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CONCEPTUAL FINE ARTS

Chi mai sarà Jef Geys?

Dirk Snauwaert

Uno sguardo sull’opera dell’artista belga Jef Geys, che ne abbraccia i progetti chiave, gli approcci, le metodologie e le complessità

Jef Geys in 1986. Photo: Lieven Herreman.

L’opera di Jef Geys (1934-2018) è una delle territorialità non rivelate della neoavanguardia, di cui l’artista nel 2002 ha reso una visione criptica al mondo dell’arte internazionale, all’interno della più grande piattaforma di autopromozione esistente: documenta a Kassel. Day and Night and Day, l’opera che Jef Geys ha presentato in quell’occasione è stata ampiamente citata per la sua durata, 36 ore. Ma pochi, in effetti, hanno parlato del modo in cui l’artista ha tracciato un’intera traiettoria di vita, con maniacale qualità espositiva e personalissima anti-narratività.

Jef Geys, “All Black and White Pictures until 1998”, Collection: Collection MUHKA, Antwerp.

Tutte le fotografie che Jef Geys ha scattato, fino al 1998, sono “passate” in una tracimazione foto-filmica che ha delineato la portata di ciò che egli considerava costitutivo della propria pratica. Sfocando i confini tra i diversi ambienti delle sue operazioni topografiche o sociali, le immagini sono state prese nel Balen rurale, città natale dell’artista, ma anche durante i sui viaggi di vacanza e nella scuola dove, dal 1966 al 1989, ha insegnato “estetica positiva”, durante azioni socio-culturali e politiche regionali, negli scenari rappresentati nell’arte belga e in quella internazionale.

Classroom in Balen (Belgium) where Jef Geys taught “positive aesthetics” from 1966 to 1989. With an artwork by Roy Lichtenstein in the background.

Sovvertire le categorizzazioni è stato un gesto tipico della sua generazione, ha usato l’extradisciplinarietà come mezzo per stigmatizzare il conformismo delle classificazioni stilistiche e formali basate sui criteri accademici. L’eco di queste pratiche si avverte nell’interesse di Jef Geys per l’archiviazione e la riorganizzazione del sapere. Le sue presentazioni hanno posto l’accento sull’organizzazione schematica della ricerca, esposta in forma di osservazione laconica di fenomeni, fatti e documenti. Tuttavia, Geys è sempre sfuggito a qualsiasi svolta narrativa, o comunicativa, tralasciando titoli e legende, seguendo un’organizzazione ermetica, fornendo informazioni criptiche e inafferrabili su ciò che i documenti (fotografici) rappresentavano. Piuttosto che essere una mera documentazione, o la prova di un fatto visivo, la lenta sequenza di immagini presentata a documenta è diventata più che altro una fantasticheria cinematografica di profonda portata autobiografica. L’uso della giustapposizione come dispositivo seriale e de-drammatizzante, così come l’assenza di composizione o accurate inquadrature, ha collocato il lavoro di Jef Geys lungo la linea della fotografia concettuale delle origini, che insiste sulla documentazione, sulle griglie diagrammatiche e sulla sostituzione delle competenze mediatiche professionali con un’impronta impersonale, fattuale o dilettantesca.

Jef Geys, issues of the Kempens Informatieblad, installed at Künstlerhaus Bremen, 2019. Copyright photo: Fred Dott, Hamburg, http://www.freddott.de,

Liste, panoramiche, catalogazioni, classificazioni: gli strumenti per la produzione e l’organizzazione della conoscenza sono stati alla base del lavoro di Jef Geys. Tra questi ci sono la lista dei suoi lavori, spesso aggiornata, che ha raggiunto oltre 844 occorrenze; il catalogo che descrive e commenta il suo primo decennio di produzione, intitolato A Novel About Motivation and Reality (1973); un giornale auto-pubblicato intitolato Kempens Informatieblad, che dal 1971 ha accompagnato le sue mostre sostituendo la forma istituzionalizzata del catalogo, per un totale di circa 59 pubblicazioni. La sequenzialità, cioè la ripetizione di protocolli simili che si traducono in una temporalità specifica, pone Jef Geys tra gli artisti che meglio hanno sviluppato il metodo diagrammatico dell’analisi strutturalista. Si tratta di arte concettuale che sfugge alle soggettività che si lasciano trasportare dalla retorica visiva.

Jef Geys, “ABC école de Paris”.

A inquadrare il lavoro di Jef Geys è stato, fin dall’ininzio, il suo “metodo per imparare a disegnare nello stile della scuola parigina”. ABC école de Paris, (n.d., ca 1962-63), consiste di una serie di disegni schematici che imitano un costoso manuale per artisti amatoriali, parodiando l’adattamento allo stile, le suddivisioni per genere e le categorie di apprezzamento che allora erano ancora predominanti nel discorso storico dell’arte, in completa contraddizione con la trasgressività delle scuole d’avanguardia parigine.

Installation view of Jef Geys’ “Seedbag” paintings 1962-2001 at the Kunstverein Munich, 2001.

Jef Geys ha lavorato coscientemente tutta la sua vita da una prospettiva periferica. Viveva in una città rurale sulle rive del canale Albert, l’arteria economico-industriale del Belgio, che è stata testimone del rapido sviluppo dell’industrializzazione e della suburbanizzazione del dopoguerra, vicino al confine con i Paesi Bassi più liberali. Geys si è concentrato sulle promesse di progresso fatte attraverso la mercificazione e la standardizzazione di produzione e distribuzione nelle società benestanti. I Seedbags, che dal 1962/3 fino alla sua scomparsa Geys ha prodotto ogni anno, erano repliche dipinte di pacchetti di sementi per orticoltori amatoriali. Ogni Seedbag era accompagnato da una didascalia che indicava il nome scientifico della pianta e l’anno in cui Geys ne aveva coltivato i semi e dipinto la confezione.

Jef Geys’ small “Seedbag” paintings in the annual fair of the cultural association, n.d.

Il divario tra la rappresentazione abbellita e stilizzata, la dimensione astratta e teorica delle informazioni, così come l’esperienza ordinaria di coltivazione e raccolta della pianta reale, hanno conferito ai Seedbags diversi strati di significato, non solo innescando un gioco illusionistico tra immaginario rappresentativo e linguaggio, ma anche decostruendo, con scetticismo, le simulazioni della stampa mediatica. L’operazione alludeva all’esperienza diretta, fisica ed empirica del coltivare quando è soppiantata, nel comune giardinaggio, da processi di autosostentamento.

Jef Geys, “Coloring Book for Adults”,1964-65, detail, 6 of 7 panels.

Questo procedere per atti di emancipazione e autodeterminazione, in aperta contrapposizione alla concezione ideologica della determinazione storico-sociale degli individui, della tradizione, della routine, è stato nella metodologia di Jef Geys un motivo ricorrente. Il suo Libro da colorare per adulti (1964-65) colpisce nelle sue varie emanazioni, che hanno costituito un caustico commento allo stile di vita suburbano della classe media e all’estetica neomoderna che l’ha caratterizzata. Sette pannelli, oltre a libri e stampe, recano disegni lineari schematizzati che toccano un’ampia gamma di esempi, varianti, dettagli, funzioni e gesti, legati alle sette categorie fondamentali della vita umana, ovvero: donna, casa, auto, corpo, militare, mondo e oggetti. Oscillando tra la pittura manuale e quella figurativa di genere, Jef Geys ha affidato queste rappresentazioni a grandi pannelli dalle superfici laccate, seguendo l’idioma dell’estetica pop. Molto più tardi, nel 1978, Geys collaborerà con un cineasta amatoriale alla produzione di un film che avrà il compito di chiarire la natura didattica delle illustrazioni, riprendendo gli strumenti pedagogici che un insegnante di scuola elementare utilizzerebbe.

Come insegnante, Geys ha messo a confronto i suoi studenti con i reciproci processi esperienziali e di apprendimento. Per questi esperimenti “in classe” ha creato opere o strumenti ad hoc, sia impiegando il proprio lavoro, sia quello di altri artisti. Geys era solito prendere in prestito opere d’arte dalle gallerie e ed esporle in classe (per esempio, i lavori di Piero Gilardi e James Lee Byars), oppure portava i suoi studenti a visitare sul campo opere e mostre, come è accaduto nel caso del museo fittizio di Marcel Broodthaers. Un elemento espositivo posto sul fondo dell’aula mostrava oggetti funzionali al suo processo di insegnamento. La lavagna, sulla parete opposta, era costellata di termini tratti dall’attualità e dal dibattito pubblico. Su questi termini gli studenti erano invitati a intervenire.

Classroom in Balen (Belgium) where Jef Geys taught “positive aesthetics” from 1966 to 1989. An artwork by Piero Gilardi stands in the foreground.

Gli aspetti più pragmatici della professione di insegnante sono stati compensati da altre attività, ispirate dalla giovane età e dalla controcultura. Quando un amico ha iniziato a gestire certi bar locali, Jef Geys gli ha dato una mano creando per la clientela atmosfere, ambientazioni sonore, e altre amenità. I locali di cui stiamo parlando hanno preso vita durante gli anni della contestazione, contro lo status quo conservatore, accanto alle rivendicazioni di liberazione sessuale, egualitarismo o auto-organizzazione sociale. Su invito dell’artista i locali ospitavano spettacoli di cabaret e di circo, e proiezioni dei film di Andy Warhol.

Jef Geys ha interferito nel tessuto sociale ordinario attraverso progetti pedagogici, o addirittura sovversivi, che sono spesso serviti ad alimentare un dibattito. ln quest’ottica, per esempio, Geys ha stilato liste di tutti gli argomenti dell’opinione pubblica e della stampa riguardo la questione femminile. Prima di essere esposti nella fiera annuale dell’associazione culturale femminile locale, tali argomenti sono stati trattati in classe, durante le lezioni con i suoi allievi. Alla fine degli anni Settanta Geys ha anche elencato le questioni politiche e sociali su rotoli di carta “kraft” da imballaggio. I rotoli dovevano essere esposti, senza alcuna indicazione riguardo al loro autore o al motivo per cui erano stati composti. La sua Iniziazione al marxismo (1982) elencava le teorie conflittuali del marxismo, studiate da Geys in modo comparativo, notando i diversi concetti che dividevano le scuole di pensiero ideologiche che dominavano l’allora frammentato spettro intellettuale della sinistra.

Installation view of Jef Geys’ participation to the Sao Paulo Biennial, 1991.

Gli interventi di Jef Geys sulle piattaforme internazionali, come la biennale di San Paolo o quella di Venezia, hanno coniugato una logica contestuale site-specific con caratteristiche autobiografiche e didattiche, portando a una messa in discussione scettica delle forme e delle convenzioni rappresentative. A San Paolo, al centro dell’edificio che ospita la biennale, si trovavano scheletrici modelli di case moderniste, in contrasto con le nozioni rivali di organizzazione spaziale avanzate dall’architettura modernista e postmodernista. L’artista aveva in precedenza indagato il modo problematico in cui il formalismo internazionalista si rapportava alla scala delle proporzioni umane.

Installation view of Jef Geys’ “Quadra Medicinale”, Belgian Pavilion at the 2009 Venice Biennale.

Per il padiglione belga alla Biennale di Venezia del 2009, Geys ha controbilanciato il disegno a griglia dell’isola di San Michele della morte con le strutture organiche delle radici delle piante selvatiche e delle erbacce che crescono dentro e tra la griglia urbana e che possiedono qualità che – se la conoscenza fosse riattivata – potrebbero curare molti problemi di salute di base. La Quadra Medicinale era composta da casi di studio condotti in altrettanti ambienti urbani, ciascuno esposto su pannelli di informazione botanica scientifica, completati da istruzioni per l’automedicamento destinate ai senzatetto e ai poveri.

Jef Geys’ work in the exhibition “Chambres d’Amis”, Ghent, 1986. Photo: Dirk Pauwels.

La co-determinazione attraverso l’analisi del contesto di base e delle dinamiche della società è stata la questione su cui hanno insistito diverse opere di Jef Geys. Tra queste c’è la selezione di cinque case di persone supportate dall’assistenza sociale fatta a Gent nel 1986, in occasione della mostra Chambres d’Amis in case private. In ogni casa è stata installata una porta con sopra scritti i principi della repubblica democratica: libertà, uguaglianza e fratellanza. È proprio da questi principi che il museo d’arte ha tratto la propria legittimazione, come spazio in cui la libertà di espressione è assiomatica.

November 2, 2021