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Ana Elisa Egreja: dipingere l’intreccio delle cose

Maria do Carmo M. P. de Pontes

Per vent’anni Ana Elisa Egreja ha dipinto interni. L’abbiamo incontrata, nel mezzo di un cambiamento, per parlare di creatività.

Non è un fatto insolito che gli artisti che condividono lo studio, o che frequentano la stessa scuola, siano interessati dalle stesse cose e che questo poi apra la via alla sovrapposizione delle rispettive estetiche. I pittori paulisti Marina Rheingantz, Rodolpho Parigi e Ana Elisa Egreja alla metà del 2000 hanno tutti frequentato la Fundação Armando Álvares Penteado (FAAP); ma se la loro formazione aveva allora alcuni punti di contatto, poi ognuno di loro ha preso strade diverse. Marina Rheingantz crea composizioni immersive di paesaggi onirici, lievemente figurativi [qui il link al contributo di Marina Rheingantz alla nostra sezione ‘At the show with the artist. Ndr]; Rodolpho Parigi, invece, si avvale di una miriade di tecniche per sviluppare opere che si collocano tra la classicità e l’erotismo [qui il link alla nostra intervista con l’artista. Ndr]. Altrettanto radicata nel terreno delle rappresentazioni realistiche, Ana Elisa Egreja crea invece composizioni cromatiche di ambienti interni, dove le figure umane sono percepite solo attraverso le loro vestigia. Dice Ana Elisa Egreja: “Anche se gli esseri umani in quanto tali sono di fatto assenti dai miei dipinti, sono invece presenti le loro tracce. Da quando ho iniziato a dipingere, diciassette anni fa, queste tracce sono sempre state elementi importanti delle storie che voglio raccontare, con ogni composizione. Funzionano come fossero indizi per collocare le opere nel tempo e nello spazio”. Questi indizi si presentano in varie forme; possono essere manifesti, dipinti, o fotografie. Creano trompe l’oeil, che sono nel tempo diventati la firma stessa dell’artista. La pittura è per lei il milieu naturale dell’inganno.

Ana Elisa Egreja
Ana Elisa Egreja, Bar Flutuante (Floating Bar), 2013. Oil on canvas, 200 x 260 cm. Photo Filipe Berndt.

Per un decennio, ovvero dai tempi in cui era una studentessa fino ai giorni nostri, tutte le composizioni di Ana Elisa Egreja sono state frutto di invenzioni che non avevano alcun legame con il mondo reale. Immaginate una vista del monte Fuji attraverso le finestre colorate di un’edificio di Frank Lloyd-Wright; o ancora, immaginate l’inconfondibile profilo delle finestre della biennale di San Paolo – creato da Oscar Niemeyer – che incorniciano un paesaggio carioca. All’interno di questa giocosa figurazione prosperano uccelli e altri animali, dipinti in pose che sottolineano l’assenza di verosimiglianza. Come fenicotteri rosa in cima a un divano dove un maiale si siede comodamente per mangiare una torta. Oppure, come un tenero orso bianco che sta a letto con un chihuahua; sul retro c’è un muro con piastrelle i cui motivi spaziano tra geometria, esseri umanoidi e altri uccelli. L’illusione tra primo piano e sfondo allude a Matisse. Ma c’è del kitch nella scena, che è poi un cenno alle icone Pop.

Ana Elisa Egreja
Ana Elisa Egreja, Meus 50 anos (My 50 Years), 2010. Oil on canvas, 180 x 240 cm. Private collection. Photo Filipe Berndt.

Intorno al 2013 il processo creativo di Ana Elisa Egreja ha subito un drastico cambiamento. L’artista ha iniziato a sperimentare la messa in scena delle scene che avrebbe poi dipinto. “Quell’anno – dice Ana Elisa Egreja – Cobogó ha pubblicato un libro sui miei lavori più recenti. L’ultimo dipinto incluso nella pubblicazione, una piccola finestra, è il primo di una serie di opere che ho intitolato Natura morta con finestre fantastiche. Quel dipinto è anche il primo creato secondo il nuovo processo di messa in scena del reale”. Ana Elisa Egreja ha dunque abbracciato il metodo tradizionale con tutte le sue sfide. Da qui nasce la necessità di comporre in scala 1:1 e, considerando l’inclinazione dell’artista verso le composizioni più immersive, ecco che tale necessità ha portato a una logistica hollywoodiana. “Avevo già dipinto pavimenti bagnati in precedenza. Ma inondare davvero un pavimento era per me qualcosa di completamente nuovo, e anche piuttosto complicato”. Questo spostamento processuale ha portato ulteriormente in primo piano un interesse per l’architettura che era sempre esistito, ma che in qualche modo era stato lasciato in disparte. Per molti anni i nonni di Ana Elisa Egreja hanno vissuto in una bella casa modernista a San Paolo; quando l’hanno lasciata l’artista ha colto l’occasione per dipingere ogni angolo dell’edificio, creando scenari da sogno. In un’altra, più recente, interpretazione dell’architettura, Ana Elisa Egreja ha dipinto gli interni di una casa abbandonata progettata dalla leggenda modernista brasiliana Rino Levi. Per via di un fallimento la proprietà era stata completamente abbandonata, lasciandole così piena libertà di creare i suoi scenari. “È stato un privilegio, ma anche qualcosa di piuttosto pericoloso – ricorda l’artista. C’era la concreta possibilità che il tetto ci cadesse in testa”.

All’interno di un’opera d’arte l’architettura può anche servire ad offrire indici temporali. Come un narratore, Ana Elisa Egreja si serve dell’architettura. Oltre ai poster e alle foto, la presenza di graffiti e, per di più, di adesivi, aiuta l’osservatore più attento a collocare la composizione nello spazio e nel tempo. “Fora Temer”, lo slogan contro il vicepresidente che ha tramato l’impeachment di Dilma Roussef per succederle, compare in alcune opere; più recente è comparso anche la scritta “Fora Bozo”, che è il soprannome denigratorio dell’attuale presidente brasiliano. Anche il design dei loghi aziendali – su una certa bottiglia di shampoo, per esempio – aiutano a contestualizzare la scena dipinta. Egreja cita un’installazione di Jac Leirner intitolata Adesivos 44 (2004) come punto di partenza.

Ana Elisa Egreja
Ana Elisa Egreja, Janela da Bienal com vista para o Rio (Biennial Window With Rio View), 2014. Oil on canvas,190 x 250 cm. Photo Filipe Berndt.

Ana Elisa Egreja è solita lavorare su quattro o cinque dipinti contemporaneamente – perché “altrimenti ci si annoia”. Dice anche che ha sempre sviluppato il suo grande studio accanto a dipinti in scala ridotta – le sue “opere notturne”, ovvero quelle che dipinge a casa, dopo aver messo a dormire i suoi figli. Tuttavia, per via delle circostanze create dalla pandemia globale, questi piccoli dipinti sono diventati una parte sempre più importanti della sua pratica; durante la pandemia ha sviluppato una serie di opere che ha chiamato “Piatti per il sapone”. La pandemia l’ha anche incoraggiata a fare una sintesi tra i processi di immaginazione e la messa in scena delle scene dipinte, cosa che le ha offerto nuova libertà creativa: “Mi interessa dipingere la trama delle cose. Se si guardano le mie tele dal vivo si capisce che c’è un volume che può essere trasmesso solo vedendole dal vero”. Qualunque sia il processo creativo adottato, per Ana Elisa Egreja l’atto creativo è sempre un’attività minuziosa, un lavoro d’amore. “Ora sto cercando di combinare la precisione della messa in scena ritratta dal vero con la libertà del collage, per creare ogni quadro come fosse una nuova fantastica parola”.

October 21, 2020