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CONCEPTUAL FINE ARTS

Sophie Tappeiner, Vienna (un’intervista)

CFA

Abbiamo parlalo con Sophie Tappeiner della galleria che ha fondato, e di come si è evoluta, nella Vienna contemporanea

Se si escludono grandi capitali come Berlino e Parigi, in Europa Vienna è la città in cui nell’ultimo decennio si sono aperte più gallerie d’avanguardia. Lo scorso anno a Liste e Paris Internationale Vienna è stata senz’altro la città più rappresentata. Sophie Tappeiner [qui il link al sito web della galleria. ndr ] è a tutti gli effetti parte attiva di questa scena. Il programma e la lista degli artisti che rappresenta riflettono le problematiche della una generazione, senza per questo concedere nulla alle categorie del letterale o accademico. Oltretutto, Sophie Tappeiner ben rappresenta il tipo di galleria (non solo viennese) che è attenta alla scena locale quanto a quella internazionale.

Sophie Tappeiner. Image: Nicolas Kern

Come sei arrivata ad aprire una galleria d’arte contemporanea?

Dopo alcuni anni che ho trascorso a Londra sono tornata a Vienna, la mia città natale, nel 2014. All’inizio lavoravo per un project space e pensavo a come poter contribuire allo sviluppo della scena artistica della mia città. A un certo punto sono arrivata alla conclusione che la cosa migliore da fare era aprire una galleria. Maggio 2017. In quel momento a Vienna mancavano giovani gallerie commerciali di qualità; ritenevo che queste fossero necessarie per il tessuto della città, che allora era invece molto vivace in termini di spazi indipendenti, gallerie storiche e istituzioni culturali. Inoltre, le due accademie d’arte di Vienna producevano, e producono tuttora, artisti di grande spessore, che poi avevano bisogno di gallerie adatte a rappresentarli, permettendo a loro di accedere ad altri contesti, o avere visibilità internazionale.

Puoi dirci di più riguardo al project space di cui ti sei occupata prima di aprire la tua galleria?

Si trattava del project space di due collezionisti d’arte e beni antiquari; si trattava di persone eccentriche, profondamente coinvolte in una miriade di forme di produzione artistica. Si passava dalle armature medievali a Vasarely in un batter d’occhio. Per lo spazio in questione l’idea era quella di invitare artisti contemporanei – come Maurizio Nannucci o Kerstin von Gabain per esempio – a pensare mostre in dialogo con la collezione.

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Irina Lotarevich, “Modular Woman”, exhibition view, SOPHIE TAPPEINER, 2023. Photo: Kunst-Dokumentation.com

Perché non continuare con il project space allora?

Per quanto le mostre del project space comportassero interessanti discussioni su come si potessero sviluppare progetti adatti a inserirsi in pratiche artistiche di più ampio spettro, una volta terminata la mostra mi trovavo ogni volta a passare alla mostra successiva. Così a un certo punto mi sono resa conto che, invece, mi interessava stabilire relazioni a lungo termine con gli artisti; trovavo che fosse un peccato raggiungere una conoscenza approfondita del loro lavoro, spesso sviluppando rapporti di una certa intimità, e poi dover passare ad altro. Questo mi convinse che lavorando con gli artisti in modo più continuativo sarei stata più utile per loro.

Qual è il tuo background?

A Londra ho seguito corsi di storia dell’arte e di economia. È stato l’apprendimento della storia delle collezioni passate a influenzare il mio approccio commerciale, a spingermi a cercare di costruire relazioni a lungo termine con i miei clienti, a chiedermi sempre come un’opera singola possa essere contestualizzata in una collezione. Prima di aprire una galleria ho lavorato anche in una casa d’aste e come studio manager di un artista. Queste esperienze mi hanno permesso di osservare il mondo dell’arte, e il mercato, da prospettive differenti.

Sophie Thun, “Merge Layers”, exhibition view, SOPHIE TAPPEINER, 2022. Photo: Kunst-Dokumentation.com

Perché in un mondo che pare orientato al mordi e fuggi scegli di sintonizzarti sulle onde lunghe?

Sebbene io intenda la galleria come un’agenzia al servizio degli artisti che rappresenta, poi sono gli artisti stessi che fanno la galleria. Loro danno alla galleria la sua identità e, man mano che crescono individualmente, la galleria cresce con loro. Per me è importante potermi concentrare sulle pratiche degli artisti mentre si evolvono, ed è fondamentale che tra noi si sviluppi una certa vicinanza, come in una comunità affiatata. È la continuità che rende questo genere di rapporti così fruttuosi e gratificanti. A mio modo di vedere lo stesso vale per i clienti, e tra questi includo anche i curatori: chi segue la narrazione della carriera di un singolo artista, o il programma della galleria più in generale, tenendosi aggiornati sulle mostre e sugli sviluppi di una certa pratica, sono parte integrante della conversazione in corso tra gli artisti e le collezioni in cui le loro opere a un certo punto finiscono per trovare posto. Più conosco un cliente, più posso essere precisa nel consigliarlo, perché capisco meglio le sue prospettive e i suoi gusti.

Come descriveresti il tuo programma?

Desidero favorire un contributo positivo e responsabile ai cambiamenti e ai progressi culturali, sociali e politici che credo possano essere riconosciuti nelle mostre che ospito. Il programma riflette anche il mio amore per la materialità e per il mondo fisico. C’è una forte attenzione al corpo e alla co-costituzione dell’essere e del mondo che ci circonda. Naturalmente, ogni singolo artista influenza l’estetica del programma a modo suo, ma tutti condividono la tendenza alla materialità esplorativa e un forte senso di presenza figurativa.

All’inizio per me era importante che la maggior parte degli artisti del programma fossero austriaci, perché volevo offrire visibilità internazionale alla giovane scena locale. Ora che ci sono più gallerie giovani a Vienna e in altre città austriache, questa ha in effetti smesso di essere una priorità.

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Anna Schachinger, “Aneinander”, exhibition view, SOPHIE TAPPEINER, 2022. Image: Peter Mochi

Come scegli gli artisti con cui lavorare?

È una scelta reciproca. Visione e sogni devono essere allineati. Si deve provare a lavorare su progetti condivisi, capire se si può costruire la fiducia necessaria, sia in termini etici che personali. Ma poi ogni artista ha una sua personalità, una propria pratica, e ogni volta si trova in un momento specifico della sua carriera. La collaborazione con ogni artista si basa su requisiti individuali. Cerco anche di promuovere una comunità permeabile intorno alla galleria, che favorisca intuizioni e prospettive.

Come pensi la galleria in termini architettonici?

Da quando ho iniziato la galleria è sempre stata nello stesso spazio. Sono in centro città, vicino ad altre gallerie. Per me è importante essere raggiungibile anche da chi viene in città per brevi visite. Lo spazio ha anche una storia come luogo d’arte. Prima che lo prendessi in gestione l’Accademia lo affittava per le lezioni. E anche se non sono superstiziosa, dirò che un tempo sullo stesso terreno c’era un convento e che anche Grita Insam usava questo stesso spazio per esporre!

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Outside view of SOPHIE TAPPEINER gallery. Exhibition: Anna Zemánková, “Pollen”, curated by Lukas Hofmann, SOPHIE TAPPEINER, 2022. Photo: Kunst-Dokumentation.com
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Anna Zemánková, “Pollen”, curated by Lukas Hofmann, exhibition view, SOPHIE TAPPEINER, 2022. Photo: Kunst-Dokumentation.com

Come descriveresti i collezionisti di Vienna?

Sono spesso colpita dall’attenzione con cui alcuni collezionisti locali seguono il programma. Si informano e si ricordano di ciò che faccio. Oggi sempre più persone sono disposte a fare le loro prime incursioni nel collezionismo d’arte contemporanea, o almeno provare a imparare a conoscerla, il che rende gli sviluppi emozionanti e inaspettati. Come si diceva, credo che questo sia stato possibile anche grazie al numero crescente di colleghi che hanno aperto gallerie a Vienna negli ultimi anni.

Tra tutti i modi in cui una galleria può sostenere i propri artisti, qual è quello che preferisci?

Mi piace la versatilità che si deve avere per sviluppare un percorso per i propri artisti. Ogni studio ha le sue esigenze e, naturalmente, ogni artista è un individuo che richiede strategie personalizzate. La produzione di una mostra in un museo comporta una serie di condizioni diverse rispetto a una mostra in una galleria, o a una fiera d’arte; si tratta di trattare con una vasta gamma di soggetti interessati, di aiutare con la produzione, la logistica ecc. Tutti questi aspetti rendono il mio lavoro vario, e questo mi piace molto. Soprattutto nelle discussioni con gli artisti, deve esserci una certa vicinanza con ognuno di loro e con le loro idee, per poi sostenerli nei loro particolari processi di lavoro e di pensiero.

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Jala Wahid, “Newroz”, installation-view, SOPHIE TAPPEINER, 2019. Photo: Kunst-Dokumentation.com

Che rapporto hai con le fiere d’arte?

Pur nutrendo una certa ambivalenza nei confronti delle fiere d’arte, esse sono state fondamentali per lo sviluppo della galleria. Finora la galleria ha partecipato soprattutto a fiere europee. L’anno scorso abbiamo partecipato per la prima volta ad Art Basel Miami Beach e in futuro prenderò sicuramente in considerazione la partecipazione ad altre fiere al di fuori dell’Europa. Ciò che mi interessa di più, tuttavia, sono le idee alternative su come generare visibilità internazionale. Per questo sono molto entusiasta di concetti come Condo o il vostro CFAlive. Sono progetti che richiedono un altro tipo di impegno nei confronti di una città, che pongono l’accento sulla collaborazione, sull’organizzazione di una mostra e sulla creazione di connessioni con la rete locale allo stesso tempo.

March 6, 2023