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In viaggio per il Maestro del Crocifisso Corsi

Carlo Prada

Un itinerario che parte dal Maestro del Crocifisso Corsi e porta a un’importante serie di crocifissi giotteschi

Alla volta di Firenze. Nella città gigliata infatti, ha riaperto i battenti Palazzo Davanzati, con le sue rampicanti tubature a vista e i Trionfi petrarcheschi di Giovanni di Ser Giovanni, detto Lo Scheggia, fratello dalla spiccata vena narrativa di Masaccio. E così pure il Museo Horne, che custodisce il Santo Stefano in dalmatica di Giotto, forte e delicato insieme, di un bianco perlaceo a ombre azzurrognole sfumate, capolavoro di calibrata opulenza. Ma soprattutto, all’Accademia è tornato il Maestro del Crocifisso Corsi. Tornato sì, perché il museo che aveva ospitato fino al 2019 una croce dell’artista traslata poi agli Uffizi, ne era rimasto orfano.

maestro del crocifisso corsi

Master of the Corsi Crucifixion, 1310-1315, tempera on board, 308 x 229 cm, Courtesy of MiBACT

Lo scorso 11 settembre, l’annuncio: nella sala dedicata al Trecento è comparso un altro crocifisso dipinto che, guarda caso, è proprio quello che ha dato il nome al pittore! Per alcuni, a onor del vero, la tavola non è una novità. Chi l’anno scorso ha visitato la Biennale di Antiquariato, non potrà non esserne rimasto folgorato presso l’antiquario Fabrizio Moretti. Ed è in quell’occasione che l’incantesimo ha sedotto la direttrice dell’Accademia Cecilie Hollberg, la quale, senza indugi, ha pensato che l’autore dovesse essere “restituito” al museo. Il Crocifisso, già appartenuto a un grande mercante del secolo scorso, Carlo de Carlo, è stato acquistato da Moretti a Milano una quindicina di anni fa. Ma chi è il Maestro? Si tratta di un anonimo fiorentino, individuato nel 1931 da Richard Offner nella raccolta Corsi grazie a questa tavola e definito dallo studioso “un pittore dal talento drammatico” (1). Ma siamo a Firenze, e qualsiasi emozione, anche la più espressiva, soggiace al controllo della ragione. Al bando sono le esasperazioni, contenute dai disciplinati argini dell’intelletto: per dirla con Luciano Bellosi “non si tratta della messa in scena di un dramma ma semmai, della silenziosa contemplazione di un dramma”. Accostato di volta in volta al Maestro di Santa Cecilia e a Buffalmacco (2), la sua attività è con verosimiglianza da collocarsi alla metà del secondo decennio del Trecento (3).

Maestro del Crocifisso Corsi
Master of the Corsi Crucifixion (Firenze 1300-1325 c.), tempera on board, cm 152 x 128, Gallerie dell’Accademia, Firenze

Non è mancato chi, più di recente, ha avvicinato l’artista al Maestro dei Velluti (4); ma ogni tentativo di identificazione è da prendersi con la dovuta cautela e il Nostro, ad oggi, mantiene caparbiamente l’anonimato. Veniamo all’opera, che misura 152 x 128 centimetri ed è quindi più piccola rispetto a quella degli Uffizi, riconosciuta della stessa mano. Utile è un confronto con quest’ultima per ipotizzare la forma della croce che appare mutila delle espansioni laterali e del braccio superiore con cimasa. Ai margini dobbiamo immaginare i dolenti, la Vergine e il San Giovanni Evangelista a mezza figura. Nel 1984, in una raccolta privata, viene individuato il terminale sinistro, quello della madre dolente, scoperta che ha consentito una ricostruzione parziale (5). Rispetto alla Vergine degli Uffizi, questa denota una maggiore fluidità ritmica delle linee di contorno e un’accentuata morbidezza, fattori che sembrerebbero avvalorare la collocazione cronologica del nostro crocifisso di poco successiva all’altro. E’ interessante notare che le mani sono congiunte e che in questo gesto si passa dal repertorio orientale all’influsso, più largo e più libero, delle mosse occidentali. In alto invece, nella cimasa appunto, con ogni probabilità stava il pellicano nell’atto di squarciarsi il petto per nutrire i suoi piccoli. Quello del pellicano mistico è un motivo forse importato a sua volta dall’Oriente e colto dai pittori di croci del Trecento (6): simboleggia l’abnegazione di Dio che si sacrifica per i suoi figli; lo troviamo in un’altra opera che l’Offner ha attribuito alla bottega del Maestro del Crocifisso Corsi, quella dell’Allen Memorial Art Museum di Oberlin (7).

Workshop of the Master of the Corsi Crucifixion (?), ca. 1330, tempera on panel, 238.8 × 176.5 × 7.5 cm, Allen Memorial Art Museum, Oberlin, USA

Le tre opere fino a qui menzionate, Accademia, Uffizi e Oberlin, condividono un altro aspetto sul fronte della carpenteria che, chi scrive, non ha rilevato nelle fonti consultate. Si tratta dei segmenti diagonali, in alto e in basso (per la croce di Oberlin, solo in basso) che congiungono l’asse trasversale a quella verticale. Un dettaglio questo, forse non dirimente, ma pur sempre comune al gruppo di opere considerate del Maestro che tende a privilegiare questa sagoma (la ritroviamo nel crocifisso n. 1655 di bottega giottesca al Louvre, in quello di Bernardo Daddi all’Accademia, dipinto circa vent’anni dopo e nel crocifisso di Giovanni del Biondo esposto da Robilant + Voena in occasione della Biennale sopracitata).

Giovanni del Biondo, 1360, tempera on panel, 184.5 x 141.5 cm, Private collection, Courtesy of Robilant+Voena

Veniamo al soggetto principale: al centro è il Christus Patiens, con gli occhi chiusi, iconografia che predomina dopo il 1250, e che scalza progressivamente e in modo definitivo quella inverosimile, artificiosa e soprannaturale del Christus Triumphans, vivo, con gli occhi spalancati. Questa è l’apoteosi del Dio Uomo, moribondo, sofferente, disfatto, il Cristo predicato dal Poverello d’Assisi. Alla “curva bizantina”, iniziata da Giunta ed esasperata da Cimabue, il Trecento risponde con un’importante innovazione che il Maestro del Crocifisso Corsi adotta sulla scia di Giotto e di altri artisti coevi: il Cristo appeso assume un atteggiamento più naturale, composto, estetico. Il corpo, dicevamo, non è più teso ad arco ma cade in riposo con i muscoli rilasciati contro l’albero della croce. Il tronco, più greve, appoggia contro il legno; le braccia, tirate giù dal peso, lasciano la posizione orizzontale per accomodarsi a questa nuova posa abbassata del corpo cadente a movimento verticale; le ginocchia sono sporgenti, alzate, ripiegate (8). I piedi sono ora sovrapposti e inchiodati insieme (fino alla fine del Duecento erano separati) (9). Le mani lasciano per sempre la posa bizantina, aperta, piatta, per assumere una gestualità più naturale, rattratta. Il perizoma, di stoffa leggera, trasparente, impreziosito da bordure dorate appartiene al nuovo modello trecentesco: l’annodatura è infatti scomparsa; il lembo ora viene avvolto attorno alla vita del Crocifisso e, nelle sue poche pieghe, modella bene il corpo sottostante. Il Cristo, come d’avorio, è maculato di cenerino nelle ombre più leggere, mentre lo scuro si addensa improvvisamente tornendo il costato fino a farlo staccare sulle geometrie del fondo. Il tappeto variopinto di origine giuntesca, decorato a motivi mediterranei di gusto islamico, è un altro elemento che accomuna non solo i crocifissi del Maestro Corsi, ma anche quelli a lui più vicini nella scansione formale, come i crocifissi di San Felice in Piazza e di Santa Maria Novella. E ancora la croce del Tempio Malatestiano di Rimini e quella di Giotto che una volta sormontava l’iconostasi della cappella padovana, esempio sommo e già pienamente maturato del nuovo tipo, nel quale si accendono a un’inedita vita spirituale il lirismo svanito di Giunta e il realismo di Cimabue.

Giotto, 1303-1305, tempera on panel. 223×164 cm, Courtesy of Musei degli Eremitani, Padova

Da queste croci dipinte tuttavia, il nostro Maestro si scosta per un certo naturalismo aspro e anticlassico (10). La buona condizione degli strati pittorici ha permesso di documentare gli originali dettagli tecnici, come la rara qualità del cinabro velato a lacca rossa in rilievo e il decoro del tabellone in lamina d’argento. La pittura è stesa a velature su un disegno ombreggiato: la tempera è talmente sottile e delicata da far emergere lungo il corpo di Cristo le lamine sottostanti. Il Maestro del Crocifisso Corsi segue i giotteschi solo parzialmente ma li ricorda per quanto riguarda il motivo con elementi a intreccio che profila l’albero della croce. Si tratta di un tema decorativo diffuso a partire dalla prima metà del Duecento che compare già in quella dipinta della galleria degli uffizi (inv. 1890, n. 434) (11) e, pressoché identico, nel crocifisso Oberlin già citato. Questa è un’opera potente e magnetica: impone una compartecipazione visiva, spirituale ed emotiva da parte dell’osservatore, in grado com’è di imprimersi sulla retina più atea e annoiata. Dopo centinaia di anni, il Cristo si protende ancora verso un mondo che non ha preso forma, con la vertigine, la mancanza di appoggi, il volto a tratti tirato di chi è sospeso sopra un abisso. Eppure, in tutta la sua fragilità, appare invulnerabile: un’immensa figura di meraviglia crudele, nella santità di un prodigio e di uno spettacolo non meno sadici che sublimi.


1. Richard Offner, “A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting”, Sec. III, vol. I, New York 1931, pp. 56-57 (Maestro del Crocifisso Corsi)

2. F. Zeri, Un’ipotesi per Buffalmacco, in “Diari di lavoro 1”, Torino 1971, 2a ed., 1983, pp. 3-5

3. M. Boskovits, The Painters of the miniaturist tendency, “Corpus of Florentine Painting”, Sec. III, vol. IX, Firenze 1984, pp. 21-23 e 149; A. Tartuferi, Moretti, Maestro del Crocifisso Corsi, ed. Polistampa, p. 10

4. A. Tartuferi, Moretti, Maestro del Crocifisso Corsi, ed. Polistampa, p. 13

5. Cfr. sopra nota 3

6. E. Sandberg Vavalà, La Croce dipinta italiana, Multigrafica Editrice, Roma, ristampa 1985, p. 89; per il simbolo del pellicano cfr. l’evangelario n. 5 della raccolta Sevadjian a Parigi (Macler, Documents, tav. XXIII, 52)

7. Scheda 5042, Fototeca Zeri, come anonimo fiorentino XIV sec.

8. Michele Bacci e Caterina Bay, Giunta Pisano e la tecnica pittorica del Duecento, Edifir ed, 2020, p. 81

9. E. Sandberg Vavalà, Uffizi Studies The Development of the Florentine School of Painting, Leo S. Oslchki, Firenze, 1948, pag. 3 nota 3

10. Miklos Boskovits e Angelo Tartuferi, Dipinti dal Duecento a Giovanni da Milano, vol. 1, p. 144, Ed. Giunti

11. A. Tartuferi, Il Maestro del Bigallo e la pittura della prima metà del Duecento agli Uffizi”, Firenze 2007, pp. 41-45; per il motivo decorativo, cfr. F. Pasut, Ornamental Painting in Italy (1250-1310), An Illustrated Index in “A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting”, Firenze 2003, p. 81, 83

October 31, 2023