Giangiacomo Rossetti: pittura come forma di ospitalità
Abbiamo analizzato la pittura di Giangiacomo Rossetti, con l’aiuto dell’autore, e quello di una mostra fondamentale (a New York)
Chi ci segue sa che quando decidiamo di occuparci di artisti che come Giangiacomo Rossetti (Milano, 1989) ancora non hanno i capelli bianchi, di norma preferiamo assumerci la responsabilità di scrivere di loro piuttosto che prendere la meno rischiosa via dell’intervista. Stiamo dalla parte di quelli che pensano che l’artista già parli con la sua opera e per giunta crediamo che l’atto interpretativo, al pari di quello collezionistico, sia sempre essenziale al pieno compimento di questa. Anzi, il primo è spesso la necessaria premessa del secondo.

Nonostante ciò, quando dopo aver visto la serie di dipinti presentati da Giangiacomo Rossetti da Green Naftali a New York lo abbiamo contattato perché intenzionati a scrivere di lui, lo abbiamo fatto chiedendogli proprio un’intervista. Ci sono artisti – e in genere si tratta di quelli che dipingono – il cui lavoro appare così strettamente legato a copro e animo del loro autore da non poter essere compresi senza ‘sentirne’ la sua voce. Cosa sarebbe Vincent Van Gogh senza le lettere, Giorgio De Chirico senza il Piccolo trattato di tecnica pittorica, o Pierre Klossowski senza il Baffometto o la trilogia dedicata alla moglie Roberte?

Così, spinti a contravvenire alla nostra stessa regola dall’inondante intimità che anche attraverso lo schermo del computer riescono a trasmettere i nuovi dipinti di Rossetti, ci siamo rivolti a lui, provando a motivare il meglio possibile la nostra inconsueta richiesta…
Come era forse prevedibile l’artista ha declinato. Pure lui è dell’idea di cui dicevamo sopra e per di più teme in questo momento della sua vita la persistenza delle parole ‘che rimangono’ (Rossetti). Ci ha perciò invitato a scrivere del suo lavoro dal nostro punto di vista, per stimolare il quale ha tuttavia acconsentito a un incontro virtuale, al fine di chiarire curiosità che nutriamo sin dai tempi di Gasconade, ovvero il contesto dove per la prima volta siamo entrati in contatto con il suo lavoro – era il 2011.
La videochiamata con Giangiacomo Rossetti è durata molto più di quanto ci aspettassimo finendo purtroppo per rinforzare l’idea che ci eravamo fatti all’inizio riguardo alla necessità della sua voce. Durante il nostro colloquio Giangiacomo Rossetti ha comunque aggiunto una generosa dose di quegli elementi interpretativi che solo l’autore dell’opera può offrire. Ci ha detto, per esempio, che Fantasia n.6 – Contratto devozionale deve il suo mistero al fatto di essere nato, come soggetto, direttamente sulla tavola, dopo molti passaggi corsi nell’arco di un semestre – a un certo punto le due figure sono persino state due pianeti. Ci ha detto che Fantasia n.3 – Sepoltura è stato dipinto nel New England, dove l’artista e la moglie, che vivono da un paio d’anni a New York, si sono rifugiati durante la pandemia (il personaggio nel dipinto è Rossetti stesso, originariamente autoritrattosi come qualcuno che lavora la terra, mi poi poi portato altrove dalla pittura stessa, come già Millet nell’Angelus). Rossetti ci ha anche parlato di Fantasia n.9 – La casa dagli spiriti buoni, rivelando che i due protagonisti sono l’artista Rochelle Goldberg e suo marito, Weit Laurent Kurz. Qui il pensiero dello storico dell’arte non può che precipitarsi nelle Fiandre dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck.

Inomma, dopo la videochiamata ci eravamo rassegnati a scrivere la nostra analisi quando abbiamo ricevuto via email un nuovo, prezioso documento. Ecco la voce che cercavamo. Senza questa dichiarazione scritta spontaneamente non avremmo capito, per esempio, l’importanza del legame sentimentale che unisce Rossetti ai suoi personaggi. E nemmeno avremmo capito quanto l’artista si sforzi, con la pittura, di ‘farli sentire a proprio agio nel dipinto’. Proprio da questo tormento formale ha origine la misteriosa tensione che si avverte nella scena, non già da fatti oscuri, indicibili, o surreali come si potrebbe pensare. Come per Balthasar Kłossowski, e al contrario di Pierre Klossowski, Giangiacomo Rossetti ragiona all’interno della pittura e del proprio personale confronto con essa, tecnicamente e umanamente – qui Rossetti si appella alla propria natura impulsiva e impaziente come misura del rapporto tra sé e le ragioni del medium. A questo proposito apprendiamo anche che la pittura di Rossetti non è mai prassi che si ripete, in nessuna sua fase. Al contrario, il percorso che porta alla superficie finale si rinnova ogni volta, e ogni volta parte da premesse differenti, superando errori e cancellature perciò irripetibili, per arrivare a un’immagine che non sia solo vera, ma vera in sé stessa. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Nel caso degli artisti la voce vale quanto i loro occhi.

January 24, 2022