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Ogni numero vince: iperpositività nell’opera di Elif Saydam

Miriam Bettin

I riferimenti di Elif Saydam sono letterali ma sovrastimolanti. Il sovraccarico di informazione fa girare la testa e affatica

Quando la vita ti dà limoni, fai limonate. Stampato su tazze, calendari o carta da parati, il mantra sociale di oggi ci ricorda che il tuo successo dipende da quel che fai con ciò che hai a disposizione. Ma ce la puoi fare! Sì, possiamo. Partendo dal presupposto che la ricerca della felicità è l’obiettivo più alto della vita. In The Burnout Society Byung Chul Han descrive l’esaurimento che deriva dall’essere positivi a tutti i costi. L’eccesso di positività nella società della realizzazione suggerisce che tutto è possibile; e alla fine conduce alla dittatura dell’auto-sfruttamento. Lavorare troppo pur non lavorando abbastanza.

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Elif Saydam, Making lemonade, 2021, 23k gold, inkjet transfer and oil on canvas 59×41.5 cm, 231⁄4×161⁄3 in. Courtesy of the artist and Tanya Leighton, Berlin.
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Detail of Elif Saydam, The Producer I, Farfalle pasta, 24 k gold, copper, orange slices, beads, sequins, embroidery, eyelets, inkjet transfers and oil on denim; steel frames 250 x 170 cm, 2021. Courtesy of the artist and Kunstverein Harburger Bahnhof.

Nelle opere di Elif Saydam le stelle della fortuna ci sorridono ovunque, ma si tratta di un sorriso un po’ squilibrato. I suoi bulbi oculari arrossati rivelano esaurimento e sballo. Si possono trovare sui dipinti, installazioni e tappeti accanto a frutta, fiori, motivi ottomani, e altri elementi decorativi tratti dalla cultura di massa per sfidare le categorie del gusto. Non senza umorismo, ma con un serio interesse nel mettere in discussione fino a che punto il kitsch abbia avuto una giustificazione nell’arte dalla separazione tra cultura bassa e cultura alta, Elif Saydam usa elementi decorativi con esagerata abbondanza. Con questa opulenza l’artista si colloca nell’area del camp e del queer:

La bellezza camp è una bellezza salvata dalla sua ideologia idealista. È una bellezza la cui dignità nasce dal suo rifiuto costitutivo di tutti i tentativi di normalizzarla agli standard idealisti. Qualsiasi idea di bellezza concepita senza questo rifiuto, al contrario, sarebbe contaminata dalla miseria dello sfruttamento capitalista, dalla violenza della sovranità idealista o dal fascismo (o da tutte queste cose insieme). [1]

Elif Saydam, I, pathogen, 2019, Courtesy the artist and Franz Kaka, Toronto.

E ancora, come Juliane Rebentisch nel suo saggio sul camp materialism: anche per Jack Smith, pioniere del camp, la bellezza “non è proiettata nel regno oltre il feticcio della merce. Piuttosto, la bellezza si trova, per così dire, nella decrepitezza del feticcio.” [2]

16th century Ottoman miniature, Anonymous, Courtesy of the artist.

I riferimenti di Elif Saydam sono letterali, ma sovrastimolanti. Il sovraccarico di informazioni a volte fa girar la testa – e affatica. Come l’incessante positivismo della pubblicità. Quanto è troppo? L’iperdecorazione porta all’iperattività: “L’eccessiva positività si esprime anche come un eccesso di stimoli, informazioni e impulsi. Cambiano radicalmente la struttura e l’economia dell’attenzione. La percezione diventa frammentata e dispersa”. [3] Collocato nell’Harburger Bahnhof, ex sala giochi e sala d’attesa dal nobile lignaggio, l’ultimo spettacolo di Elif Saydam – …schläft sich durch – fa riferimento all’estetica del casinò. Un tappeto stampato (Blue Saloon, 2021) evoca letteralmente il paesaggio sonoro delle macchine da gioco. Si accompagna ai suoi dipinti di piccolo formato con il motivo ricorrente di una miniatura ottomana del XVI secolo, una torre di frutta dorata simile a una ricca cornucopia, che nella mitologia greca significa opulenza e prosperità. “Per molti anni ho indorato le opere alla maniera dei vecchi maestri. È iniziato come una specie di scherzo. Ma c’era qualcosa, in quel gesto, che ancora mi fa effetto”. Così Elif Saydam spiega il suo interesse per lo sfarzo da doratura.

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Installation view of Elif Saydam, …schläft sich durch at Kunstverein Harburger Bahnhof. Courtesy of the artist and Kunstverein Harburger Bahnhof.
“Glücksfall”, Leonie Nagel & Elif Saydam, The Tail, 2020. Courtesy of the artist and The Tail, Brussels.

I suoi grandi quadri scultorei, appesi al soffitto e tesi, ottusamente crocifissi, su griglie di metallo industriale (The Outlier; The Producer; The Drone; The Landlord, sono tutti del 2021) non sembrano meno sacri. Elif Saydam fa uso di abiti usurati che cuce, trapunta, dipinge, tinge e decora. È una pratica che ha portato avanti negli ultimi anni. Le costruzioni metalliche, in combinazione con i vestiti, invocano associazioni al lavoro fisico come l’estrazione mineraria, così come il feticcio delle merci e il feticcio sessuale.

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Elif Saydam, Free market, 23 k gold, inkjet transfer and oil on canvas 30 x 21 cm, 2020. Courtesy of the artist and Kunstverein Harburger Bahnhof.

Glückspilz, Glückslos, Glücksklee, e altri portafortuna contro il malocchio (nazar boncuğu) promettono la via rapida alla felicità e alla sicurezza. Ciò che tutti questi furtunati simboli hanno in comune è un certo tipo di linguaggio comico, spesso ingenuo. L’artista è interessato all’uso dell’estetica dei cartoni animati nei mass media che causa l’infantilizzazione dei consumatori: La carineria come seduzione innocente, ma non per questo meno manipolativa. Appropriandosi e ripetendosi i simboli diventano icone che alla fine offrono il loro valore. Quando giustappone messaggi più espliciti (FCK AFD), magari sbandierati da una finestra di Kreuzberg al pari di altri piuttosto oscuri (i personaggi delle campagne dell’instetticida RAID, per esempio) come in Artists (Gossip) (2020), Elif Saydam lo fa con una tale disinvoltura che pare siano tutti emersi un unico immaginario. Forse è proprio questa – in relazione alla bellezza di Jack Smith – la decrepitezza del feticcio della merce.

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Elif Saydam, Artists (gossip), 2020, 23k gold, inkjet transfer and oil on canvas, 30×21 cm, 113⁄4×81⁄4 in. Courtesy of the artist and Tanya Leighton, Berlin.
Elif Saydam, Mutter Natur, 2019, Courtesy the artist and Franz Kaka, Toronto.

Dopo un anno di pandemia la società è in uno stato di grave affaticamento. Restare positivi, ma risultare negativi, è diventato il nuovo mantra. Anche in tempi di crisi non c’è spazio per l’esaurimento. Piuttosto, la pressione per il rendimento aumenta e le ingiustizie sociali si inaspriscono. Non deludersi; i limoni ci fanno l’occhiolino, le rose flirtano con noi.

Le rose sono rosse, le violette sono blu, lo zucchero è dolce, e lo sei anche tu.


[1] Juliane Rebentisch, Camp Materialism, Cologne/Berlin 2020, p. 16.
[2] Ibid., p. 17.
[3] Byung-Chul Han, The Burnout Society, Stanford 2015, p. 12.

June 15, 2021