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CONCEPTUAL FINE ARTS

Fabbricanti d’arte, i migliori sei

Piero Bisello

Ecco una lista dei migliori fabbricanti d’arte al mondo, per scoprire che dietro alle opere più ambiziose c’è spesso una tecnica eccezionale

Un paio d’anni fa, dalle colonne del New York Times, Nancy Hass ha posto una di quelle domande che solo i mass media possono permettersi di fare: non sono forse proprio i fabbricanti d’arte le persone più importanti nel mondo dell’arte? I tempi dell’artista tecnicamente esperto erano passati da un pezzo. In quel momento si trattava piuttosto di materializzare una certa visione, e i fabbricanti d’arte erano la condizione necessaria al raggiungimento dello scopo artistico. Oggi la questione è meno semplice. Il deskilling non è più una moda. Anzi, molti artisti nel frattempo hanno ricominciato a prendere il lavoro manuale molto seriamente, a prescindere dalla loro età anagrafica o dalla scala della loro opere.

[Qui e qui i link allo scritto che abbiamo dedicato al crescente interesse degli artisti emergenti per le tecniche tradizionali. Ndr.]

La lista di fabbricanti d’arte che segue ci porta perciò nel cuore di un dibattito. Dal grande al piccolo, spaziando tra materiali, tecniche e competenze, abbiamo scelto i migliori fabbricanti d’arte, in un momento in cui agli artisti piace certamente ancora interpretare il ruolo del regista. La nostra selezione non è dunque conclusiva, né mira a confermare opinioni a riguardo del tema. Ma non ci siamo nemmeno limitati a cogliere le ciliegie dall’albero. Abbiamo invece provato a offrire alcuni spunti di riflessione, anche al mondo dei fabbricatori d’arte, nella prospettiva dell’infinito dualismo tra arte e tecnica.

UAP

UAP è forse il maggiore e il più internazionale fabbricante d’arte sulla scena. L’azienda è stata fondata nel 1993 in Australia dai fratelli Daniel e Matthew Tobin. Entrambi, alla fine degli anni ’80, hanno frequentato una scuola di belle arti specializzata in pittura. Daniel Tobin ci ha raccontato come, più che a scuola, preferiva passare il tempo in fonderia, dove lui e suo fratello imparavano il mestiere e i suoi trucchi. Dopo gli studi, a Birsbane, i due fratelli hanno messo in piedi la loro fonderia, inizialmente producendo per Judy Watson, che a quel tempo stava creando la sua prima opera pubblica (per la città di Sydney). A proposito del suo lavoro di fabbricante d’arte, Daniel Tobin ci ha detto: “Anche se mio fratello produce ancora opere proprie, abbiamo capito abbastanza presto che sarebbe stato meglio assistere gli artisti che fare il loro lavoro”.

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Bronze pour. Photo by Edwina Fox. Courtesy: UAP.

Come dicevamo, oggi UAP è una realtà internazionale. Nel 2010, dopo essere riusciti ad ottenere alcune importanti commissioni per l’International Expo di Shanghai, i fratelli Tobin sul sbarcarti sul mercato asiatico. Ora sono attivi anche a Shenzhen e Singapore, con un ufficio di progettazione e strutture produttive. Di recente UAP ha anche acquisito la fonderia d’arte Polich Tallix di New York. La struttura è attiva dagli anni ’60 e ha prodotto opere di pesi massimi come Roy Lichtenstein, Helen Frankenthaler, Frank Stella, e più recentemente Jeff Koons e Louise Bourgeois. Dice Daniel Tobin a proposito dell’acquisizione: “Dick Polich voleva ritirarsi e non aveva idee riguardo al futuro della sua attività. Siamo intervenuti e lui si è trovato subito a suo agio, permettendoci di prendere il suo posto. Così siamo diventati i custodi di una straordinaria competenza”. L’offerta di UAP include logistica, architettura, consulenza legale. Già, perché i fabbricanti d’arte lavorano con chi “deve mettere l’anima in quel che fa”, come ci ricorda Daniel Tobin in merito agli artisti.

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Kehinde Wiley, Rumors of War © 2019 Kehinde Wiley. Used by permission. Presented by Times Square Arts in partnership with the Virginia Museum of Fine Art and Sean Kelly, New York. Photographer: Kylie Corwin for Kehinde Wiley.

Cirva

Se UAP Company è il maggior fabbricante d’arte della nostra lista, Cirva potrebbe essere il più piccolo. Si tratta di un laboratorio specializzato nella lavorazione del vetro e si trova a Marsiglia, in Francia. Cirva si concentra sugli artisti emergenti. Contrariamente alla maggior parte dei fabbricanti d’arte, il laboratorio è finanziato con denari pubblici. È stato avviato dal governo francese nei primi anni ’80 come risposta al movimento Studio Glass statunitense, e per promuovere la lavorazione del vetro nell’arte e nell’educazione. Cirva è stato inizialmente creato all’interno della scuola d’arte di Aix-en-Provence, vicino alle industrie del vetro già esistenti nel territorio. In seguito è stato spostato a Marsiglia.

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Work in progress at Cirva with Veronika Sedlmair and Brynjar Sigurðarson, 2020, © Studio Brynjar and Veronika.

In qualche caso Cirva produce su commissione, ma principalmente offre strutture per la ricerca e la sperimentazione. Come ci ha detto Stanislas Colodiet, direttore del centro: “L’idea di Cirva è di vedere cosa succede quando un artista che non sa molto della lavorazione del vetro incontra un tecnico che invece sa tutto, ma ha bisogno di andare oltre la sua conoscenza preconcetta. A volte l’incontro non porta a nulla. Altre il risultato è una grande scoperta”. Tra le collaborazioni più fruttuose Colodiet cita quella con Gaetano Pesce, negli anni ’90, e più di recente quelle con artisti emergenti con Veronika Sedlmair e Brynjar Sigurðarson. Quando gli chiediamo quale sia la più grande sfida affrontata dall’istituzione Colodiet ci parla della costruzione di un luogo permanente e pubblico per conservare la collezione e l’archivio della struttura. Gli artisti che passano di lì spesso lasciano un’opera d’arte come segno di gratitudine. La collezione, purtroppo, non è ancora visibile come dovrebbe essere.

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Exhibition view of “Evariste Richer, Le Grand Tout” at the Chapelle of the Centre de la Vieille Charité, 2021 Coproduction Cirva–Musées de Marseille, in collaboration with the OSU Institut Pythéas (AMU, CNRS, IRD). Photo © Cirva / David Giancatarina

Henraux

L’uso del marmo bianco risale agli albori dell’arte. Le cave delle Alpi Apuane sono forse un po’ più recenti, ma sicuramente non meno dell’antica Roma e del Rinascimento. Anche se ufficialmente Henraux è stata fondata nel 1821 da un commissario napoleonico, la storia delle cave e della manifattura di Seravezza (che oggi ha 150 dipendenti) inizia con Michelangelo e il suo noto spirito imprenditoriale. L’artista avrebbe scoperto i marmi nelle montagne vicine e poi fatto un accordo con la comunità locale per sfruttare il materiale. Si dice che l’accordo fosse così ingiusto che l’artista dovette fuggire da Serravezza per non cadere nelle mani di una folla infuriata. Aneddoti a parte, Henraux è cresciuta fino a diventare un’azienda leader, una delle poche ad abbracciare l’intera filiera produttiva, dalla cava all’opera conclusa.

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Henry Moore visiting Henraux quarries.

Sebbene Henraux oggi lavori con i maggiori studi di architettura e design, è la collaborazione con gli artisti ad aver segnato la sua storia. Importanti scultori modernisti come Henry Moore e Hans Arp sono stati amici fedeli dell’azienda, che oggi sostiene anche l’arte contemporanea attraverso un premio internazionale e la Fondazione Henraux. Creata nel 2011 dall’attuale presidente Paolo Carli, l’istituzione si occupa di preservare l’uso artistico di questo materiale secolare e la sua competenza. Il curatore milanese Edoardo Bonaspetti è attualmente il direttore artistico della fondazione, che ha presentato o presenterà presto nuove opere di artisti internazionali come Jenny Holzer, Neïl Beloufa e David Horvitz.

Kunstgiesserei St. Gallen

Fondata da Felix Lehner a metà degli anni ’80 a San Gallo, in Svizzera, Kunstgiesserei St. Gallen è nata come una piccola fonderia d’arte per le produzioni scultoree degli artisti svizzeri. Lehner ci racconta del suo apprendistato, in una fonderia d’arte, iniziato quando aveva appena 13 anni. Poi ha lavorato in una libreria “non tanto per diventare un libraio – dice -, quanto per l’opportunità di imparare l’arte dai libri a mia disposizione”. Tra le pietre miliari della ditta Lehner cita la scoperta e la prima collaborazione con l’artista zurighese Hans Josephsohn, così come le molte produzioni eseguite per artisti come Fischli & Weiss e Urs Fischer, dopo la fine degli anni 90, produzioni che hanno segnato anche l’apertura di Kunstgiesserei alla scena artistica internazionale.

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Production of Camille Henrot’s sculptures “End of me” (2021) and “Iron deficiency” (2021) for the Liverpool Biennial at Kunstgiesserei St. Gallen. Courtesy: the artist and Kunstgiesserei St. Gallen.

Attualmente Kunstgiesserei St. Gallen impiega circa 60 persone, equamente divise tra uomini e donne. L’azienda opera anche in Cina e si concentra sulle molte tecniche di lavorazione del metallo, così come sul vetro, sulla ceramica, sul trattamento della pietra artificiale. La strategia di crescita adottata da Lehner è particolarmente interessante: “Abbiamo ascoltato i desideri degli artisti, per aggiungere più tecniche e materiali alle nostre specializzazioni. Ora siamo anche in grado di combinare le tecniche tradizionali con tecniche del tutto contemporanee, come la fresatura di materiali sintetici e la stampa 3D. Tutto è fatto in casa”. Tra i progetti più importanti di Kunstgiesserei St. Gallen, Lehner cita la produzione dell’Hahn/Cock blu di Katharina Fritsch, che oggi si trova a Trafalgar Square, e la fondazione, accanto alla fonderia, di Sitterwerk, una biblioteca e un archivio destinati alla ricerca artistica. Anche qui oggi cresce il rapporto con la Cina, soprattutto attraverso artisti con artisti come Xu Zhen e Zeng Fanzhi.

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Production of “Love or Generosity” by Nicole Eisenman (2020) at Kunstgiesserei St. Gallen. The sculpture is made of bronze (body), hammered stainless steel (pants), artificial stone / cement cast (shoes). Courtesy: the artist and Kunstgiesserei St. Gallen. Photo: Katalin Deér.

Bonack

Bonack muove i primi passi a Berlino nel 1997, fabbricando cornici. Oggi offre servizi anche per mostre e grandi installazioni. Il fondatore, Hans-Jürgen Bonack, ha capito rapidamente le sfide creative che la produzione di cornici per opere contemporanee poneva. Ci ha raccontato di come inizialmente l’approccio alla cornice fosse trascurato rispetto, per esempio, alle cornici da lui eseguite per la mostra degli studi sul colore di Josef Albers, esposti tra il 2010 e il 2012 nei musei di tutto il mondo. Nel corso degli anni Bonack ha lavorato per artisti come Thomas Demand, Wolfgang Tillmans, Olafur Eliasson o Renata Lucas.

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Thomas Demand, Black Label III, 2008, Inkjet print on mounted canvas, 365 x 190 cm. Exhibition view: Thomas Demand, House of Card, Museum M, Leuven, 2020. Courtesy the artist. © VG Bild-Kunst, Bonn, 2021. Photo © Dirk Pauwels.

Quando gli si chiede dei suoi lavori più impegnativi, Hans-Jürgen Bonack menziona i tre pezzi che Black Label ha realizzato per Thomas Demand. Si trattava di foto eccezionalmente grandi che estendevano i limiti di ciò che poteva essere montato su tela. Ricorda anche il lavoro con Ai Weiwei per l’opera Illumination: “Era necessario sviluppare una struttura dietro i mattoncini Lego che garantisse anche che l’opera potesse essere appesa a una parete. Inoltre, la struttura doveva essere divisibile in quattro parti, per consentirne la spedizione e il rapido montaggio, con un sistema ad hoc”.

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Production shot: backside of Ai Weiwei’s Illumination. Courtesy: Bonack.

Berengo Studio

Adriano Berengo ha fondato l’azienda vetraria che porta il suo nome nel 1989 a Murano, in Italia, seguendo il modello della “Fucina degli Angeli” di Egidio Costantini, un vetraio che negli anni ’50 e ’60, grazie al patrocinio di Peggy Guggenheim, riuscì a lavorare con le star internazionali dell’arte. Allo stesso modo, la motivazione che ha spinto Berengo a fondare il suo studio è stata quella di attirare gli artisti più acclamati. Tra gli altri, Adriano Berengo ha collaborato con maestri contemporanei come Laure Provost, Tony Cragg, Thomas Schütte, Jimmie Durham.

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Jimmie Durham, Strike Twice, 2019. Photo credit: Francesco Allegretto. Courtesy: the artist and Berengo Studio.

Berengo ci ha detto che le sfide più grandi di oggi hanno a che fare con la pandemia e le relative restrizioni. Dice: “Anche se le conversazioni possono avvenire online, gli artisti hanno bisogno di vivere in prima persona l’esperienza della bottega, con l’odore e il calore delle fornaci. Hanno bisogno di essere fisicamente lì, per spingere i maestri verso la direzione desiderata, diventando complici e imparando un linguaggio comune”. Tra le sue numerose collaborazioni, Berengo è particolarmente orgoglioso del recente lavoro di Ai Weiwei per le Terme di Diocleziano a Roma, a suo dire una delle realizzazioni più impegnative a cui ha avuto il privilegio di lavorare. Come progetto accessorio, lo Studio Berengo sponsorizza anche una mostra ricorrente delle sue produzioni, intitolata Glasstress, che si tiene a Venezia durante la biennale d’arte e in tutto il mondo – recentemente la mostra è stata a Boca Raton (Florida) e al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.

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Ai Weiwei and Adriano Berengo in Murano. Photo credit: Karolina Sobel. Courtesy: the artist and Berengo Studio.
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Ai Weiwei, detail of chandelier, work in progress. Photo credit: Francesco Allegretto. Courtesy: the artist and Berengo Studio.

Menzione speciale: gli stampatori

Quando si parla di fabbricanti d’arte (e materiali), si dovrebbe menzionare anche la carta. Nonostante ci si trovi tutti nell’era digitale, i cataloghi e i libri d’arte funzionano ancora come infrastruttura informativa comune. Inoltre, per alcuni artisti come Richard Tuttle o Etel Adnan, i libri e la materia stampata sono anche il medium d’elezione. La stampa fine richiede abilità tecniche proprio come la soffiatura del vetro, la fusione del bronzo o l’intaglio del marmo. Molti piccoli produttori sono impegnati a realizzare visioni artistiche su carta, spesso sfruttando vecchie tecniche. Per esempio, possiamo menzionare il Centre de la Gravure a La Louvière (BE) e Luciano Ragozzino a Milano (IT) in ragione delle loro collaborazioni eccellenti, specialmente quando si tratta di libri d’artista. Allo stesso tempo, ci sono alcune grandi tipografie industriali che ancora tengono d’occhio la qualità, soprattutto per la loro produzione di cataloghi, libri d’arte e fotografici. Questo è il caso di Musumeci a Quart (IT), DZA ad Altenburg (DE) e Wilco ad Amersfoort (NL).

February 26, 2021