisi scientifiche possono dimostrare che i materiali originali, ovvero materiali che non sono stati introdotti successivamente da restauri o manipolazioni, non appartengono al periodo presumibilmente originale dell’opera. Gli esami da svolgere dovrebbero essere scelti specificamente  per l’opera in questione, concentrandosi su parti scelte dell’oggetto, se non sulla sua interezza. Le analisi vengono di norma classificate in categorie. Per esempio, possono essere invasive (si pensi al prelievo di campioni) o non invasive; micro o macro; spettroscopiche o non spettroscopiche (si pensi alle immagini prese a diverse lunghezze d’onda e alle immagini al microscopio); svolte secondo metodi di datazione diretta, come carbonio-14 o dendrocronologia, o indiretta. Questi ultimi possono rivelare materiali prodotti più tardi rispetto all’età presunta dell’opera, o non più prodotti a quel epoca.

Per rispondere alla seconda domanda che abbiamo posto all’inizio, una buona ricerca in relazione alla falsificazione e all’attribuzione di un’opera dovrebbe essere un dialogo complesso tra veri esperti sulla base una procedura di analisi scientifica seriamente documentata. Una buona ricerca implica quindi non solo buoni scienziati, analisi e strumenti adeguati, ma anche una presentazione dettagliata delle metodologie e degli strumenti analitici utilizzati per le analisi – la cosiddetta sezione “materiali e metodi” dei lavori scientifici. Servono poi un’esposizione accurata dei risultati e un momento di discussione, anche con esperti esterni al gruppo di lavoro. Una buona ricerca richiede trasparenza e un processo di peer-review anche per questo settore che potrebbe essere definito “scienza dell’autenticazione”.

Liubov Popova, Portrait of a Woman (Relief), 1915. Oil on paper, cardboard, and wood, 66,3 x 48,5 cm. Museum Ludwig, Cologne. Photo: Rheinisches Bildarchiv, Cologne

“Avanguardia russa al Museo Ludwig. Originali e falsi. Domande, ricerca, spiegazioni”

La mostra del Ludwig di cui dicevamo e il suo catalogo presentano opere nelle collezioni del museo considerate false o discutibili, esposte accanto a dipinti di sicura attribuzione e corretta datazione. Esperti di diverse istituzioni hanno effettuato una serie di analisi scientifiche su queste opere d’arte, sia non invasive che micro-invasive. L’occasione sembra particolarmente importante. La collezione Ludwig è tra le più importanti riguardo all’avanguardia russa e conserva infatti capolavori di Malevich, Goncharova, Larionov, Rodchenko e Popova.

Ogni museo dovrebbe essere trasparente come il Museum Ludwig ha provato di essere in questa situazione, effettuando regolarmente ricerche sulle opere delle proprie collezioni per verificarne l’autenticità e la corretta attribuzione temporale ove queste siano messe in discussione. Inoltre, il museo tedesco sembra essere particolarmente coraggioso nell’esporre le opere in questione, invece di limitarne l’accesso al piccolo mondo degli esperti. D’altra parte, la mostra sottolinea il potenziale educativo della ricerca sull’autenticazione, confermando che l’istituzione non teme di affrontare scoperte che potrebbero portare al deprezzamento delle sue opere d’arte.

Tuttavia, dal punto di vista critico, la mostra al Museum Ludwig purtroppo non soddisfa i requisiti di una buona ricerca che abbiamo delineato sopra, o almeno di una buona presentazione di questa. I dati non sono prodotti in modo sufficientemente dettagliato e non viene fornito alcun supporto esterno (come un pdf online per esempio) a quei visitatori che volessero approfondire gli interrogativi, o leggere i rapporti scientifici che dovrebbero essere stati prodotti. Più pagine in catalogo, o un’appendice online, avrebbero anche permesso di condividere ulteriori dettagli di alcuni dipinti, come le immagini del loro dorso, i dettagli e gli spettri, le zone o i punti di misura: vale a dire, tutto ciò che è utile alla comunità scientifica, compresi gli storici dell’arte, per poter trarre le proprie conclusioni.

Mikhail Larionov, x-ray image, Rayonism Red and Blue (Beach), 1913. Museum Ludwig Cologne. Roentgen: Art Analysis & Research/Russian Avantgarde Research Project.

In generale, nella mostra e nel catalogo non esiste un’indicazione precisa delle analisi effettuate su ogni dipinto, né degli strumenti utilizzati – manca anche la citata sezione “materiali e metodi”, che deve comparire negli articoli e nei report. È poi un peccato che non vengano discussi i limiti di ogni metodologia e delle apparecchiature scientifiche impiegate. Questo sarebbe stato un argomento importante, soprattutto per chi pensa che gli esami scientifici possano risolvere tutto.

Inoltre, un ampio sforzo di confronto con molte altre opere dello stesso autore, studiate anche attraverso esami scientifici, sarebbe stato importante per fornire risultati più interessanti e per affrontare meglio le questioni di attribuzione. Nondimeno, un doppio registro per esporre i dati in mostra sarebbe stato di certo più utile e interessante: da un lato, una mostra per il grande pubblico, dall’altro, una per quegli specialisti che sono in grado di valutare e commentare il lavoro svolto.

Alcuni risultati della ricerca svolta dal Ludwig sono comunque convincenti. Per esempio: 1) il ritrovamento di fibre sintetiche più recenti rispetto alla presunta età di alcuni dipinti (datazione indiretta), scoperte in alcuni supporti in tela e all’interno della superficie pittorica – ma manca purtroppo l’indicazione della zona di campionamento; 2) l’efficacia del carbonio-14 nel rilevare falsi/lavori realizzati dopo il cosiddetto “bomb-peak” degli anni Cinquanta – un metodo che per limiti intrinseci non è molto informativo riguardo alla datazione di opere d’arte moderna antecedenti agli anni Cinquanta; 3) i materiali incongrui trovati attraverso le spettroscopie Raman e FTIR e gli esami microscopici, anche se non tutti i dati sono ben presentati e lasciano il dubbio che i risultati non riguardino solo le aree originali del dipinto.

Per quanto riguarda il catalogo della mostra, sembrano esserci delle contraddizioni in alcune delle voci. Manca anche un bibliografia esaustiva, e le citazioni non sono sempre corrette, o complete. Ad esempio, l’opera Painterly Architectonic (“Architettonica pittorica”) di Lyubov Popova, datata 1918 da Sarabianov e Adaskina nella loro importante monografia del 1990 sull’artista, è indicata come “precedente attribuzione”. Il legame tra questo dipinto e quello molto simile della Collezione Thyssen-Bornemisza di Madrid (inv. 1976.17), firmato e datato “L. Popova, estate 1918” in cirillico sul retro, è evidente. I dipinti, infatti, sono riprodotti insieme nel catalogo ed entrambi esposti. Sorprendentemente, il primo è in mostra erroneamente orientato in orizzontale solo per facilitare il confronto tra di loro.

Liubov Popova, Painterly Architectonic, c.1920. Oil on canvas, 57,5 x 44 cm. Museum Ludwig Cologne. Photo: Rheinisches Bildarchiv, Köln.
Lyubov Popova
Liubov Popova, Painterly Architectonic, 1918. Oil on canvas, 45 x 53 cm, Thyssen-Bornemisza Collection Accession no.1976.17 Photo: Museo Nacional Thyssen-Bornemisza.

In questo contesto tecnico, in cui i dati scientifici – fino a prova contraria – non hanno affatto dimostrato l’incompatibilità del dipinto con il periodo presunto, la lapidaria “precedente attribuzione”, e quindi non più attribuito alla Popova, suona del tutto curiosa, soprattutto perché non esistono altri documenti contro l’autenticità di quest’opera. Un’affermazione del tipo “sebbene Popova abbia lavorato attraverso le sue idee in serie, non esiste un altro esempio in cui abbia ripetuto, quasi esattamente, un dipinto per dimensioni, composizione e colore” (p. 168 del catalogo) sembra contraddire la precedente voce del catalogo, dove sono mostrati due dipinti di Popova, Seated Female nude, 1913-1915 (del Museo Ludwig) e Air+Man+Space, 1913 (Museo di Stato russo, San Pietroburgo), l’uno molto simile all’altro.

Nella voce, la presenza di un “fondo rosso ocra” è contrassegnata come “una deviazione” dal fatto che “tutti i precedenti esami di dipinti noti all’artista hanno stabilito che sono stati utilizzati fondi bianchi”. Viene omessa l’opinione di Gerner-Beuerle, che considerava l’opera autentica e l’ha esaminata circa 20 anni fa insieme ad altre della stessa artista. Chiaramente, un fondo colorato non può essere una prova di non autenticità, poiché una tale eccezione potrebbe esistere. Ad esempio, l’artista avrebbe potuto sperimentare una base cromatica diversa per una seconda versione del soggetto, supponendo che questa sia la seconda versione.

Liubov Popova
Liubov Popova, Painterly Architectonic, 1916, oil on board., 59.40 x 39.40 cm. Scottish National Gallery Of Modern Art. Ph: Antonia Reeve.

Possiamo anche sottolineare che in alcuni dipinti della Popova provenienti da collezioni pubbliche esistono colori diversi (imprimiture differenziate?) sotto diverse forme colorate, come in Painterly Architectonic, della National Galleries of Scotland (1916). Queste differenze possono essere un ripensamento complessivo, o un gesto voluto. Prove simili possono essere parzialmente notate a occhio nudo nel Painterly Architectonic della Collezione Thyssen-Bornemisza (1918; inv. 1977.52). Quando le fonti storiche, i documenti e i dati scientifici non dimostrano nulla contro l’originalità di un’opera, è necessaria prudenza. Data la povertà delle argomentazioni proposte dai curatori nella scheda, una frase finale “Si faranno più indagini per chiarire l’epoca di questo dipinto” avrebbe potuto meglio adattarsi a questo specifico contesto, soprattutto per gli scettici.

Anche altre questioni interessanti riguardano le versioni di Painterly Architectonic del Ludwig e della Thyssen: i due dipinti hanno dimensioni abbastanza simili (come si apprezza, una volta ruotata la versione di Ludwig è più grande) e le forme dipinte non si sovrappongono; la tecnica pittorica è diversa (il primo è dipinto a pennello, il secondo a spatola), come Popova era solita fare; i colori sono quasi identici. Ma qualcuno ha svolto un confronto analitico tra i pigmenti di entrambi? Sono gli stessi? Il Ludwig ha tentato un test del carbonio-14 per datare la propria versione dell’opera, cercando di datare il legante? Perché datare la tela potrebbe portare a un periodo precedente se questa fosse stata riutilizza. Se la data del legante risultasse precedente al “bomb peak”, avrebbe senso immaginare un falso realizzato prima degli anni ’50? C’era un mercato per un’opera d’arte di questo tipo all’epoca?

Questo dipinto è solo un esempio, naturalmente. Eppure, se guardiamo le prove scientifiche presentate nel catalogo e nella mostra troviamo forti evidenze analitiche che giustificano un cambiamento di periodo/attribuzione solo per circa 6 dei 13 dipinti che i curatori ridefiniscono come “già attribuito a” o “attribuzione contestata”, tra i 24 sottoposti ad analisi.

Nonostante gli obiettivi ideali e dichiarati, alcuni aspetti della mostra al Museum Ludwig finiscono per essere tutt’altro che trasparenti, e la conclusione di alcuni lavori tecnici sembra un po’ troppo affrettata. Le voci non sono state scritte da scienziati, ma presumibilmente dalla restauratrice e dalla vicedirettrice del museo che ha curato la mostra e il catalogo. L’esposizione è comunque interessante e attraente per i visitatori, ma svariate conclusioni sono da valutare con spirito critico. Uno scienziato che si occupa dell’analisi scientifica di antichi maestri e di dipinti moderni desidera un’istituzione che colga occasioni come questa mostra per tracciare un percorso di precisione e affidabilità impeccabile, che possa guidare altre collezioni pubbliche e private e informare correttamente il pubblico. Il desiderio rimane qui insoddisfatto.

*Nota: Gianluca Poldi è un fisico specializzato in analisi scientifiche dedicate allo studio e alla conservazione di opere d’arte e di interesse culturale. Si occupa soprattutto di diagnostica non invasiva per l’esame di opere policrome e per il recupero di scritture cancellate in palinsesti. Come libero professionista, consulente di numerosi progetti scientifici ed espositivi e collaboratore del Centro Arti Visive dell’Università di Bergamo, ha effettuato esami su migliaia di opere nei musei e nelle collezioni private in Italia e all’estero, dedicando numerosi studi ai dipinti del XV-XVI e XIX-XX secolo. Ha pubblicato oltre 200 lavori tra cui saggi, libri e articoli scientifici.

December 17, 2020