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CONCEPTUAL FINE ARTS

Portare luce e liberazione: Dalila Dalléas Bouzar

Ricko Leung

Dalila Dalléas Bouzar parla di colonialismo e patriarcato, provando a trasformare l’arte in uno strumento di liberazione

“Fino ad ora il mio obiettivo è stato quello di porre la luce al centro della mia pratica artistica, in una dimensione spirituale. Vorrei condividere questa luce con gli altri”. Così Dalila Dalléas Bouzar, nata nel 1974 in Algeria ma poi diventata cittadina francese, descrive il proprio lavoro. Ha studiato alle Beaux-Arts de Paris, raccogliendo la sfida della pittura figurativa, che in quel momento era tutt’altro che in voga. Da allora la pittura è diventata il teatro di una costante ricerca sulla femminilità e sui modelli di dominio.

Dalila Dalléas Bouzar
Dalila Dalléas Bouzar, Untitled, Ma demeure series, oil on linen, 60 x 50 cm, 2018. Courtesy of Dalila Dalléas Bouzar – Cécile Fakhoury gallery.

Identità

Quello che riguarda l’identità è un argomento universale e intimo allo stesso tempo. Molti lo esplorano per poi esprimere storie e prospettive personali. Nel caso di Dalila Dalléas Bouzar, il lavoro ruota intorno a un’identità segnata dalla memoria e dalla violenza, che in qualche modo l’hanno sovvertita. Da algerina cresciuta in Francia l’artista di sé dice: “Più di altri mi trovo ad affrontare il problema dell’identità. Mi riconosco nell’idea di Homi Bhabha, che parla di identità dell’interstizio e di terzo spazio”. E aggiunge: “Nella cultura algerina che ho acquisito vivendo ci sono delle discontinuità. Certe cose legate alla memoria e alla tradizione non mi sono state trasmesse dai genitori”. L’artista utilizza questo vuoto per attivare memoria, conoscenza e riflessioni sul presente.

Questo è anche il motivo per cui l’autoritratto è un soggetto centrale nella pratica dell’artista – è interessata alla carne del corpo e alle liberazioni che avvengono attraverso la memoria, come dimostrano le performance Ritual of displacement of bodies e Innerpast, per esempio, o la serie di disegni intitolati Algeria Year 0. Per Dalila Dalléas Bouzar il corpo è dunque strettamente legato all’identità. Dipinge ritratti e autoritratti su una tela color carne, sforzandosi di rendere la pittura simile alla pelle dei soggetti dipinti. “La nozione di corpo come veicolo – dice – mi fa anche pensare al corpo come una superficie della memoria, una superficie capacie di incarnare e trasmettere la memoria” [2].

Dalila Dalléas Bouzar
Dalila Dalléas Bouzar, Inner past, performance, 2016. Courtesy of Dalila Dalléas Bouzar – Cécile Fakhoury gallery.

Dal potere coloniale al patriarcato

Il lavoro di Dalila Dalléas Bouzar sui legami tra colonialismo e patriarcato nasce perciò anche da una riflessione sull’identità. L’identità negata dei colonizzati, ai quali veniva tolto tutto, faceva parte delle armi ideologiche della dominazione. A proposito delle conseguenze del colonialismo sull’identità algerina, l’artista dice: “L’effetto dell’acculturazione guidata dal dominio coloniale è la mancaza, in Algeria, di una vera e propria cultura. L’assenza di memoria culturale è un problema lampante” [3]. Per Dalléas Bouzar il patriarcato è un sistema basato sul dominio e sul materialismo, ovvero sulla la proprietà e l’importanza dell’oggetto. Mentre il colonialismo è un effetto esacerbato del sistema patriarcale. Esso crea un contesto dove la responsabilità è negata, dove la libertà è sospesa, per mantenere l’essere umano in una forma di eterno infantilismo.

Dalila Dalléas Bouzar
Dalila Dalléas Bouzar, Untitled, Ma demeure series, oil on linen, 60 x 50 cm, 2018. Courtesy of Dalila Dalléas Bouzar – Cécile Fakhoury gallery
Dalila Dalléas Bouzar
Dalila Dalléas Bouzar, from the Princesses series, oil on linen canvas, 60×50 cm, 2016. Ph: Photo Gregory Copitet. Courtesy of Dalila Dalléas Bouzar – Cécile Fakhoury gallery.

Il legame tra colonialismo e patriarcato è visibile nei ritratti intitolati Princesse, in cui ognuna delle 12 donne algerine che compongono la serie è dipinta su uno sfondo nero e guarda lo spettatore. Le immagini sono basate sulla campagna fotografica condotta da Marc Garanger durante la Guerra d’Algeria. Dalila Dalléas Bouzar spiega che “le Femmes d’Alger di Delacroix, come le fotografie di Marc Garanger all’origine di questa serie, sollevano la questione di una doppia sottomissione, quella al colonizzatore e quella al patriarcato” [4]. I ritratti delle principesse sembrano sovvertire lo sguardo maschile della pittura classica occidentale, che è una rappresentazione diretta dell’oppressione patriarcale. Secondol’artista il rapporto degli uomini con il mondo è fragile e inseparabile da quello con le donne: “Il sistema di dominazione maschile modifica questa relazione, assegnando alle donne la posizione di soggetto vitalmente dipendente dagli uomini, arrivando a fare il lavaggio del cervello alle donne perché vedano sé stesse solo attraverso il prisma dello sguardo maschile” [5]. La sovversione dello sguardo maschile qui è un modo per ribellarsi alla violenza coloniale e patriarcale allo stesso tempo.

Dalléas Bouzar non affronta questo tema da una prospettiva lontana. Ha invece indagato in prima persona, sin da bambina, i maltrattamenti del corpo femminile di ogni età: “Ho sempre saputo che era sbagliato e che avrebbe dovuto cambiare”. Secondo l’artista il corpo femminile è una questione importante nella società patriarcale – è la porta d’accesso alla riproduzione della specie, ma anche alla società capitalista; è l’archetipo soggetto-oggetto che definisce il sistema di sottomissione e dominazione. La questione è arrivata al centro della sua pratica artistica scortata dalla convinzione che “mettere in discussione lo status delle donne è minare l’intero sistema di dominazione. Per cambiare il paradigma sociale, dobbiamo liberare il corpo femminile”. Questa dichiarazione fa da sfondo alla monumentale opera intitolata Adama (del 2019), un arazzo ricamato con filo d’oro su velluto nero, largo quattro metri e lungo tre, con tre figure a grandezza naturale che rappresentano le tre età della donna (bambina, adulta e anziana). L’opera impiega la stessa tecnica del karakou, un abito tradizionale che le donne algerine indossano ai matrimoni. Dalila Dalléas Bouzar lo interpreta come un simbolo tradizionale della sottomissione delle donne, evidenziando questi temi e facendo luce sulle rappresentazioni del corpo femminile come componente della dominazione patriarcale nei rituali e nelle cerimonie. Adama è un’opera strettamente legata alla posizione e alla visibilità delle donne all’interno della società e al loro rapporto con gli uomini all’interno del patriarcato.

Dalila Dalléas Bouzar
Dalila Dalléas Bouzar, Adama, 2019, Tapisserie brodée (velours, fetla, fil doré, perles d’eau douce, agate jaune, agate rose, turquoise, poudre de paillettes, médaillon en or 18 carats). 300 x 400 cm. Courtesy of Dalila Dalléas Bouzar – Cécile Fakhoury gallery

Liberazione

Di fronte all’oppressione, Dalila Dalléas Bouzar cerca la liberazione. Dice: “Quando parlo di liberazione parlo di liberarsi dai vincoli imposti ai corpi e alle menti. Naturalmente l’eredità che ho ricevuto dalla storia dell’Algeria mi spinge a riflettere su cosa sia stata la colonizzazione e su come abbia esercitato un’oppressione insopportabile sul mio corpo”.

L’approccio di Dalila Dalléas Bouzar al problema dal patriarcato è incardinato sulla solidarietà e sulla creatività intesa come spazio d’espressione all’interno della famiglia e della società. Adama è un esempio di questo atteggiamento: l’artista ha viaggiato in Algeria con l’intento di produrre l’opera avvalendosi delle ricamatrici locali, che all’interno delle rispettive famiglie patriarcali costantemente lottano per dare spazio alla propria creatività. Dalléas Bouzar ha cercato di deviare la tecnica tessile dalla sua funzione tradizionale per stimolare un ulteriore discorso sulle donne, sui loro corpi e sulla loro condizione sociale, trasformando la tecnica stessa in uno strumento di potere finalizzato alla liberazione.

Dalila Dalléas Bouzar
Dalila Dalléas Bouzar, Sorcières #5, 2019, mixed media on canvas, 114 x 146 cm. Courtesy of Dalila Dalléas Bouzar – Cécile Fakhoury gallery.

La serie di dipinti intitolata Sorcières parla invece di liberazione attraverso la figura della strega. Le streghe sono state perseguite in Europa anche perché possedevano un sapere millenario, condizione per la loro indipendenza intellettuale e finanziaria che minacciava il patriarcato dell’epoca. In Sorcières l’artista vuole mostrare “corpi che sono liberi, liberi da ogni vincolo, e che danno accesso alla libertà” [6]. La performance intitolata Rituel de déplacement de corps (2019-2020) è un rituale di spostamento simbolico del corpo. Mangiando un corpo simbolico fatto di marzapane e vestendosi con un abito da sposa, l’artista cerca di fare del suo corpo un luogo nuovo, un luogo di emancipazione. Alla fine del rituale l’artista si dipinge il viso con l’oro, che è il simbolo del potere e della luce. Poi indossa la corona d’oro che sua madre ha ereditato da sua nonna. L’atto di far rivivere la sua discendenza le permette di innescare un potenziale processo riparatore di liberazione trans-generazionale.

Nel complesso, Dalila Dalléas Bouzar è fiduciosa sul futuro dei sistemi sociali. È convinta che se anche la dominazione femminile sugli uomini non dovesse accadere, la fine del patriarcato “sarà sicuramente eccitante e liberatoria per tutti”. Con uno spirito simile pensa che anche il futuro della pittura sia luminoso, poiché la pittura è una parte cruciale dell’umanità: l’espressione di un bisogno profondamente radicato di rappresentazione, immaginazione e connessione con la realtà.

Dalila Dalléas Bouzar
Dalila Dalléas Bouzar, Rituel de déplacement de corps, Performance, 2019-2020, galerie Cécile Fakhoury, Abidjan, Côte d’Ivoire Musée Bargouin, Clermont Ferrand, France.

[1] Innocente, catalogue of Dalila Dalléas Bouzar, Galerie Cécile Fakhoury, 2019-2020, p.37
[2] Ibid., p.36
[3] Ibid., p.38
[4] Ibid., p.42
[5] Ibid., p.87
[6] Ibid., p.47

February 22, 2021