loading...

Globali monotonie di Lombardia

Stefano Pirovano

Una mostra dedicata alla monotonia e all’effetto ancora, con opere di Lucas Blalock, Peppi Bottrop, Francesco Gennari, Adam Gordon, Wade Guyton, Wyatt Kahn, Michael Krebber, Renata Lucas, Mathieu Malouf, Nicolas Party, Seth Price, Jonas Wood. Tutte le opere in mostra vengono da collezioni d’arte contemporanea lombarde.

Premessa

La società in cui viviamo ha un grande problema in questo momento. Non è l’unico, ma di certo è il più urgente da risolvere. Lo stiamo fronteggiando, ognuno a suo modo, come cittadini e come individui. Ai più sfortunati il problema ha tolto la vita, o ha portato via persone amate. Molti sono stati colpiti sul proprio lavoro. Tutti hanno dovuto rinunciare a qualcosa di più o meno importante, e le rinunce certamente continueranno anche nei prossimi mesi.

L’economia è un effetto, prima di essere una causa. Anzi, per qualcuno è soprattutto un modo di rappresentare le cose e il loro valore. In questo senso l’economia non è molto diversa dall’arte, che pure non può fare a meno di rappresentare – nemmeno quando dice di non voler rappresentare altro che sé stessa (Guyton). Ecco perché per affrontare certi effetti del problema, insieme a quella degli economisti, è senz’altro utile ascoltare anche la voce degli artisti. Già, ma a quali economisti e a quali artisti dobbiamo rivolgerci?

Tutti stiamo sperimentando quanto sia difficile nella Babele digitale distinguere il vero dal verosimile, la logica dalla verità, la notizia dalla falsa notizia. Gli economisti hanno le università, le istituzioni finanziarie, i ministeri, il Premio Nobel. L’arte funziona diversamente. Ovvio, questa non è la sede per spiegare come – ammesso che sia possibile dare una spiegazione univoca. Sia sufficiente dire che, proprio come l’economia, anche l’arte si basa sul consenso (almeno per ora), ovvero sul comune riconoscimento di un valore. A prescindere dalla loro influenza – e anche su questo concetto, come su quello di verità, oggi molto ci sarebbe da lavorare -, una galleria, un museo, un collezionista o un critico, da soli non sono sufficienti. Lo sono invece nel loro insieme, e oltretutto serve anche che il consenso superi il giudizio più importante, quello del tempo (Guyton, Party, Malouf).

Percorso

All’economia comportamentale, che forse è la più umanistica tra le ‘scuole’ di pensiero dell’economia contemporanea – prendiamo in prestito il concetto di anchoring. Così lo sintetizza Kahneman: it occurs when people consider a particular value for an unknown quantity before estimating that quantity (Thinking fast and slow, 2011). I numeri influenzano le nostre decisioni, a prescindere dalla nostra volontà, dalle informazioni che abbiamo a disposizione, dal contesto di riferimento (Blalock).

Oltretutto, quelli che si rincorrono sugli organi di stampa in questi giorni sono relativi all’informazione antropologicamente al momento per noi più rilevante, ovvero quella a cui il nostro cervello tende a relativizzare tutto il resto. È l’effetto terrorismo. Anche se durante gli attacchi del 2015 a Parigi non era il terrorismo la prima causa di morte, eravamo comunque portati a ritenere che fosse quella la principale minaccia alla nostra incolumità. Da qui non serve fare grandi salti per giungere al primo dei due concetti sui quali ho incardinato il titolo di questa mostra. La vita che dobbiamo fare per contrastare la diffusione dell’epidemia potrebbe sembrare monotona. I discorsi ruotano intorno a un solo argomento. L’interazione con l’ambiente reale è ridotta all’essenziale. Il campo delle nostre possibilità si riduce (Krebber, Price).

Eppure, questa monotonia non è altro che una delle dimensioni possibili, come sanno bene gli artisti. Esprimersi attraverso un solo colore non vuol dire rinunciare a tutti gli altri (Bottrop, Beloufa), ma esplorare le potenzialità di quello che si è scelto di usare. Noi, in teoria, non possiamo scegliere. Ma possiamo imparare a usare la monotonia, capendo come funziona, sperimentando, per scoprire. Oltretutto, la monocromia è per gli artisti solo uno dei tanti modi in cui la monotonia si può declinare. Monotonia può voler dire ritrarre un singolo oggetto (Wood, Price), ripetere il medesimo autoritratto (Gennari, Krebber), ritrarre lo stesso ‘vuoto’ che vediamo nelle strade delle nostre città (Gordon).

Sullo sfondo a questo punto qualcuno potrebbe cominciare a sentire il pensiero musicale di John Cage. Se una frase non ti pare interessante, prova a ripeterla per due ore di fila e vedrai che lo diventa. In fondo, è la stessa cosa che affascina gli sportivi che si innamorano delle lunghe, o delle lunghissime distanze. Non è la corsa in sé, ma il viaggio dentro a sé stessi che affrontare una maratona ti porta a compiere il vero motivo perché tutta l’energia che ci metti alla fine non è e non può essere energia sprecata (Bottrop). E se da qui si vuol provare a chiudere il cerchio, allora diremo che quello a cui la monotonia ci porta è a sapere di più di noi stessi, a guardarci con altri occhi (Lucas, Krebber). Alla fine probabilmente proveremo tutti quella strana sensazione che per qualche istante si prova quando si arriva a casa dopo un lungo viaggio, o dopo aver corso una maratona. Tutto ci appare diverso, come illuminato da una nuova luce. In realtà quella luce è il segnale che quello che abbiamo vissuto ci ha cambiato più di quanto ci aspettassimo.

Bene, ma cosa succede se mentre siamo presi nella monotonia qualcuno si ruba gli altri colori? Cosa succede se mentre abbiamo tempo di esplorare scopriamo, per esempio, che un’agenzia si sta appropriando della nostra monotonia, sorvegliandoci con lo scopo di prevedere, influenzare, determinare i nostri comportamenti, magari approfittandosi della nostra forzata distrazione? Ecco che il grande problema di cui tutti dobbiamo preoccuparci potrebbe non essere solo quello causato dal famigerato virus, a cui invece siamo ancorati. A questo proposito vale senz’altro la pena di leggere Shoshana Zuboff e il suo ‘Capitalismo della sorveglianza: Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri’ (2019).

Nota finale

Le opere che ho incluso in questa mostra sono state gentilmente concesse da collezionisti residenti in Lombardia, che per ragioni che certo comprenderete ringrazio profondamente e preferisco non nominare. Ho scelto loro proprio perché vivono nella regione che, per ora, ha pagato il prezzo più alto all’epidemia. Mi auguro che in questa sede le loro opere ben rappresentino, oltre il talento degli artisti che le hanno create, anche le sensazioni, le speranze e le preoccupazioni che ho esposto sopra. Infine, dato che il software che permette la visita di questa mostra è stato in origine pensato per gallerie commerciali, credo anche vada ribadito che dallo scorso novembre Conceptual Fine Arts è a tutti gli effetti un’Impresa Sociale. La mostra quindi non vuole, non ha e non può avere alcun fine commerciale.

May 3, 2020