loading...
CONCEPTUAL FINE ARTS

Sophie Reinhold: non abituarti

Paolo Baggi

La superficialità patinata e feticistica dell’arte di Sophie Reinhold attiva un’agenzia politica costruita su un potente senso di gioia e speranza carnevalesca

Al mio arrivo nello studio di Sophie Reinhold, a nord di Mitte a Berlino, c’era un senso di disposizione burlesca, con figure carnevalesche e comiche che mi guardavano. Una “A” arborescente scolpita nella polvere di marmo e applicata alla juta indicava il suo interesse per una nozione estesa di folclore. Già esposti nel 2021 da Sophie Tappeiner a Vienna, sei grandi dipinti, ognuno con una singola lettera, scandiscono sulle pareti la parola inglese MENACE, minaccia. Attraverso rovine incantate e un ricco fogliame, le immagini hanno esplorato l’effetto di propagazione della fiaba, sussurrando i suoi codici folcloristici condivisi e la sua giurisdizione morale. Nella “A” un personaggio rurale porta sulla schiena un fascio di grano, mentre più sotto certi buffi occhi imbambolati sono astratti da un volto; un espediente grafico per aumentare l’emozione della sorpresa. L’isolamento del personaggio verso il bordo della tela alla base della grande A mi ha fatto pensare a Clippy, la simpatica graffetta di Microsoft Office, che spunta per offrire un aiuto non richiesto. Questa proto-emoticon evidenzia l’intento di articolare la storia della pittura e il peso del suo mito in un linguaggio contemporaneo foriero di inclusioni che assomigliano più a una caccia all’uovo di Pasqua che alle battute acute degli addetti ai lavori.

sophie reinhold
Sophie Reinhold, MENACE, exhibition view, SOPHIE TAPPEINER, 2021. Image: kunst-dokumentation.com
reinhold
Sophie Reinhold, Aporia. Installation View. Fitzpatrick Gallery, Paris. Courtesy of the artist and Fitzpatrick Gallery, Paris. Photo: Romain Darnaud

A is for APORIA (che incornicia un vicolo cieco, come prima e ultima lettera) è il titolo della mostra di Reinhold da Robbie Fitzpatrick (2022), pure scandita da sei dipinti. L’aporia è uno stato di perplessità, un’impasse in cui qualsiasi semplice soluzione è di fatto irraggiungibile. In queste situazioni bloccate la rabbia può essere un facile sollievo. Riecheggia lo stato di frustrazione e di mancanza di alternative che sembra essere la causa della dilagante attrazione verso l’ideologia populista nell’Europa di oggi. La mostra è eterogenea nello stile, come un assemblaggio carnevalesco di figure che fa esplodere l’unità del racconto in un ampio repertorio di personaggi. Prendiamo per esempio Die Allegorie von Amor und Psyche, dove i protagonisti mitologici – gli amanti notturni – si incontrano. La polvere di marmo applicata sul fondo dà un rilievo lucido, facendoli galleggiare su flussi zuccherini, che sembrano indicare (e assaggiare) la fragola e la vaniglia, ricordando le pubblicità dei gelati nelle piscine tedesche. Scene di un dolce abbraccio.

reinhold
Sophie Reinhold, Die Allegorie von Amor und Psyche (L’Allégorie de Cupidon et Psyché), Oil on pigmented marble powder on jute, 138 x 110 cm, 2022. Courtesy of the artist

Alla stregua di un gioco spiritoso il dipinto si avvolge sulla sua statura mitica. Il suo immaginario deve più ai libri per bambini che alla canonica Storia dell’arte di Janson — ossia un’ampia indagine storica la cui prima edizione, pubblicata negli anni Sessanta, non includeva alcune donna artista. Al di fuori di qualsiasi richiamo a una pittura romantica, alla maniera di Poussin, l’iconografia pastorale di Reinhold evoca comunque varie forme di disvelamento. Una qualità scultorea informa tale effetto: prima la juta viene ricoperta da diversi strati di polvere di marmo pigmentata, levigata e scolpita in alcune sue parti, informando il piano dell’immagine proprio come uno scultore elaborerebbe un bassorilievo. Questo gioco richiama l’attenzione sulla stratificazione visiva, materiale ma anche iconologica; è diversità delle immagini di provenienza e accessibilità popolare del loro contesto originario, dalla mitologia greca alle immagini ancora più arcane. Entrambe sembrano suggerire che la profondità è un valore ambiguo.

Sophie Reinhold
Sophie Reinhold, Poli, 2019. Pigmented marble powder on canvas. 140 x 190 cm. Courtesy of the artist

Nel 2020, da Contemporary Fine Arts a Berlino, Sophie Reinhold ha presentato un’altra delle sue mostre dai molti volti. Il corpo di opere mostrava composizioni geometriche riferite alle visual identity delle aziende locali di raccolta dei rifiuti, della polizia e dei trasporti pubblici. Ridotti, ma riconoscibili da chiunque abbia una conoscenza anche minima della città, questi schemi possono essere intesi come una ssortimento di morfemi, ossia la più piccola unità di significato in una determinata lingua. Il gioco linguistico appare chiaramente nel taglio della parola “POLICE” in “POLI”, vale a dire un riferimento alla “Polis” greca, cioè alla comprensione di una società come corpo piuttosto che come organizzazione amministrativa. Il fatto che si parta dalla banale insegna della polizia per richiamare un principio fondante delle società organizzate non è solo un commento sull’abuso di potere della polizia, ma evidenzia anche un passaggio dall’ordinario all’elevato, che in questo caso è costitutivo dell’arte di Sophie Reinhold. Entità astratte derivate, che con semplicità formale e contenuto simbolico (un cerebro dell’infrastruttura pubblica berlinese) individuano un’ampia gamma di questioni legate alla vita collettiva o all’organizzazione delle comunità urbane.

Sophie Reinhold, IO NON SONO, Pigmented marble powder on jute, 150 x 150 cm, 2021. Courtesy of the artist

La gamma apparentemente sovrabbondante di riferimenti crea pot-pourri visivo cancellando la gerarchia del gusto a beneficio di una ricetta di avanzi sublimati. Infatti le personali di Sophie Reinhold spesso assomigliano a mostre collettive. Basti pensare a quella del 2022 da Pio Pico a Los Angeles, intitolata The End of Here and Now. Dipinti arabescati condividono lo spazio con figure carnevalesche e grottesche in scene apparentemente tratte da film hollywoodiani degli anni Cinquanta. Il sentimento specifico della west coast è presente anche in altre opere. Un paesaggio astratto oppure la parte anteriore di un’auto dipinta a guida di pubblicità ricordano Ed Ruscha, mentre una serie di cerchi concentrici blu e rossi evocano un campo di colore, alla maniera di Kenneth Noland, anche se in modo più impacciato e decisamente meno espressivo.

Sophie Reinhold: The Ballad of Lost Hops, exhibition view, Sundogs, Paris, 2019. Courtesy of the artist and Sundogs

Come momento cruciale, la mostra di Reinhold del 2019 da Sundogs a Parigi segna un crescente interesse per il site-specific. L’artista tende a organizzare le sue opere all’interno di un più ampio contesto di ricezione plasmato dalle qualità dello spazio e da specificità di carattere più squisitamente culturale. Un dipinto che presenta formalmente la struttura a griglia della finestra contrapposta gioca sul cliché bohémien di Parigi. Sundogs, un appartamento privato agli ultimi piani dell’edificio, ha beneficiato di una vista tipica dei tetti di zinco e dei piccoli camini di argilla della città). Si pongono relazioni con l’educazione dell’artista, a Berlino Est, durante gli ultimi anni della DDR, dove la capitale francese era fortemente idealizzata. Tale approccio, per certi versi ludico, evidenzia il ricorrente interesse dell’artista nel collocare il discorso espositivo all’interno di strutture sociali, economiche o storiche estese. Il fulcro della mostra conferma questa posizione: quattro dipinti, ognuno dei quali rappresenta una figura impegnata in un lavoro fisico, fungono da allegoria delle quattro stagioni, che tipicamente decorano le facciate degli edifici nei regimi totalitari dell’Europa occidentale e orientale. Davanti a loro, in quello che potrebbe essere stato il salotto dell’appartamento, sono appoggiate delle poltrone bianche e rosa, che assomigliano vagamente a un antico sedile romano. (Come sontuose decorazioni relative ai dipinti, offrono anche un modo per contemplare le forme dei regimi autoritari, non necessariamente in una posizione dolorosa, dato che le sculture sono state ricavate da una vasca da bagno a fette, suggerendo un atto più immaginativo che il comfort dell’acqua calda implica.

La moltiplicazione del “carattere pittorico” di Sophie Reinhold in svartiati eventi espositivi rende obsoleta qualsiasi pretesa di forte individualità stilistica, insistendo piuttosto sulle relazioni costitutive tra diversi media, stili, tendenze e postulati. Questa diversificazione segna il modo in cui la collettività e l’individualità sono intrecciate tra loro, rifiutando una lettura monolitica dell’opera a favore l’apertura tipica della cultura orale e di un’interpretazione più incarnata delle opere.

Durante una residenza a Firenze, in qualità di vincitrice del Premio Villa Romana 2012, Sophie Reinhold ha scoperto Pontormo, artista fiorentino della prima metà del XVI secolo e principale rappresentante del movimento manierista. L’impiego di colori metallici per rappresentare figure che sembrano sempre sul punto di abbandonare il loro status di immagini ha colpito l’artista. La sorprendente semplicità di Pontormo come “manierista realista” (sono parole di Reinhold) è per lei relativa al modo in cui i suoi personaggi sfuggono ai rispettivi piani d’immagine. Non sorprende che Dave Hickey abbia parlato del pittore fiorentino insieme a Tom & Jerry, Paperino, il Road Runner e Wile E. Coyote, sottolineando il fatto che le rappresentazioni possono talvolta superare le aspettative, soprattutto quando entra in gioco la sensualità dell’immagine. [1] L’artificiosità del manierismo può anche aiutarci a cogliere la performatività del piano pittorico di Sophie Reinhold, chiedendo allo spettatore di interrogare ulteriormente i processi tecnici attraverso i quali il dipinto è stato creato. Come si è formata la superficie e da dove provengono quelle figure sfaccettate? Facendo ripercorrere allo spettatore il percorso processuale, l’interesse viene reindirizzato sull’etica della produzione, ricollocando la pittura nel contesto collettivo della sua realizzazione. Il ritorno appare ancora più chiaro se consideriamo il manierismo come una considerazione etica dell’arte, localizzandola in una disposizione, in una sorta di habitus. [2] Riportando lo sguardo sull’intenzione interiorizzata, piuttosto che sulla bellezza idealizzata dall’esterno, il manierismo può aiutarci a cogliere un’attenzione etica nell’opera di Reinhold, che individua l’orizzonte proprio della pittura nel modo in cui emergono immagini e personaggi, o nel saper raccontare storie.

Sophie Reihold
Sophie Reinhold, CAVA NO 150 (still), 34 min, 2012/13. Courtesy of the artist

A Firenze, un altro momento fondamentale per Reinhold è stata la visita alle cave di marmo di Carrara, con le loro monumentali terrazze di pietra scavata. Si è trattato di un confronto con una logica razionalista dell’estrazione unita a un’impressionante sensazione di bellezza e di natura dell’ambiente. Per cinque giorni di fila l’artista ha lucidato parte di un enorme muro. Nella cava ha prodotto un breve filmato, una ripresa statica di se stessa di fronte alla pietra. Lentamente la telecamera arretra il suo zoom a lungo raggio, svelando delicatamente il gigantismo. A quel punto l’artista lascia la sua posizione e torna verso la telecamera, per poi rientrare nell’inquadratura alla fine del filmato, rassicurando in un’ultima inquadratura il nostro senso della scala.

Questa sedimentazione dello spazio si ritrova nei suoi dipinti, scavati come tante trincee in un determinato ambiente. La tela contiene il proprio paesaggio, trasmette il proprio senso di scala per adattarsi meglio a un corpo, trovando un punto di incontro tra lo spettatore e l’opera d’arte. Sophie Reinhold colloca le azioni all’interno di questi giochi di stratificazione, consentendo molti atti di partecipazione. I dipinti sono tanto materiali quanto illusori, tanto rappresentativi quanto astratti, e assumono un effetto che è, nelle sue stesse parole, di “superficialità feticistica”. Detto altrimenti, si tratta di “una vitalità paradossale; il risultato non è solo profondo, ma soprattutto piatto”. [3] Inoltre, c’è una presenza corporea nel suo processo. I primi ritocchi dei dipinti sono di solito eseguiti nello studio, che si trova a Berlino, accanto a Schiefe Zähne, la galleria del suo partner, Hannes Schmidt. Il ritmo delle mostre che cambiano e le discussioni con i tanti ospiti della galleria aprono un contesto critico che informa questo stato iniziale della produzione. In seguito le opere si spostano in un secondo studio, dove viene offerto loro un nuovo punto di vista, lasciando l’effervescenza discorsiva per un ambiente più appartato, dove possono anche cambiare radicalmente.

Sophie Reinhold, APORIA (A), Oil on marble powder on jute, 140 x 125 cm, 2022. Courtesy of the artist

I dipinti di Reinhold articolano un impegno etico che deve tanto al know-how del manierista quanto all’abbandono dissociativo del poeta. Dietro i giochi linguistici e le figure comiche il funzionamento interno delle sue opere le rimanda a un senso di agenzia collettiva. Sono le dimensioni, la massa, la profondità, la superficie scintillante, la diversità, il potere e l’autorità minacciosa che conferiscono loro lo status di veri e propri dipinti. A fronte di un tempo politico breve e di un orizzonte fisso di aspettative, questa concretezza conferisce loro la schiettezza di una celebrazione carnevalesca, una risata prorompente che trafigge l’aporia con speranza e gioia.


[1] Dave Hickey, Pontormo’s Rainbow, in: Dave Hickey, Air Guitar, Essays on Art and Democracy, Art Issues. Press, Los Angeles, 1997

[2] Robert Klein, L’art de la technè, INHA, coll. inédits, Paris, 2017

[3] Tenzing Barshee, The Heartbreaking Pattern of the Present or “A Kind of Post-Corona Impressionism”, in: Sophie Reinhold, Das kann das Leben kosten [exh. cat., 20.05-06.2022 Contemporary Fine Arts, Belin], Contemporary Fine Arts, Berlin, 2020

January 11, 2023