Ann Demeester e il Kunsthaus Museum allo Zurich Art Weekend (un’intervista)
In occasione dello Zurich Art Weekend 2025, abbiamo intervistato Ann Demeester, che ha riportato il Kunstmuseum nel presente.
In occasione dell’edizione 2025 dello Zurich Art Weekend, vale a dire, in Europa, il miglior art weekend in circolazione (insieme a quello di Berlino), abbiamo intervistato la storica dell’arte Ann Demeester, oggi direttrice artistica del Kunsthaus di Zurigo, il maggior museo pubblico della Svizzera. Sin dalle sue origini, infatti, la carta vincente dello ZAW è stata la stretta connessione che gli organizzatori sono stati capaci di creare tra le gallerie private e le istituzioni pubbliche, qualcosa che nel tempo ha permesso alla manifestazione di trovare un interessantissimo punto di equilibrio tra le necessarie ragioni del mercato e quelle altrettanto importanti delle istituzioni culturali, in una logica di sostenibilità che poche piattaforme artistiche oggi possono vantare. Proviamo dunque a capire meglio perchè.

Dottoressa Demeester, come descriverebbe il ruolo che musei come quello che lei dirige stanno svolgendo nella società contemporanea?
Spesso le persone entrano nei musei per immergersi in un mondo parallelo, diverso rispetto a quello in cui vivono normalmente. I musei sono un posto per riflettere, conoscere, osservare, con calma e tranquillità.
Sarebbero una specie di Spa del pensiero quindi?
Lo sono, in un certo senso. Ma poi sono anche un luogo di dibattito, dove trovano spazio di discussione i grandi temi storici, economici e sociali.
Nell’era delle fake news, del negazionismo, dell’inaffidabile Intelligenza Artificiale, verrebbe da dire che i musei sono anche dei luoghi di tutela della verità.
Non credo che i musei contengano una sola verità, o la verità. Ma di certo sono luoghi che sanno offrire molti punti di vista affidabili. Parlerei quindi di molte verità.
Torniamo sulla terra. Tra le fiere d’arte e gli art weekends, chi crede sia meglio equipaggiato per il futuro.
Credo che siano eventi che perseguono obiettivi diversi. Se alle fiere le gallerie non vendono, lo scopo non si può considerare raggiunto. Al contrario, se durante l’art weekend le gallerie non vendono, comunque la città di Zurigo avrà avuto l’occasione di raccontare le energie culturali che la attraversano a un pubblico ampio e internazionale.
E, oltretutto, sarà stata offerta un’importante occasione per promuovere la collaborazione tra gli operatori della comunità artistica locale, dico bene?
Esatto. Le fiere sono scenari di mercato, che perciò tendono a essere competitivi. Lo scopo dello ZAW è, più in generale, quello di nutrire la scena artistica di Zurigo, con risultati che sono in qualche modo più persistenti.
Cosa porta quest’anno il Kunsthaus Zurich allo ZAW?
Abbiamo una grande opera installativa di Monster Chetwynd, una mostra che fa luce sul lavoro di Suzanne Duchamp, sorella del più celebre Marcel. C’è poi una mostra che racconta Roman Signer, e la straordinaria freschezza delle sue opere scultoree, nonostante l’artista abbia ormai 86 anni. Abbiamo infine una grande opera di Jeffrey Gibson, che riempirà l’enorme hall dell’edificio di Chipperfield.
Surrealismo, dadaismo, punk, temi sociali, politica… Insomma, ciò che più caratterizza la cultura artistica di Zurigo, non è così? Cosa rende questa città così straordinaria?
Credo che la peculiarità di Zurigo stia nell’essere una città che può contare su una comunità locale fortemente coesa e radicata, che tuttavia rimane permeabile alle culture di tutto il mondo e alla ricchezza che queste portano.
Possiamo dire che Zurigo è la più mediterranea delle città svizzere?
Credo di sì, se con questo si intende dire che Zurigo è una città di vitalità culturale. Oltretutto, dal Migros, al Rietberg Museum, Zurigo ha istituzioni molto attive, a pochi passi l’una dall’altra. Qui le istituzioni sono a misura d’uomo.
Sotto la sua direzione il Kunsthaus Zurich si è aperto sempre più all’arte contemporanea. Ad oggi potremmo dire che è il più contemporaneo dei musei storici, seguendo una via che sta in una certa misura percorrendo anche il Met. E’ questo il futuro?
Ho sempre usato il termine “Transculturale” per definire quello che rappresenta un’istituzione come il Kunsthaus Zurich, ma forse il termine “Panoramico” è da preferirsi, perché più comprensibile. In questo senso, abbiamo cercato di diventare più contemporanei, per relazionarci meglio con il mondo che ci circonda, anche in termini generazionali. Ma anche di continuare a custodire la tradizione e a mettere in mostra l’arte dal medioevo ad oggi
Intende dire che il museo deve essere in grado di connettere tutte le generazioni con il patrimonio artistico?
Esatto. E non si tratta di connettere le persone solo sulla base delle qualità estetiche degli oggetti. Una natura morta olandese del XVII secolo non dice solo dell’abilità del pittore, ma anche di quel che si mangiava all’epoca, di cosa si commerciava, di quale fosse la dimensione e il potere dell’Impero olandese. Il museo deve essere in grado di attualizzare e contestualizzare questi messaggi. Altrimenti le opere rimangono semplicemente relitti del passato, e la continuità generazionale si perde.

June 11, 2025