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Achraf Touloub: quadri dipinti come fossero questioni a sé stanti

William Kherbek

Rompere righe e segni, per dire il contrario di quel che sembra: un’introduzione ai dipinti di Achraf Touloub

“Con Achraf Touloub non si sa mai dove ci si trova”. Ho pensato a lungo che questa potesse essere la frase di apertura dello scritto che dedico alla pratica di Touloub. Mi pare un modo sintetico per trasmettere il disorientamento che si prova quando ci si confronta con le intricate geografie create dall’artista (Casablanca, 1986). Si vede l’opera, la si osserva rapidamente nel suo insieme, se ne registra l’impressione, si va alla ricerca dei dettagli. A uno sguardo più attento le immagini iniziano a significare l’opposto di ciò che significavano prima; o di ciò che sembravano significare. La vicinanza implica attenzione. Quando si reintegrano le parti con il tutto le immagini tornano ai significati precedenti — solo leggermente modificati –, in modo non dissimile a quello in cui questo paragrafo ha funzionato per dopo averlo scritto: era iniziato con una convinzione, poi è diventato qualcos’altro. Nella creazione delle proprie opere Touloub condivide questa stessa sensazione. “Cerco di essere un po’ perso — dice l’artista –, così come la luce che si riflette sul caffè; e poi c’è un suono in strada, da un punto assoluto, questa strana realtà d’incontro. Come posso farla vivere?” [1] La natura di questo “come” è una domanda che mi sforzo di capire ogni volta che vedo i suoi dipinti.

Achraf Touloub
Achraf Touloub, Pandæmonium, 2018, ink and acrylic on paper. 107 x 147, framed 110 x 150 x 4.5 cm (each); framed diptych: 110 x 300 x 4.5 cm. Courtesy the artist and Plan B Cluj, Berlin. Photo: Trevor Good
Achraf Touloub
Achraf Touloub, “Cross”, 2022, oil on canvas, 116 x 88.5 cm. Photo Romain Darnaud. Courtesy the artist and Plan B Cluj, Berlin

Alle opere di Achraf Touloub interessa la presenza. Tuttavia, si tratta di una preoccupazione instabile, non tanto interessata ad annunciare una presenza quanto a sondare l’idea di cosa significhi essere presenti, di cosa la presenza autorizzi e di cosa delimiti. Ho incontrato per la prima volta le opere di Touloub a Berlino, con quelle di Harm van den Dorpel, da Noah Klink. La mostra sottolineava il dialogo tra le opere digitali di van den Dorpel e quelle fisiche di Touloub. Sebbene la dialettica tra digitale e materiale stesse in primo piano, mi sono scoperto più interessato al modo in cui gli artisti stavano trattando le nozioni di progresso e sequenzialità. Mentre nelle opere iterative di van den Dorpel il tempo scorre in avanti, il discorso di Touloub è più complesso e rumoroso, ancora ricorsivo. Il “suono” di queste opere è cacofonico, o forse sarebbe meglio definirlo “perdente”. Non appena un campo di colore stabilisce la chiave tonale (nel molteplici sensi che il termine ‘chiave’ può assumere), le linee all’interno delle regioni iniziano a generare motivi propri, a volte armoniosi, a volte discordanti, spesso distintivi e reattivi.

Achraf Touloub
Achraf Touloub, “Sight scenario II”, 2020, watercolor, graphite and acrylic on paper 138 x 102 cm. Courtesy of the artist and Noah Klink, Berlin
Achraf Touloub
Achraf Touloub, “Étude pour Nocturne”, 2022, watercolor on paper, 29.5 x 40 cm. Photo Trevor Good. Courtesy the artist and Plan B Cluj, Berlin

C’è una dimensione temporale nelle opere di Achraf Touloub che ha portato altri osservatori ipotizzare che egli stia “disegnando il tempo”. Trovo questa formulazione inadeguata, lo confesso, o per lo meno inadeguata a dir più del semplice dato empirico. Tuttavia, potrebbe di nuovo non essere quello che sembra. A questo proposito Touloub aggiunge: “La ricerca del tempo antico è una sfida naturale per gli artisti. La nuova raffinatezza dell’arte consiste nell’essere arcaica. Essere al di fuori delle strutture degli Stati e delle identità nazionali. Delacroix o Matisse lo sentivano quando andavano in Nord Africa. Ogni volta che c’è una rivoluzione nel mondo, bisogna ridefinire la realtà. Oggi non è più solo una pratica europea, ma globale”.

Nella pratica globale che Achraf Touloub descrive, il tempo è tutt’altro che un concetto monolitico. Tra gli elementi più controversi c’è la questione della sua linearità: Il tempo è una linea, un cerchio o una rete di cerchi concentrici? Anche i cerchi non sono linee? Un fisico risponderebbe che è solo una questione di rappresentazione visiva, persino di illusione. Nel tempo a blocchi, un termine tecnico della fisica che si riferisce a tutto il tempo dall’inizio alla fine dell’universo materiale, il tempo è contenuto. La nozione tocca un aspetto del lavoro di Touloub: non senza ironia l’artista nega la linearità del tempo, attraverso il concetto di “lineazione”.

Achraf Touloub
Achraf Touloub, Chorus II, 2018, ink and acrylic on paper, 114 x 97 cm, framed 118 x 101 x 4.5 cm. Courtesy the artist and Plan B Cluj, Berlin. Photo: Trevor Good

Le linee di Achraf Touloub non fingono di essere altro, il che può essere di per sé fonte di confusione. Che cos’è una linea, dopotutto? Non esistono in natura. Tutte le linee sono una sorta di illusione, un’astrazione, ma sono anche il fatto in sé. Touloub dice: “La qualità della linea nell’arte antica europea è stata una scoperta per me. Le belle linee rette dei disegni mi hanno ricordato l’idea stessa di progresso. Gli artisti persiani o quelli giapponesi sviluppavano le linee in modo diverso, come una moltiplicazione di piccole virgole insieme, dando loro una strana brevità. Questo è stato per me un punto di partenza. La linea diventa più di un modo per definire i territori; diventa un modo di pensare, o uno schema.”

[Sulla geometria nell’arte nordafricana, qui un’intervista con l’esperto collezionista Sooud Al Qassemi. NdR].

Una linea, anche se finge di essere solo una linea, è invece un’illusione. Lo status dell’illusione nell’opera di Touloub è un’idea che ritorna continuamente. L’illusione si trova solo all’interno del bordo dell’inquadratura? O l’illusione inizia davvero una volta che ci si sposta al di fuori dell’inquadratura in quello che chiamiamo mondo? Mi viene in mente una scena di 2666 di Roberto Bolano, in cui i personaggi sono ammaliati da un’illusione ottica: la foto di un “piccolo ubriaco” che ride. Se si sfogliano le pagine, l’immagine di una cella sfuma e l’ubriaco sembra essere finito dietro le sbarre. Il narratore si chiede se gli spettatori stiano ridendo perché l’ubriaco non sa di essere in prigione, oppure l’ubriaco ride perché gli spettatori pensano che sia in prigione?

[Per saperne di più sull’arte e le illusioni ottiche, qui il lavoro di Kate Mosher Hall, cliccare qui. N.d.T.]

Achraf Touloub
Achraf Touloub, “Cross”, 2022, oil on canvas, 116 x 88.5 cm. Photo Romain Darnaud. Courtesy the artist and Plan B Cluj, Berlin

Per quanto si parli di linee e segni, il lavoro di Touloub è consapevolmente rappresentativo; non si tratta semplicemente di linee e colori. La sua recente mostra al Plan B di Berlino ne è un esempio. Nel comunicato stampa della mostra si parla di “figure come vettori”. Vettori di cosa, esattamente, mi chiedo. C’è un certo carattere letterale nella descrizione, in tele come Dei Frari e The Path (entrambe del 2022), dove le linee si estendono dalle forme figurative verso l’esterno della composizione. Non sono tanto materializzazioni di specifici stati emotivi o psichici quanto espressioni della permeabilità dei corpi. In queste opere esiste una tensione interna tra la nozione post-quantistica di entanglement di entità composte da corpi o forze e le teorie di Al-Kindi, figura cruciale dell’Illuminismo arabo e autore di un primo trattato di ottica, intitolato “Sui raggi stellari”. Le argomentazioni di Al-Kindi a favore di una relazione proiettiva tra visione e luce sono utili. Nell’opera di Touloub le proiezioni toccano le superfici, ma anche le permeano, e quindi si estendono oltre i vettori, diventando una sorta di punto di connessione. Il quadro per Touloub non è una semplice icona, ma un luogo, un luogo di dialogo. “Un quadro è un punto d’incontro”, mi dice, “al di là del cervello o della mente, possiamo incontrarci lì”.

September 22, 2023