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Guariento di Arpo: sciogliere la perfezione

Sofia Silva

Guariento di Arpo si libera dell’eredità di Giotto nella Padova del XIV secolo, con una grazia che resta tra Gotico e Pre-umanesimo

Padova, XIV secolo: patria della perfezione pittorica. “Mater perspectivae picturae,” così veniva apostrofata la città euganea, nelle cui piazze, oggi chiamate del Duomo, dei Signori, delle Erbe e della Frutta, si assembravano capannelli di scienziati e ottici, di operai preposti a costruire impalcati per celebri artisti, di dame amiche delle arti che portavano i bianchi nomi di Fina, Lieta, Giliola. Padova era speciale per la sua posizione di crocevia e per l’armonia tra l’arte e le scienze che i signori della città, i Carraresi, proteggevano strenuamente. Per introdurre la figura di Guariento di Arpo, è utile ricordare che nel corso del secolo a Padova approdarono i grandi filosofi dell’aristotelismo, primo tra tutti Pietro d’Abano, professore all’Università, studioso della medicina islamica, amico di Marco Polo. E poi Lovato Lovati, Albertino Mussato, Marsilio da Padova, Biagio Pelacani; pensatori, comunemente definiti del preumanesimo, che posero le basi per la scienza e la giustizia d’età moderna. E poi Jacopo e Giovanni Dondi dall’Orologio, padre e figlio, i filosofi orologiai e il loro amico, Petrarca… Un occhio incerto che si posi sul Guariento per la prima volta può pensare, vista la finezza teologica quasi aristocratica, oserei dire altezzosa, del pittore, che egli appartenga a tempi più oscuri, ma è utile tenere a mente che i cieli sopra le piazze di Padova negli anni del Guariento erano ben più chiari, più moderni e laici, di quelli dei secoli che verranno.

Guariento di Arpo, Coronation of the Virgin Altarpiece, 1344. Courtesy of Norton Simon Art Foundation.

Nonostante il fermento culturale e anzi proprio a causa di questo, non dev’essere stato per nulla facile diventare Guariento. Egli nacque cinque anni dopo che Giotto e Giovanni Pisano se ne andarono, presumibilmente intorno al 1310. Già operativo a quindici anni, Guariento era un ragazzo con la perfezione negli occhi. Ovunque si voltasse, vedeva i riverberi della compiutezza giottesca. Non si può fare per lui un discorso simile a quello di Giusto de’ Menabuoi o di Altichiero, innanzitutto perché lui non arriva a Padova, ma vi nasce, e poi perché, pur essendo giottesco, per Guariento Giotto è un’influenza data, non un maestro scelto, non c’è la giusta distanza dal pittore di Bondone.

Un mondo è stato sigillato da Giotto nella perfezione plastica, teologica e filosofica degli Scrovegni e del Palazzo della Ragione, eppure nuove parole, pertinenti a un tempo che bussa alla porta, fatto di astrari, veleni guaritivi, racconti dalla Cina, autonomia dello Stato dalla Chiesa (il Defensor Pacis di Marsilio è del 1324), vengono pronunciate per le vie della contrada del Duomo, dove Guariento vive. Che fare? Ecco che a Guariento si pone la domanda fatale che tormenterà ogni artista destinato a vivere un ‘post-‘: che farsene della perfezione quando il mondo cambia? 

Guariento di Arpo, Affreschi con scene delle vite dei Santi Agostino e Filippo apostolo, Eremitani church Padua, ca. 1338

Come un seguace, interpretarla? In reazione, violarla? Nel 1325 Guariento capisce che la perfezione non va fieramente affinata, né scandalosamente tradita, ma sciolta, liberata, lievemente sdrammatizzata. Non sarebbe mai stato Giotto, e non sarebbe mai stato il futuro Mantegna, ma proprio perché non è suo il compito di porre nuovi cardini, tocca qualcosa che alle pietre miliari, impegnate nel raggiungimento della bellezza unitaria e perentoria, è spesso impedito raggiungere, un’altro tipo di bellezza, più gentile, meno importante, e dunque più libera: la grazia. Sono molte le opere in cui Guariento raggiunge la grazia, ma su tutte intendo scrivere di quella che fu la decorazione della cappella della reggia carrarese, ovvero le gerarchie angeliche, oggi conservate presso la Pinacoteca dei Musei Civici agli Eremitani

Prima però, avendo lungamente parlato di Padova, è utile anche menzionare il ruolo di Venezia, per non confondere la grazia e la gentilezza di Guariento con ben diversi, ieratici e violenti, bizantinismi, una polemica storico-artista durata moltissimo tempo ma conclusa negli anni Sessanta da Francesca Flores d’Arcais e così riassunta nella splendida prosa di Sergio Bettini:

Guariento d’Arpo è figura ben padovana, germinata da un humus di cultura pittorica, nella quale i perentori esempi di Giotto avevan lasciato, ai primi del secolo, un’impronta ineliminabile. Il giottismo a Padova è una sorta di dimensione linguistica [“un fatto di struttura linguistica”, aveva precedentemente scritto il Bettini] con la quale si debbono fare i conti: ma diviene anche, col passare dei decenni, il termine d’una serpeggiante, implicita polemica. E Guariento, questo iter lo compie guardando, non agli ori della «provincia» tardobizantina, ma alle effusioni del gotico «borghese» emiliano: dei riminesi […] e anche poi dei bolognesi e modenesi erranti […]. Né andrebbero trascurate le miniature degli scriptoria padovani […]. Infine si direbbe che, in Venezia stessa o a contatto con i Veneziani, abbia interessato a Guariento quel tanto che in essi era di gotico, più di quel che vi si trascinava di bizantino.

Guariento di Arpo, Coronation of the Virgin Altarpiece: Washing of the feet, ca. 1344. Courtesy Norton Simon Art Foundation.

Dunque da un lato si hanno la naturalezza, lo spazio in pittura, le architetture, gli interni, la plasticità di Giotto, la morbidezza e le caratteristiche individuali dei volti da lui dipinti, la realtà che tramite il colore trova corpo sulla superficie piana senza mai abbandonare le finezze metapittoriche; dall’altra un modo cortese che superficialmente sembra in linea con il bizantinismo, perché ornato e prezioso, ma che nei fatti non riverbera dalla ieraticità della Venezia che fu, bensì dal brulichio della borghesia nuova e dalla sua ricerca del bello.

In un articolo pubblicato nel 2011, Monsignor Claudio Bellinati non dubitava nell’attribuire a Guariento una spiritualità francescana unita a una profonda teologia agostiniana. Certo è che nel preferire le schiere angeliche per ornare, intorno al 1350, la cappella carrarese (molto probabilmente il soffitto), Guariento compì una scelta diversa dall’esempio giottesco, che pure seguiva una teologia prettamente agostiniana. A un chilometro e quasi cinquant’anni di distanza, la narrazione della cappella carrarese si concentra sulle gerarchie del potere divino laddove la narrazione degli Scrovegni si svolge intorno alla Salvezza, all’umanità di Cristo, alla redenzione dell’anima, altrimenti detto, alla storia. Il cielo trapunto di stelle di Giotto è il divino che custodisce lo svolgersi della storia. Perché Guariento sceglie gli angeli, figure dell’eterno? É forse il suo un tentativo di abbandonare il tempo, negli anni della Peste Nera? O c’è di più?

Francesca Flores d’Arcais scrive degli angeli di Guariento come di creature “femminili”, “trasumanate”, “compiutamente gotiche”. “Esse sono percorse da una linea che le piega nel tipico «hanchement» gotico e incide profondamente in un panneggio ove anche le ombre sono intrise di colore”. I movimenti degli angeli sono dolci e i colori che ne contraddistinguono la carne e le vesti, stesi su imprimitura di tempera verdaccia, sono chiari e tenui, giottescamente morbidi, lievemente chiaroscurati, in contrasto con i toni più decisi delle ali. 

Dai più alti ai più bassi, ecco gli angeli dipinti a tempera su tavola di pioppo dal Guariento. Cherubini, gli angeli che custodiscono Dio ed Eden e che, insieme ai Serafini, ne hanno diretta intuizione. Sono gli unici che Guariento dipinge privi di corpo umano, hanno sei ali e reggono una ruota che reca la scritta “Plenitudo Scientiae”.

Troni: coloro che traducono, comunicano, mettono in opera l’intelligenza divina. Guariento li raffigura per l’appunto seduti su un trono. Reggono la lancia e il globo e due di loro (su tavola trapezoidale) siedono mirabilmente scomposti, quasi incuriositi o stupiti per qualcosa che succede fuori dalla composizione (sentimenti bizzarri per un angelo della prima sfera angelica!). Dominazioni; dominano, regolano il compito degli angeli inferiori. Sono raffigurati in gruppo, all’interno di una cornice circolare che lascia trapelare una primitiva prospettiva a imbuto. 

Guariento di Arpo
Guariento di Arpo, Principati, ca. 1357

Virtù, gli angeli della fortezza e del creato, di ciò che evolve, come le creature naturali. Operano miracoli. Guariento li rappresenta con un giglio in mano, leggermente piegati verso il creato. In una tavola una Virtù indica un ruscello di montagna, come se fosse responsabile dello scorrere delle acque; in un’altra, la Virtù poggia amorevolmente la mano su un mendicante e uno storpio che sembrano costituire l’esatto prototipo della coppia d’infermi sanati dall’ombra di San Pietro, dipinti da Masaccio nella Cappella Brancacci. Potestà, gli angeli della sapienza e della coscienza. Le Potestà, disarmate, trascinano un diavolo con una corda legata intorno al collo, e lo domano calpestandolo. Ogni singolo cappio raffigurato da Guariento taglia la composizione in diverse angolazioni, formando dinamiche di forza potenti e diverse di tavola in tavola. Guariento dipinge diagonali talmente robuste, da incidere sull’espressione dell’angelo, rendendolo soddisfatto, in tensione fisica, fiero, e in una delle tavole oserei dire sadico. Principati, gli angeli della storia e del tempo, della politica, accompagnano l’uomo verso il suo destino di scoperte. Guariento li raffigura scudati, armati di lancia, muniti di mantello, vestiti come la borghesia padovana del tempo. In altre raffigurazioni i Principati sono rappresentati in gruppo, in schieramento di guerra su una superficie che sembra gassosa, nuvolosa.

Guariento di Arpo, Arcangelo, ca. 1357.

Arcangeli, i messaggeri tra la sfera celeste e quella umana; alcune tradizioni angelologiche li reputano di fondamentale importanza nel Giudizio Universale. Guariento li raffigura nell’atto di pesare le anime; anch’essi reggono una lancia deputata a infilzare un diavoletto. Angeli, i più bassi e vicini all’uomo, sono proni verso una piccola anima che trattengono nelle mani. Uno di loro, su tavola trapezoidale, è inginocchiato e sembra stringere la propria animula come un bambino stringerebbe un uccellino.

Anche se le attribuzioni delle schiere angeliche non sono del tutto concordi tra gli storici (Franca Pellegrini ipotizza per esempio che quelle considerate da Flores d’Arcais come Dominazioni siano in realtà Serafini), emerge una costante: questi angeli non sono fuochi o sfere che seguono moti celesti assoluti, né pietre incastonate nell’immutabilità del tempo, non sono nemmeno un corredo, ma creature ben indaffarate, alle prese con la storia collettiva e individuale nella sfera più bassa, con l’etica e la messa in ordine del creato in quella intermedia, e con l’interpretazione di Dio in quella più alta. “Cherubim interpretatur plenitudo scientiae, Seraphim autem interpretatur ardentes sive incendentes” scrive Tommaso nella Somma Teologica e mai il cherubino che “intende la perfezione della conoscenza” sembra più vicino al motto della città di Padova.

Accendendo la plasticità giottesca con un gotico lavoro di linea, Guariento è tra i più abili pittori del volto femminile del proprio tempo. Alcune figure di donna da lui dipinte sono belle secondo canoni estremamente moderni. Anche nelle schiere angeliche sembra giocare questa carta, e più le gerarchie sono alte più i loro volti rispecchiano il femminino, specialmente in un Trono dal viso morbido e tondeggiante. Al contrario i Principati ritratti in solitario, hanno un henchement talmente accentuato da alcuni dettagli virili – il basso ventre sporgente, le gambe molto corte rispetto al torso – da fare perfettamente il verso al fiero guerriero, fin sbruffone. 

Uomini e donne, dediti agli elementi naturali, alle guerre, all’interpretazione del trascendente, all’impartire principi etici, alla medicazione degli infermi, angeli protagonisti degli eventi, corpi in movimento che esprimono emozioni immanenti… Viene da pensare che questi angeli più che gerarchie siano una società. E se Guariento, oltre a essere più vicino a Giotto che a Venezia, fosse stato vicino a una spiritualità dantesca più che francescana?

Se sotto l’anima preziosa, gotica, si nascondesse in realtà un vero pittore del preumanesimo? Che senza ricorrere agli episodi biblici per parlare della storia, infonde, ancor più laicamente, la storia negli angeli, lo scienziato nella Virtù, il condottiero nel Principato, e poi il giudice, il medico, il filosofo, il poeta nelle diverse gerarchie? É una tesi, la mia, che non può essere validata, ma Guariento si avvicinerebbe ancor di più a Giotto, alla sua dedizione per l’umano, sciogliendo la perfezione del pittore di Bondone con le linee graziose della società cortese e con i preziosismi di una teologia sempre meno dorata, sempre più rosa.

Bibliografia e sitografia

C. Bellinati, Guariento Teologo. Studi e ricerche per una nuova biografia, “Padova e il suo territorio”, XXVI, 151, giugno 2011

F. Flores d’Arcais, Guariento. Tutta la pittura, Venezia 1974

F. Pellegrini, Guariento e i dipinti dell’Accademia Galileiana,in Da Guariento a Giusto de’ Menabuoi. Studi, ricerche e restauri, Treviso 2012

www.academia.edu/11613902/La_concezione_agostiniana_del_programma_teologico_della_Cappella_degli_Scrovegni

February 9, 2022