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CONCEPTUAL FINE ARTS

Libri antichi, una miniera nascosta

Antonio Carnevale

Nicchia nella nicchia, il mondo dei libri antichi sta vivendo un momento d’oro, come indicano le aste. Ne parliamo con Giancarlo Petrella, docente di storia del libro antico all’Università Federico II di Napoli.

Nel XV secolo, qualcuno sarebbe anche arrivato a rubare o a uccidere pur di appropriarsi di un libro antico. Lo ha raccontato Stephen Jay Greenblatt, il critico letterario fondatore della corrente dello New Historicism. Con le sue opere, lo studioso ha messo a fuoco l’epoca in cui la fame di libri antichi poteva cambiare intere esistenze. Nel suo “The Swerve: How the World Became Modern”, vincitore del premio Pulitzer nel 2012, Greenblatt ha seguito il filo sottile tra la riscoperta di un libro di Lucrezio, la rivoluzione stilistica di Sandro Botticelli e la poetica di William Shakespeare. Anche in diversi altri testi, Greenblatt ha dimostrato come i libri antichi abbiano avuto un ruolo chiave nelle trasformazioni che hanno portato alla nostra contemporaneità. Ma oggi che ruolo hanno i libri antichi?

Brera SALA MARIA TERESA
Braidense National Library of Brera, Maria Teresa room, Milan, Italy –
Courtesy: Pinacoteca di Brera

È innegabile che la cultura antiquaria sia nel nostro tempo un territorio abitato da una nicchia relativamente esigua di estimatori. Per secoli, la politica e l’arte hanno tratto alimento dalle pagine di codici e manoscritti. Il Novecento, invece, con la sua vocazione per le cesure nette, ha spezzato il secolare rapporto tra la cultura del presente e la bibliofilia. Sul mondo dei libri antichi gravano pregiudizi duri a morire. L’idea preconcetta di una polverosità della materia e l’impressione di una scarsa trasparenza del mercato sono deterrenti che allontanano dalla curiosità. Eppure i libri antichi possono ancora incidere sul nostro presente. Le relazioni tra i testi di secoli andati e le attuali espressioni della creatività sono ancora pulsanti. Un libro antico può essere considerato alla stregua di un ipertesto, un collettore di riferimenti culturali con dinamiche simili a quelle delle odierne pagine web. Molti esemplari di incunaboli e cinquecentine hanno uno stretto rapporto con la grafica novecentesca e con il design contemporaneo. E i confini di questo universo possono dilatarsi nel contesto di diverse espressioni visuali del nostro tempo.

Dal punto di vista del mercato, i segnali sono tutt’altro che negativi. Le principali case d’asta hanno sezioni specializzate in libri e manoscritti (Christie’s e Sotheby’s, naturalmente; mentre in Italia sono specializzate Bolaffi, Pandolfini, Gonnelli e Il Ponte, quest’ultima ha aperto una sezione dedicata nel 2017 e ha chiuso il 2019 con quasi un milione di euro di fatturato). Come ha detto a CFA Eugenio Donadoni, specialista di manoscritti del medioevo e del Rinascimento di Christie’s – Londra, “Sin dal 2008, che iniziò in un’epoca d’incertezza economica, si è vista un’enfasi particolare rivolta ai ‘classici’ che superano la prova del tempo, quali le opere di Isaac Newton, Charles Darwin, Adam Smith, William Shakespeare, e nuovi record di prezzi si continuano a stabilire. Ad esempio, una copia completa del ‘First Folio’ di Shakespeare è stata venduta da Christie’s New York in ottobre per circa 10 milioni di dollari; l’ultima copia completa era stata venduta sempre da Christie’s nel 2001 per 6,1 milioni di dollari”.

Trinity College
The Library of Trinity College, Dublin, Ireland

Inoltre, dice lo specialista: “Il mercato dei manoscritti medievali sta ritornando ai livelli dei primi del 2000: nel corso degli ultimi anni da parte di clienti privati e di istituzioni c’è stato un aumento della domanda di capolavori miniati d’alta qualità; si veda per esempio ‘The Almanac Hours’, miniato dal Maestro del Breviario Monypenny, venduto da Christie’s nel luglio 2020 per 1,63 milioni di sterline; così anche di lavori secolari in vernacolo, come ‘The Fall of Princes’ di John Lydgate in inglese medio, venduto da Christie’s nel luglio 2018 per 392,750 sterline, o il ‘Miroir Historial’ di Noël de Fribois in francese, venduto da Christie’s nel 2016 per 470,500 sterline. Condizioni e provenienza” specifica Donadoni “sono più che mai importanti”.

Va detto che per libri e manoscritti, come avviene per le opere d’arte, non è sempre necessario impegnare grandi cifre per aggiudicarsi pezzi significativi. La storica casa d’asta Gonnelli di Firenze proponeva il 3 dicembre scorso libri rari otto-novecenteschi a poche centinaia di euro. Prime edizioni di classici da Kafka a J.D. Salinger, nelle aste di Sotheby’s degli ultimi anni, sono state battute a poche migliaia di dollari; una prima edizione numerata di The Happy Prince di Oscar Wilde, del 1888, per fare un altro esempio, era battuta nel 2017 a Londra sotto le 30 mila sterline. Nella sessione “English Literature, History, Science, Children’s Books and Illustrations” di Sotheby’s London dell’8 dicembre scorso, manoscritti antichi sono stati battuti con base d’asta di poche migliaia di sterline. Lo spettro di possibilità è ampio sia per grandi collezionisti sia per neofiti. Ma come avvicinarsi ai libri antichi o rari per la prima volta? Per mettere qualche passo sicuro in questo territorio, non soltanto in termini di collezionismo, CFA ha incontrato Giancarlo Petrella, studioso di storia del libro, autore di numerose monografie, docente di Storia e conservazione del patrimonio librario all’Università Federico II di Napoli e alla Scuola Superiore Meridionale.

Barockhaus, Görlitz
Scientific library in the Barockhaus, Görlitz, Germany – Credit: thomas _ @hansegang _ hamburg (@themodernleper)

Professor Petrella, perché oggi un libro antico dovrebbe affascinare chi non si fosse mai avvicinato a questo tipo di oggetti?

La prima componente è quella della bellezza del manufatto. Il primo approccio a un libro è quello visivo e tattile, del libro in quanto oggetto. I libri dei quali mi occupo, quelli nati tra il secondo Quattrocento e tutto il Cinquecento, sono frutto del miglior artigianato dell’uomo. Se l’Italia è oggi il Paese della grande manifattura, questo primato deriva soprattutto dal libro antico. Nel Quattrocento, il primo prodotto veramente esportato in tutto il mondo allora conosciuto, ovvero l’Europa, è stato il libro a stampa. Inventato dai tedeschi a metà del XV secolo, il libro a stampa si è presto perfezionato in Italia, e questo Paese, con Venezia e altri centri, è diventato per un secolo e mezzo leader del mercato, con oggetti che venivano prodotti ovviamente a mano, che venivano esportati in tutto il globo, e che erano apprezzati già allora per la loro bellezza esteriore. Ecco perché troviamo il libro italiano nelle biblioteche di collezionisti di tutto il mondo, dai giapponesi che ancora oggi raccolgono incunaboli, fino all’America, che dall’Ottocento in poi ha visto i grandi capitalisti del petrolio e dell’acciaio comprare i libri del Rinascimento per darsi uno status culturale con il quale nobilitare la loro posizione economica. Un esempio per tutti è J. P. Morgan, che ha acquistato alcuni dei più grandi capolavori librari del Cinquecento, conservati oggi alla J. P. Morgan Library di New York: uno dei più bei fortini del collezionismo mondiale, dove una grande percentuale del patrimonio librario è costituita da volumi italiani, dalle prime edizioni di Dante ai libri illustrati del Rinascimento e alle prime edizioni della bottega di Aldo Manuzio. Si tratta di pezzi avvolti da un fascino particolare, al punto da trasformare uomini d’affari come J. P. Morgan, ma anche Paul Getty, e i loro discendenti in famelici collezionisti.

Morgan Library
The Morgan Library & Museum, New York, Usa

In che modo si può apprezzare un libro antico in termini di bellezza?

Provo a spiegarlo con un esempio. Uno dei libri più belli del Rinascimento italiano è il cosiddetto “Poliphilo”, cioè l’“Hypnerotomachia Poliphili”, stampato nel 1499 da Aldo Manuzio. Oggi è un libro abbastanza noto anche a livello nazional popolare, grazie anche all’opera di divulgazione di Umberto Eco, che si soffermava spesso nell’analisi di questo volume. Il Poliphilo è uno dei primi libri interamente illustrati, con immagini che stilisticamente rimandano alla grande pittura e all’incisione veneziana del tardo Quattrocento. Il fascino principale del libro risiede proprio nel rapporto tra testo immagine. La vicenda narrata, un viaggio onirico d’amore fatto dal protagonista, è accompagnata da incisioni ricche di un sincretismo iconografico e simbolico: le immagini mostrano l’influsso della cultura classica, ma anche della Cabala e dei geroglifici. Il Poliphilo è stato uno dei libri che immediatamente ha affascinato i suoi contemporanei. In molti hanno desiderato subito possederlo. Non tanto per leggerlo. Nel suo misto di latino, volgare e maccheronico, il Poliphilo è infatti un libro di una lettura quasi impossibile. I contemporanei lo compravano invece per la sua bellezza estetica. Il bibliofilo Jean Grolier, visconte d’Aiguisy, per esempio, è stato uno dei suoi primi collezionisti noti. Vissuto all’inizio del ‘500, Grolier fa in tempo a conoscere personalmente Manuzio (che muore nel 1515), ed è uno dei suoi primi clienti. Da Manuzio acquista sicuramente tre copie del “Poliphilo”, forse addirittura cinque, soltanto per il piacere di averlo tra le mani. Oggi Grolier è considerato il capostipite del collezionismo di questo libro che non manca in nessuna delle più importanti raccolte librarie al mondo, da quella di Paul Getty a J.P. Morgan a Giannalisa Feltrinelli, Umberto Eco e fino ai grandi collezionisti di oggi. Il Poliphilo, che raggiunge oggi quotazioni di alcune centinaia di migliaia di euro a seconda delle condizioni del volume e dei possessori che ha avuto in passato, è un buon esempio del fascino che emana un libro antico in termini di bellezza, perché di per sé è un oggetto straordinario per quanto riguarda la composizione, la calibratura tra testo e immagine, il carattere raffinatissimo (un carattere tondo inciso appositamente per Aldo Manuzio da Francesco Griffo). Se poi aggiungiamo che ogni singolo esemplare ha avuto una storia particolare, e che magari è passato nelle mani di un grande possessore, ecco che uniamo i due aspetti principali del fascino del libro: la bellezza estetica e il fatto che ogni libro è di per sé un portatore di “altre” storie, che vanno ben al di là del testo stampato.

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Two pages of the Hypnerotomachia Poliphili, published and printed by Aldo Manuzio in 1499. Typography by Francesco Griffo.

In che senso un libro antico è un portatore di altre storie?

Nel corso dei secoli, sulle pagine dei libri antichi si sono venute sedimentando tracce diverse: segni che oggi trasformano lo studio di un singolo esemplare in una sorta di romanzo giallo. Con un intuito poliziesco, è possibile raccogliere molti indizi che vanno poi decifrati e che ci permettono di giungere a una soluzione. Mi spiego meglio: questi libri sono sempre stati “scarabocchiati”; nei vari secoli i diversi lettori che si sono avvicendati come possessori di una copia vi hanno apposto le proprie note, esattamente come facciamo noi oggi sui margini dei libri in edizione economica. E quelle note sono rivelatrici di molti aspetti della cultura di un’epoca. Proprio in questi giorni mi sono imbattuto in un bellissimo Tolomeo a stampa degli anni 70 del ‘400, una delle prime edizioni della geografia tolemaica, accompagnata da una trentina di mappe del mondo allora conosciuto. Questi tipi di edizioni costituiscono i primi atlanti della storia dell’uomo. Ebbene, proprio tra Quattro e Cinquecento, su questo particolare esemplare, un lettore anonimo ha aggiunto le sue postille. Ogni volta che si imbatteva nella lettura di un luogo, annotava informazioni circa i libri in cui ne aveva letto e note sulle proprie personali esperienze di viaggio, integrando il testo con correzioni e impressioni. Attraverso questo libro e le sue postille, dunque, possiamo ricostruire la biblioteca di un geografo erudito di fine 400, sapere quali libri aveva in casa, quali erano a sua disposizione per la consultazione, in che modo l’evoluzione del sapere è progredita nei secoli intrecciandosi al sapere di altri lettori. Questo è uno degli aspetti più affascinanti dei libri antichi, che vanno intesi non soltanto come feticci e manufatti, ma anche come testimoni del tempo.

Prague
Library of the former Jesuit College, Prague, Czech Republic

Il fatto di possedere un libro non si esaurisce nel piacere di avere quell’oggetto bensì nel riattivarne il valore: nel considerare un libro come uno strumento in grado di creare collegamenti con altri mondi, è così?

Direi che la parola adatta per rendere il concetto è “ipertesto”. Il valore di un libro non è soltanto quello comunicativo stampato sulle pagine, ma è anche il contesto storico e di significati che ha intorno a sé. Noi oggi pensiamo che i link delle pagine web siano un’invenzione dell’uomo del XXI secolo, ma non è così. Quel Tolomeo di cui parlavo prima è pieno di “collegamenti ipertestuali”. Ogni volta che il lettore aveva di fronte Tolomeo ma a sua vota aggiungeva nei margini i riferimenti ad altri autori che aveva letto, egli creava riferimenti esterni: tra Toloemo e Livo, Tolomeo e Plinio, Tolomeo e Biondo Flavio o con altre innumerevoli fonti medievali umanistiche. Oggi a noi studiosi spetta il compito di aprire quei link e scoprire quali autori quel lettore del ‘400 stava leggendo in quel momento. Dal punto di vista metodologico, lo studio delle postille, cioè di come i libri venivano annotati, è l’aspetto più innovativo non solo della storia del libro, ma anche della storia della cultura in generale, perché è da lì che si desume il contesto culturale di un’epoca, la circolazione delle idee, i processi attraverso i quali nuove idee si sono formate.

La storia del libro come cardine della storia della cultura?

Non si può fare storia della cultura senza passare attraverso i libri, anche intesi come oggetti. La storia della cultura deriva da come essi sono stati letti (storia della lettura) ma anche da come hanno circolato e da chi sono stati acquistati (storia del collezionismo). A distanza di 400 anni, libri che avevano smesso di svolgere la loro funzione comunicativa, tornano in auge perché collezionisti facoltosi dell’Ottocento e di inizio Novecento impazziscono per loro e iniziano a setacciare il mercato. Così, grazie ai collezionisti, molti libri che giacevano sonnacchiosi nelle biblioteche tornano in vita con una vera e propria moda, dettata dal gusto, dal piacere, dalla riscoperta del Rinascimento italiano, che ancora oggi continua.

Jesuit College, Prague
Library of the former Jesuit College, Prague, Czech Republic

Che ruolo ha la rarità nel fascino di un libro?

Tanto per essere chiari, il paragone è quello con gli animali in via d’estinzione: della tigre bianca della Siberia, per esempio, sappiamo che è rimasto un numero esiguo di esemplari, e questo ci fa giustamente impressione. Ebbene, vale la pena sottolineare che gli esemplari rimasti di alcuni libri sono spesso in numero inferiore rispetto agli esemplari della tigre bianca. Ci sono casi in cui è rimasto un unico esemplare di una particolare edizione, per non parlare delle tantissime edizioni che invece si sono estinte. Noi sappiamo che la prima edizione dell’”Orlando Innamorato” di Boiardo è stata stampata nel 1482-83 a Reggio Emilia o forse a Scandiano. Lo sappiamo dalle fonti storiche, ma in realtà nessuno ha mai visto nemmeno una copia di quell’edizione, che è andata completamente distrutta chissà quando. A volte, viceversa, capita di scoprire sul mercato antiquario o in una biblioteca l’unico esemplare di un’edizione fino a quel momento sconosciuta. Tutto ciò ovviamente incide sul valore storico e di conseguenza su quello monetario dell’esemplare.

Rispetto ai libri antichi, dal suo punto di vista, qual è il grado di conoscenza da parte di un pubblico di cultura media?

Ritengo che la stragrande maggioranza degli italiani non sappia che quasi in ogni cittadina, anche in ogni piccolo borgo, c’è una biblioteca, e che quasi sempre in questa biblioteca c’è un grande o piccolo patrimonio librario antico. Qualche tempo fa, una ricerca su un tipografo del Nord Italia mi ha condotto a Nicosia, in Sicilia, un borgo dove c’è una piccola biblioteca un po’ dimenticata, quasi pirandelliana. Ebbene, nel fondo antico di quella biblioteca ho trovato moltissimi libri del Quattro e Cinquecento, provenienti dai conventi della zona che erano stati soppressi con l’Unità d’Italia. Ciò dimostra che per scoprire preziosi volumi rinascimentali non c’è bisogno di andare a vedere i fondi librari della biblioteca Nazionale di Firenze o della Marciana di Venezia, che hanno dei patrimoni immensi, ma basta entrare nella biblioteca del proprio borgo, del proprio capoluogo o della propria cittadina.

Brera ATRIO
Braidense National Library of Brera, atrium, Milan, Italy – Courtesy: Pinacoteca di Brera

Come scoprire o accedere a questi fondi se non si è specialisti della materia?

Devo dire che qui la carenza è delle scuole, e soprattutto delle biblioteche stesse, che, anche per croniche carenze di personale e di risorse, non organizzano abbastanza mostre. L’unico modo per venire a conoscenza di questi pezzi di patrimonio, infatti, sarebbe frequentare le mostre. Ma le mostre librarie sono qualcosa di rarissimo in Italia, quasi impossibile da vedere. Inoltre, va considerato che il libro sconta di per sé uno svantaggio rispetto a un’opera d’arte: quest’ultima, a differenza del libro, emoziona immediatamente lo spettatore. Anche se privo di nozioni di storia dell’arte, uno spettatore può instaurare subito con l’opera un proprio personale rapporto empatico grazie alla visione. Con il libro ciò non avviene. Il libro in mostra, oltretutto, può essere aperto su una pagina soltanto e non può essere visto nella sua interezza come invece accade per un dipinto, una scultura o un oggetto di design. Dunque il libro presuppone uno sforzo maggiore da parte di chi organizza una mostra: per renderla fruibile, per attuare un’efficace azione didattica.

Questo però accade raramente. Non è consueto trovare apparati divulgativi e didattici per il grande pubblico nelle mostre di libri antichi.

Questo è un dei punti più dolenti, perché va a toccare il tema della “chiusura” nei confronti del pubblico da parte di un certo mondo delle biblioteche, soprattutto a livello amministrativo, ai piani alti, laddove c’è stato anche uno scarso ricambio generazionale. Come docente posso dire di aver contribuito negli ultimi anni a formare molti ipotetici futuri bibliotecari, e so che ci sono persone altamente specializzate che però non riescono a entrare nei ranghi delle biblioteche e dei musei perché in Italia non si fanno concorsi da decenni. È un dramma, perché si tratta di persone molto preparate che meriterebbero di entrare in forma stabile, e non attraverso forme di perenne precariato, tra i ranghi del personale di biblioteche e archivi, al fine di avviare una più matura politica di valorizzazione e promozione del nostro patrimonio librario. In generale, questa situazione fa sì che l’Italia abbia oggi un patrimonio librario ingessato, chiuso, poco valorizzato e poco comunicato all’esterno.

Jesuit College, Prague
Library of the former Jesuit College, Prague, Czech Republic

L’espressione della creatività contemporanea nelle mostre di libri antichi potrebbe essere un volano per mettere insieme diversi tipi di pubblico?

Sì, penso soprattutto al design. Il libro del Rinascimento è infatti il primo oggetto di design inventato dagli italiani. I grandi designer del Novecento, più o meno consciamente, hanno tratto spunto proprio dall’impaginazione del libro del Rinascimento, che deriva da precise regole, come per esempio la Sezione aurea, il rapporto tra i bianchi e i neri, la relazione fra il testo a stampa e l’immagine in bianco. La storia del design italiano ed europeo nasce con i disegnatori di caratteri delle fonderie e delle tipografie del Rinascimento. Tanto per fare un esempio noto a tutti, i Preraffaelliti, artefici del grandissimo movimento culturale, pittorico e filosofico ottocentesco, attingevano a piene mani alla cultura italiana medievale quattrocentesca. Erano talmente imbevuti della cultura libraria italiana, al punto che il loro padre William Morris aveva aperto una casa editrice che stampava libri improntati al canone estetico degli incunaboli italiani del Quattrocento. Anche oltre il Rinascimento, i debiti della contemporaneità sono diversi, se si pensa a Bodoni e all’utilizzo dei suoi caratteri nei giornali italiani degli anni 70, o alla sigla FMR di Franco Maria Ricci, che aveva fatto rivivere e nobilitato questo carattere. Se andiamo poi sulla tipografia di nicchia e d’élite del Novecento e di oggi, ci sono piccole realtà che affondano le loro radici proprio nel XV secolo, penso ad esempio alla grande avventura della tipografia-casa editrice Tallone di Alpignano, alle porte di Torino, che produce libri in tirature limitatissime, e in un anno riesce a malapena a stampare uno o due titoli perché compone a mano, usando anche caratteri del ‘600, con inchiostri originali, carte prodotte ad Amalfi, a Pescia, in Giappone, e realizza prodotti che sono il risultato di una tecnica e di una artigianalità che affonda le radici proprio nella grande manifattura italiana del Rinascimento.

December 19, 2020