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Alcune celebri domande e i dipinti di Sofia Silva

Kristian Vistrup Madsen

I dipinti di Sofia Silva non vogliono compiacere. A seguire, alcune domande su quel che invece offrono

Sofia Silva basa la sua pittura sulla negazione; intorno a ciò che non apprezza e che quindi rifiuta. Ci mostra cosa resta di un dipinto dopo che la bellezza, l’emozione, la soggettività, la referenzialità, l’espressione, la finzione, l’illusione, l’ideologia sono state recise – che cosa?

Risposta breve: rimanenze. Sono immagini di scarti e mutilazioni che testimoniano il rapporto bellicoso che Silva intrattiene con se stessa, come artista e con la pittura in quanto tale. Si può dire che il collage – incontro tra l’abbondanza e la frammentazione dell’immagine – stia al cuore del modernismo, perché dà forma all’alienazione e alla confusione dell’individuo moderno. Nella pratica di Sofia Silva è l’opera stessa a essere filtrata dal collage. Nessuna società mediata o identità collettiva: è l’impulso iniziale del pittore a essere sezionato, analizzato, in parte scartato, al quale, in qualche modo, viene permesso di riaffiorare.

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Sofia Silva, Sabbia rosa, 2022, oil, acrylic, enamel, coloured pencil and household paint on canvas, 43×30 cm. Photo: Matteo Danesin. Courtesy of the artist.

Come spettatore si vorrebbe che l’artista si abbandonasse alla spontaneità, per creare qualcosa di più piacevole, di più vivo. Allo stesso tempo, il fatto che Silva diriga il suo sforzo, scrupolosamente, verso l’innovazione e la singolarità, e che questa energia inquieta sia applicata con rigore e intensità, contribuisce in qualche modo a sostituire con l’intrigo il piacere solitamente offerto dall’espressione. Cosa vuole Silva da queste immagini? Che cosa possono dare ai loro spettatori?

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Sofia Silva, Chilli Pen, 2022, oil, acrylic, graphite, enamel and collage on canvas, 110×50 cm. Photo: Matteo Danesin. Courtesy of the artist.

In dipinti come Aniseed Pen e Chilli Pen, entrambi del 2022, vediamo tracce delle strutture a griglia di Mondriaan – in Chilli anche la familiare tavolozza di De Stijl – con l’aggiunta di forme sghembe nonché di segni misteriosi e meticolosi. In Aniseed vediamo piccoli triangoli, o frecce, simili a quelli che descrivono i movimenti dei fronti di pressione nelle previsioni del tempo; aggiungono un certo dinamismo alla composizione ma, al pari di ogni altro elemento, costituiscono aggiunte paradossalmente contrarie a sommarsi: si seguono le frecce e non si arriva da nessuna parte. Al contrario, ci si trova a porsi una domanda rispetto a dove si pensasse di andare. Quale sarebbe la destinazione?

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Sofia Silva, Aniseed Pen, 2022, oil, acrylic and enamel on canvas, 100×60 cm. Photo: Matteo Danesin. Courtesy of the artist.

Il modernismo ha seguito una traiettoria verso il nulla, a volte spirituale, altre volte nichilista. Erased De Kooning Drawing (1953), di Robert Rauschenberg, è un’illustrazione perfetta dell’idea di progressione teleologica come atto di un parricidio ciclico che tuttavia reinveste nell’immagine del padre. Del disegno non rimane che un vago contorno, un vuoto gravido della storia della pittura e dei suoi protagonisti. Tutto quel che da allora è stato a questa storia aggiunto dal postmodernismo sarà inteso in quanto stile vuoto, puro. Ciò che è allo stesso tempo speciale e difficile nei dipinti di Sofia Silva è che lei osserva il nulla del modernismo, ma rifiuta di accettare il vuoto del postmodernismo. Oppure, in altre parole: ciò che Silva aggiunge al quadro è materia senza stile; fattore di una certa importanza, ma che cosa?

Gli elementi più promettenti di Chilli Pen sono due gruppi di pennellate arancione pallido, lilla e marrone che ricordano uno studio di nuvole del XIX secolo. Sono quelle che Sofia Silva definisce “piccole finestre di sentimento romantico” – e indubbiamente quanto vicini si è proprio allora a provare qualcosa. Tuttavia, la loro promessa viene presto delusa dalla forma straordinariamente goffa della stella sottostante (una decorazione natalizia per bambini) e dall’aspra frangia dentellata al di sotto di questa. Le finestre devono essere chiuse. “Sono contro l’illusione in pittura – dice l’artista – contro la malinconia. Non mi fido della narrazione, né del mio istinto; e non voglio farlo”.

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Sofia Silva, Primo Mobile #4, 2021, silk thread, oil, acrylic and collage on canvas, 30×43 cm. Photo: Matteo Danesin. Courtesy of the artist.

Con questa attitudine Sofia Silva lavora sulla via del tedesco Michael Krebber, il cui repertorio è fatto di “manovre da fase finale del gioco”, come scrive Jessica Morgan su Artforum: “il peso della sua eredità non lascia che un minimo spazio d’azione”. [1] Osserviamo Silva Silva alle prese con le briciole lasciate da Krebber e ci rendiamo conto di quanto poco sia ancora possibile fare. La sua lumaca, notoriamente ridicola, ossessiona le poco attraenti scale a pioli e le carote spelacchiate che compaiono nelle tele di Sofia Silva, così come la preferenza della pittrice – o probabilmente l’esatto contrario – per i pastelli kitsch.

Ma laddove Krebber può esercitare un certo controllo formale, i “bad paintings” dell’artista rappresentano un indulgere nella malinconia che è ricco di pathos. Si tratta di una sorta di disfattismo virile, certo, ma è anche ciò che rende i suoi dipinti poetici e talvolta persino belli. L’energia di Sofia Silva è diversa perché non è stata sconfitta. Nei suoi dipinti, e attraverso di essi, l’artista cerca risposte a situazioni difficili, krebberiane, con un tale zelo che al fine di trovarle queste risposte è disposta a rinunciare a quasi tutte le abituali ricompense dell’arte. Anche se c’è una sorta di bellezza nel far questo, una bellezza che l’artista dice essere legata “all’astinenza, alla purezza, alla libertà” come soggetti del capitalismo liberale, sappiamo che la libertà è in realtà una trappola e che il suo prezzo è straordinariamente alto. Dobbiamo essere in grado di rispondere alla domanda “a cosa serve la libertà?” proprio come il pittore deve rispondere alla domanda “perché dipingere?”. Allora, perché Silva dipinge; Cosa ci offre in cambio – chiedo per la terza volta – la costosa autonomia e la testarda impersonalità dei suoi quadri?

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Sofia Silva, Self-Portrait Surrounded by Signs, 2022, oil on canvas, 50×50 cm. Photo: Matteo Danesin. Courtesy of the artist.

Potrei aggrapparmi ai suoi occhi tristi in Autoritratto circondata da segni (2022) o caricare di esistenzialismo la piccolezza delle figure che punteggiano il paesaggio in Primo Mobile #4 (2021); ma lei non lo vuole, lo so, perché la scala accanto a loro è troppo sgraziata per permettere alla profondità del mio sentire di sopravvivere. Tuttavia, in questo tira e molla tra il desiderio di bellezza o di riconoscimento e la constatazione della sua impossibilità sorgono alcune celebri domande. Cos’è il brutto? Che cos’è il sentire? Perché chiediamo agli oggetti di ricompensarci per la nostra attenzione e perché pensiamo di meritare una ricompensa? È questo disorientamento, comincio a capire, quel che otteniamo. Prendere o lasciare.


[1] www.artforum.com/print/200508/jessica-morgan-44287

January 26, 2023