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Enigmi dello Zodiaco

Silvia Tomasi

Simboli astronomici si scoprono negli affreschi di 500 e 600. Con qualche mistero sullo zodiaco per noi contemporanei

“Il grande mito ufficiale della Galassia è la trasgressione di Fetonte e la conseguente ustione del cielo durante la sua folle corsa”: così Giorgio de Santillana nel suo dottissimo Mulino di Amleto – Saggio sul Mito e sulla struttura del tempo spiega come la folle corsa sul carro del Sole del giovane Fetonte causi la nascita della Via Lattea. Per mettersi alla ricerca degli enigmi dello zodiaco bisogna fare un salto indietro nel tempo. La storia del giovane rampollo di Apollo è stata trattata da Ovidio nelle sue Metamorfosi, ma questi fatti divini hanno referenti arcaici in Omero, Esiodo, nei tragediografi Eschilo ed Euripide, in Nonno di Panopoli e successivamente in Apollonio Rodio e Luciano. Il tema del mito è nello stesso tempo antichissimo e moderno: la voglia di un figlio di essere accettato da un padre a lungo sconosciuto. Da padre ritrovato, il potente Apollo promette di esaudire qualsiasi desiderio del figlio per provargli che entrambi condividono lo stesso divino DNA. Il fanciullo soffre nei confronti del padre di quella che freudianamente si potrebbe definire una “invidia del carro”: guidare almeno una volta la quadriga del sole che Apollo conduce quotidianamente.

Ma l’impresa non gli riuscirà. Ecco che i cavalli si avvicinano alle pericolose costellazioni dello zodiaco: a quelle del Toro, del Leone, che si animano al passaggio del cocchio. Certo sono solo simulacri, forme astrologiche delle costellazioni, ma non per questo meno minacciose; alla vista dello Scorpione che trasuda nero veleno e lo minaccia, Fetonte non controlla più i cavalli. Il risultato è una confusione terribile, non una costellazione rimane al suo posto e la Terra viene arsa, prosciugati i mari. Emergono le catene montuose e per il ribollire del sangue si anneriscono gli Etiopi; Atlante è costretto a puntellarsi sulle ginocchia per sostenere sulle spalle il peso disassato e bruciante del globo. Disperata, la Madre Terra chiama a gran voce Giove che intervenga senza indugio. Il padre degli dei scaglia la sua guizzante saetta contro il fanciullo. È un’esplosione atomica di pezzi: Fetonte riarso precipita avvitato su se stesso, disegnando un’ampia scia di fumo, infine il fiume Po lo accoglie sprigionando nubi di vapori.

Giovanni Antonio da Varese known as Venosino (attributed), fresco, c. 1573-75, Palazzo Farnese, Caprarola, Hall of the globe (detail).
Giovanni Antonio da Varese known as Venosino (attributed), fresco, c. 1573-75, Palazzo Farnese, Caprarola, Hall of the globe (detail).

Zodiaco e cataclismi

Una delle ipotesi interpretative dell’impressionante cataclisma raccontato da Ovidio è che il mito di Fetonte sia in realtà l’allegoria di un qualche tremendo fenomeno fisico: lo schianto di una cometa, o di un meteorite, il cui micidiale impatto ha inclinato perfino l’asse terrestre o ucciso i dinosauri. Questa è una spiegazione del tutto naturalistica, ma a un esame più accurato questa interpretazione si complica. Nella classicità e successivamente nel Medioevo e Rinascimento si presenta una compenetrazione di “dèi-uomini-natura- cosmo” in un intricato sistema d’interrelazioni, è un continuo switch creativo in cui ogni livello, da quello fisico a quello mitico, può confluire e formare nuovi mondi. Forse le mappe del cielo che si ritrovano affrescate a Palazzo Farnese di Caprarola e nella Sala Bologna del Palazzo Vaticano, straordinariamente somiglianti fra di loro e quella a Palazzo Besta a Teglio in Valtellina possono suggerire una risposta a tali quesiti . Alzando lo sguardo alla volta celeste, nella Sala del Mappamondo di Caprarola, si incontra un cielo blu lapislazzuli punteggiato di stelle, popolato da innumerevoli figure che rappresentano lo zodiaco e le sue costellazioni. Ne sono riprodotte ben cinquanta. Controversa risulta la querelle attributiva su chi sia l’autore degli affreschi. Probabilmente furono eseguiti fra il 1571 e 1575 da Giovanni Antonio di Varese detto il Vanosino, ritenuto inoltre creatore dell’affresco astrologico nella Sala Bologna del Vaticano.

Il planisfero celeste è racchiuso da due elementi che non rientrano nell’elenco delle costellazioni nello zodiaco conosciute all’epoca. In alto a sinistra appare Zeus che scaglia il fulmine; in basso a destra c’è Fetonte, che rovina fra le anse dell’Eridano, il nome greco del Po. Ma questa domestica geografia padana, elevata a sciame di stelle, muta lo stesso ordine celeste consolidato. De Santillana propone una affascinante giustificazione di questa trasformazione del Po e del figlio di Apollo nel nuovo assetto orbitale: l’Eridano crea la via fra il mondo abitato del Nord con la dimora australe dei morti. E l’Auriga Fetonte è il trait-d’union, il messaggero con il mondo degli dei. Che dire? Il Po e Fetonte sono il peccato originale della sfera celeste, come Adamo ed Eva di quello terrestre: da loro nasce il mondo nuovo.

Fetonte è donna

È un luogo comune pensare a Fetonte come a un impudente, eroico, giovane maschio per quella sua impresa cosmica, titanicamente rovinosa. Ma non è (solo) così: nell’iconografia celeste più antica Fetonte cambia sesso e appare in sembianze femminili. Nella dimora rinascimentale dell’aristocratica famiglia Besta a Teglio, in Valtellina, in un ciclo di affreschi probabilmente degli anni quaranta del Cinquecento, l’anonimo artista riprende una suggestione già presente nel Astronomicum Caesareum di Petrus Apianus ci presenta infatti fra le costellazioni celesti la figura di Fetonte che nuota nelle acque del fiume Eridano completamente nudo, in sembianze inequivocabilmente muliebri.

The Zodiac in Astronomicum Caesareum by Petrus Apianus.
Working Title/Artist: Astronomicum Caesareum Department: Drawings & Prints Culture/Period/Location: HB/TOA Date Code: Working Date: 1540 photography by mma, Digital File DT5529.tif retouched by film and media (jnc) 1_20_10

Anche nelle due edizioni veneziane del 1482 e 1485 dell’Astronomicon di Igino, Fetonte è una fanciulla nuda, sdraiata in acqua. C’ è leggerezza in questa “Fetontessa” dell’Astronomicon. Nessuna memoria della caduta scuote il/la giovane, che se ne sta mollemente sdraiato/a a galleggiare sui flutti. Il cenno così naturale e flemmatico del piede che batte nell’acqua, il braccio appoggiato alla testa, i glutei larghi, sostenuti dal morbido materasso marino, sembrano ravvisare la posa dell’Ermafrodito, la scultura romana del II secolo a.C. ispirata a modelli ellenistici, ritrovata solo all’inizio del XVII secolo a Roma presso le terme di Caracalla.

Page with Centaur in Hyginus, Astronomicon.

Ma prima che proprio in quel secolo la figura della costellazione di Eridano/Fetonte scompaia definitivamente dal cielo nei nuovi atlanti e nelle relative mappe astrali, c’è un’altra importante epifania del mito celeste del Po, che rampolla nell’officina ferrarese maturata attorno alla corte estense. Si tratta del ciclo astrologico di Palazzo Schifanoia voluto dal duca Borso, al quale Aby Warburg dedicò uno dei suoi studi capitali.

Palazzo Besta
Anonymous, Palazzo Besta, Hall of Creation Boreal Sky, fresco, c. 1540, Teglio Valtellina

Zodiaco e simboli nascosti

Warburg inizia i suoi studi sullo zodiaco, sugli dèi e i demoni astrali nei primi anni del Novecento. Intende dimostrare il permanere sotto i bizzarri abbigliamenti medievali delle antiche divinità olimpiche, assoggettate per necessità al servizio dell’astrologia: un travestimento di sopravvivenza all’imperante cristianesimo che si batte contro gli “iddii falsi e bugiardi”. Quando Warburg entra a Palazzo Schifanoia a Ferrara, nella Sala dei Mesi, dove dal 1840 erano stati ritrovati sotto l’intonaco 7 dei 12 mesi, individua le superstiti divinità olimpiche sotto la crisalide del travestimento d’epoca , avvolte nelle regioni semioscure delle superstizioni astrologiche in un’ ambigua alleanza tra logica e magia. I Fasti/mesi e i Decani occupano la fascia superiore e mediana degli affreschi del grande calendario astrologico di Schifanoia, uno dei cicli pittorici più importanti del Quattrocento italiano.

Detail of frescoes in the Hall of the Months, Palazzo Schifanoia, Ferrara, IT

Il progetto dell’opera fu affidato da Borso d’Este all’astrologo e bibliotecario di corte Pellegrino Prisciani. Ad eseguirlo vennero chiamati i pittori della scuola ferrarese: da Ercole de’ Roberti a Francesco del Cossa, forse anche Cosmè Tura. Nel terzo decano, quello del mese di Aprile, campeggia il Vir Niger, un gigante nero con grandi zanne da cinghiale, sul cui braccio si arrotola un enorme serpente alato. Il fondo scuro blu petrolio focalizza l’illuminazione sulla figura, e la costruzione prospettica impeccabile, derivata al Cossa dalla lezione di Piero della Francesca, rende verosimili anche i dettagli più improbabili e visionari. Un cavallo bianco è alle spalle del colosso nero, un cane con faccia da lepre è ai suoi piedi. L’Uomo Nero veniva interpretato come allegoria morale della dissolutezza, che trasforma l’uomo in un essere grufolante, attaccato dal serpente del peccato. L’intuizione critica di Warbug toglie questa incrostatura, dimostrando che le figure dei decani sono i mitici dèi in esilio, ripescati nel Medioevo dalla cultura divinatoria di matrice araba, che a sua volta li aveva ripresi dagli Astronomica di Manilio del I secolo, ma risalenti addirittura ad aspetti della religione caldea ed egizia. Guardare questi decani sulle tracce di Warburg è infilarsi in un toboga di decodificazioni: il cavallo bianco è in realtà Pegaso, la lepre/cane è Orione, il serpente attorcigliato è l’ Eridano nella sua versione astrale; e quelle zanne di cinghiale alludono al mito delle Iadi, le stelle della costellazione del Toro che dominano sul mese di aprile. Manilio le chiamò “succulae” cioè scrofe e allora niente di meglio che farle spuntare come zanne dal volto dell’Uomo Nero, il malinconico pianeta scuro di Saturno, un pianeta dalle cattive qualità.

Palazzo Schifanoia,
Palazzo Schifanoia, Hall of the months, Dean of the bull, Homo niger, fresco, Ferrara, 1468-1470

Zodiaco e Uomo Nero

Dal Fetonte femmina all’Homo Niger zannuto, al Sifilitico di Albrecht Dürer, il rapporto fra arte e astrologia, fra i mesteri dello zodiaco rappresentato in figura, è anche un catalogo di freaks. Un uomo avanza con le braccia aperte, è devastato dalle pustole di una malattia che deturpa l’anima e il corpo; i genitali anneriti e scoperti impudicamente mostrano la causa della devastazione. L’uomo procede, le mani aperte quasi ad abbracciare in segno di contagiosa fratellanza chiunque incontri sul suo cammino. Qui nessuno può distogliere ipocritamente lo sguardo, il giovane è “notre semblable, notre frère!”, il nostro prossimo, il nostro fratello. E questo accade se si ignora la tirannia degli astri.

Albrecht Dürer, Syphilitic Man.

Infatti la testa del Sifilitico è sovrastata da una sfera celeste con le costellazioni zodiacali, a monito di quante disgrazie, quante proliferazioni maligne avvengano per una cattiva congiunzione astrale. Quella avvenuta nel 1484 fra Giove e Saturno, secondo la profezia medica del mago e astrologo Ulsenio, ha aperto la strada all’insorgere del morbo gallico. A questa minaccia celeste scritta nello zodiaco rimanda Il sifilitico, un’incisione creata nel 1496 da Albrecht Dürer per il Volantino astrologico del medico Ulsenio contro la sifilide, opera che rientra nella sfera dei pronostici legati alla grande congiunzione del 1484. Magari potremo incolpare una maligna congiunzione astrale per un analogo effetto domino sulle conseguenze pandemiche odierne.

Detail of frescoes in the Hall of the Months, Palazzo Schifanoia, Ferrara, IT.

Riguardando l’immagine di Dürer, l’uomo ulcerato rappresenta una sintesi di elementi tardo-gotici di derivazione germanica, dalla foggia del copricapo con tanto di pennacchio a forma di tritone, all’abbigliamento a rigide pieghe del mercenario lanzichenecco, a cui si assommano gli effetti naturalistici lenticolari della marcatura pustolosa. Dürer rappresenta in questa figura l’influenza demoniaca delle divinità pagane secondo le convenzioni medievali, ma è una traccia residuale, un gene recessivo . Gli antichi dèi risorgeranno senza più necessità di nascondersi nello zodiaco e apparire nefasti. “Il lato olimpico dell’antichità dovette essere strappato prima con la forza al lato demonico tradizionale”, scrive Warburg nell’introduzione a Mnemosyne. “L’epoca ormai, oltre alla riscoperta della parola dell’antichità, esigeva anche nell’aspetto esteriore una perspicuità organica stilisticamente confacente”, e già nella düreriana Melancholia I del 1514 emerge la tradizione antica riletta alla luce dell’esoterismo magico rinascimentale di Marsilio Ficino.

Durer
Albrecht Dürer, “The Celestial Map – Northern Hemisphere”, woodcut, (61.3 x 45.6 cm), 1515, Metropolitan Museum of Art, New York

Zodiaco e Raffaello

“Sotto il cielo di Raffaello”: così si potrebbe presentare l’affresco del Primo Moto databile al 1508 nella Stanza della Segnatura in Vaticano, dove a calamitare l’attenzione c’è la celebre Scuola di Atene. Il Primo Moto è collocato in una posizione defilata, in uno degli angoli della volta, ma è con tutta probabilità la prima scena in assoluto realizzata da Raffaello in Vaticano e quella che tira i fili della “vis immaginativa” con cui il grande Urbinate elabora tutto il ciclo di affreschi. Nel Primo moto campeggia una figura femminile, la Musa dell’astronomia, abbigliata in una tunica verde caldo che viene sbalzata nell’oro del finto mosaico dell’affresco. Urania è il nome della divinità che, chinata, imprime impulso come aristotelico “motore immobile” alla sfera celeste, il cui nucleo è occupato dal globo più scuro della Terra che si spalanca, come pupilla o uovo fecondato, nel cielo delle stelle fisse.

Urania richiama l’attenzione con la mano alzata, occorre fermarsi e seguire lo sguardo della Musa che è fisso in basso sul cielo astrale dove la posizione delle stelle indica un momento preciso: il 31 ottobre del 1503, la data in cui è salito al soglio pontificio Giulio II. L’affresco è la probabile celebrazione implicita del grande committente, il papa che è anche l’ispiratore delle stanze della Segnatura. La rappresentazione da un lato ricalca quell’unione di astronomia e astrologia tipica del Medioevo, grazie alla quale i moti celesti vengono sempre legati a un quadro astrologico e quindi ad un oroscopo; ma qui c’è qualcosa in più: è nato un legame tra la tradizione pagana della mitologia greco-latina e il Cristianesimo, che in una sorta di ideale staffetta viene interpretato e raccontato come il vero prosecutore della cultura classica. Lo stesso pontefice viene esaltato da questo oroscopo, impersonato allegoricamente da muse e dèi, di cui il papa, rappresentante del Dio cristiano in terra, diventa il grande erede.

Raffaello Sanzio, “The First Motion”, fresco (120×105 cm), ca. 1508, Stanza della Segnatura, Vatican Museums

Pace è fatta con il luciferino paganesimo. Identificare la data del Primo Mobile di Raffaello con l’elevazione a papa di Giulio II è un’ipotesi suggestiva, ma non incontrovertibile: il mistero permane. Così come resta un enigma a quale evento si riferisca la data astronomica del 4 luglio 1422, che compare identica in due affreschi “gemelli” sulle volte di due cappelle architettonicamente parallele, entrambe capolavori rinascimentali di Brunelleschi a Firenze, realizzate a vent’anni di distanza circa l’una dall’altra. Si tratta della Cappella Medici nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo costruita fra il 1419 e il 1428, e della Cappella Pazzi a Santa Croce iniziata nel 1442, completata nel ’78. Per gli affreschi stellati nelle volte si parla in entrambi i casi della mano di Giuliano d’Arrigo detto il Pesello, abile ritrattista, disegnatore di animali, ma privo della cultura astronomica necessaria per una tale precisione; la guida segreta doveva essere quella di un esperto, probabilmente l’astronomo e matematico Paolo dal Pozzo Toscanelli. Tra le ipotesi più accreditate è che la data misteriosa sia un omaggio per la venuta a Firenze di Renato d’Angiò nel 1442.

Giuliano d’Arrigo aka Pesello, The Sky of July 1442. Cappella Medici nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, Florence.

Altre ipotesi: la riunificazione delle Chiese d’Occidente e d’Oriente, oppure una nuova crociata. Ma non è escluso un riferimento alla “via della seta”, visto che la volta celeste rappresentata non appartiene al cielo sopra Firenze, ma alla città di Shanhaiguan in Cina, dove la Grande Muraglia arriva all’oceano. Sarebbe un approdo esotico che non contrasta con quell’idea di migrazione delle immagini, non solo geografica ma anche tra periodi storici diversi, che fa riscoprire tramiti imprevisti tra la cultura iconologica del Rinascimento e quella dei cosiddetti “secoli bui”, attraverso una progressiva liberazione delle simbologie classiche dalle incrostazioni interpretative del Medioevo, anche per lo zodiaco. Perché, come scrive Ioan Petru Culianu in Eros e magia nel Rinascimento, “un’epoca culturale non è definita dal contenuto delle idee che essa veicola, bensì dal filtro interpretativo che propone”.

Bibliografia

  • M. Battistini, “Astrologia, Magia, Alchimia”, Electa, Milano 2005
  • I. Couliano, “Eros e Magia nel Rinascimento”, Bollati Boringhieri, Torino , 2020
  • E. H. Gombrich, “Immagini simboliche. Studi sull’arte del Rinascimento”, Electa, Milano 2002
  • A. Warburg, “La rinascita del Paganesimo Antico”, La Nuova Italia, Firenze 1966
  • S.Zuffi, “Il Quattrocento, Electa”, Milano 2004

March 29, 2021