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Marina Xenofontos, la fluidità è un crisma

Stefano Pirovano

I circuiti poetici di Marina Xenofontos implicano parole, immagini e forme indipendenti, che la fluidità trasforma in discorso

Leggete con attenzione le didascalie con cui Marina Xenofontos (nata a Limassol, Cipro, nel 1988) identifica le proprie opere perché questo è senz’altro il punto da cui partire per intenderne la poetica. Prima viene il titolo, che dice innanzitutto cos’è l’opera, ossia stabilisce il sentimento, l’oggetto, o il concetto di cui questa è metafora. Per esempio, il dinosauro meccanico presentato la scorsa primavera a The Island Club – spazio espositivo fondato da Christodoulos Panayiotou, che insieme a Haris Epaminonda e Maria Loizidou è una delle personalità chiave dell’arte contemporanea cipriota dei nostri giorni – è la “copia di un sogno” (Copy of a dream). L’oggetto proviene da un parco tematico creato ai tempi di Jurassic Park e poi abbandonato. L’artista l’ha recuperato per poi modificarlo. Nella stessa mostra, il lungo cilindro di rame dalle estremità ossidate è un “arcobaleno” (Rainbow). La testa lignea poggiata sulla sedia di plastica sono ‘figli di muratori, nipoti di minatori” (Children of builders, children of miners). Allo stesso modo, il narciso curvo sul tavolo specchiante presentato alla fine dello scorso anno nella prima personale dell’artista ad Hot Wheels Athens rappresenta ‘due volte in un momento” (Twice upon a while), mentre la lastra di bronzo che gli sta appesa di fronte è la “teoria degli insiemi” (Set theory). Si tratta di titoli tirannici. Il meccanismo poetico si mostra per quel che è. Poi viene la descrizione dei materiali, che è diligente, precisa, essenziale, dunque formalmente ineccepibile, ma nonostante ciò intesa per spingersi, all’occorrenza, quel tanto più il là che serve a rendere la didascalia stessa un sussurro segretamente confidenziale.

Marina Xenofontos
Marina Xenofontos, Copy of a dream, 2020, modified object, 240 x 120 x 91 cm, courtesy of the artists.
Marina Xenofontos
Marina Xenofontos, Rainbow, 2020, rainbow, copper, steel, motor, power, 180 x 38 x 32 cm, courtesy of the artist.
Marina Xenofontos
Marina Xenofontos, Children of builders, grandchild of miners, 2020, MDF wood, rejected monobloc chair, 86 x 40 x 40 cm, courtesy of the artist.

Così il dinosauro meccanico di cui abbiamo parlato poc’anzi è semplicemente un “oggetto modificato” (Modified object). La testa antropomorfa è di MDF, ma il suo supporto, tutt’altro che improvvisato nonostante possa apparire tale, è una “sedia monoblocco di scarto” (Rejected monobloc chair) – ossia una precisa tipologia di sedia. L’arcobaleno è bronzo, ferro, motore, ma anche energia (power), e dunque movimento, in assenza della quale l’arcobaleno probabilmente non esisterebbe. A questo punto la traiettoria dovrebbe esser chiara. In questo momento il lavoro di Marina Xenofontos è un’affermazione poetica di carattere testuale, composta di oggetti fisici, ma anche di parole. Si legge come si leggerebbe un componimento multidimensionale, ovvero disponendosi ad accogliere i momenti di cui si compone come immagini, situazioni, frammenti di un immaginario più ampio e strutturato. È dunque un’opera che appartiene nel medesimo ampio insieme in cui includeremmo autrici ‘off media’ come Raphaela Vogel (qui il link al nostro scritto su di lei) o Laure Prouvost, oppure un’altra giovane promessa come Hanna-Maria Hammari (qui il link al nostro scritto sull’artista).

Marina Xenofontos, Twice Upon a While, 2020, MDF, wood, metal, mirror, 154 x 140 x 206 cm. On the wall: Set Theory, 2020, bronze, ash, sand, 64 x 56 cm, courtesy of the artist.

Tra il 2017 e il 2018 è stata in residenza alla Rijksakademie. Prima aveva studiato scultura, al Goldsmith (Londra) e poi al Bard College (New York). Ma non ha un medium o materiali d’elezione. Piuttosto, come già Nicolas Schöffer o Spencer Finch, è interessata a luce e movimento. Se il primo è ben interpretato dal dinosauro meccanico – com’è difficile sfuggirgli! – la seconda si rivela in “Data storage of a true spectrum”, altra componente della prima personale di Marina Xenofontos da Hot Wheels Athens. I frammenti di Compact Disc (Phillips) applicati al rullo mobile proiettano quella “luce solare diretta” (Direct sunlight) che la didascalia dell’opera attesta essere componente dell’opera stessa.

Marina Xenofontos, Data Storage of a True Spectrum, 2020, Phillips CDs, electrical motor, metal, direct sunlight, 50 x 41 x 52 cm, courtesy of the artist.

Dicevamo dell’importanza della parola scritta. All’inizio del suo percorso Marina Xenofontos si è dedicata alla scrittura e alla pratica curatoriale – due interessi poi confluiti in un collettivo artistico chiamato Neoterismoi Toumazou che è tutt’ora attivo e con il quale l’artista stata parte del Padiglione di Cipro alla Biennale di Venezia del 2017. La parola torna nei testi che introducono i suoi progetti, testi spesso tesi a creare una specifica tensione poetica, piuttosto che a offrire notizie sulle opere. Nel caso della mostra a The Island Club, per esempio, il testo è un collage di frammenti disarticolati estratti dal diario dell’artista. In modo simile, la personale da Hot Wheels Athens muove da un breve testo poetico che, a titolo esemplificativo, riportiamo qui sotto:

We are caught in frameworks: webs, relationships and Venn diagrams that never quite meet. System Failure. Relics created through friction and fiction; second-hand, mediated and shared memory snowball into reality. Collectively, the gestures in But we’ve met before are grasping, probing, searching. Layers displaced, decoded in material and technique. Personal narratives, social stories, and historical events, fuse in their head as they melt into the mirror. Darkness envelopes them, sentences and sounds surface from the void- it’s own portable cosmos. Gagarin soars, escapes from a prism of iron madness. Lost symbols, lost histories, lost time. A holler jolts them out of it: cries of monotony, thoughts and actions being erased.

Parallels untwine, as if 1-1-4 never existed. I, you he, she lays still, wait, hang on, second 

chance now.

We lay still, on broken glass and asphalt. x Aris, Marina, Hugo, and Julia.

Marina Xenofontos, Twice Upon a While, 2020, MDF, wood, metal, mirror, 154 x 140 x 206 cm. On the wall: Set Theory, 2020, bronze, ash, sand, 64 x 56 cm, courtesy of the artist.

Narciso chino sul tavolo specchiante è in realtà un avatar, che nasce come personaggio per un ipotetico videogame – al quale l’artista sta lavorando, mentre si trova a Parigi, in residenza presso la Fondation Fiminco. Nella sua dimensione digitale Narciso è colpito da una “crisi ideologica”, si dimentica facilmente le cose, non è in grado di completare i compiti che gli vengono dati. Nella sua versione fisica, lo troviamo perciò abbandonato sul proprio tavolo di lavoro, rivolto verso il Politecnico di Atene, centro delle rivolte studentesche contro la Giunta militare iniziate il 14 novembre 1973 e poi rievocate dagli studenti nel 2011, in una fase delicata della crisi finanziaria iniziata nel 2009. “Quando mi trovo a sviluppare una mostra – dice Marina Xenofontos – in genere gli elementi che decido di esporre non sono necessariamente connessi tra loro dal punto di vista formale, e ognuno ha i propri riferimenti, che spesso sono di carattere storico. Ma i lavori nel loro insieme attivano una sorta di circuito poetico. Cerco di creare fluidità”.


Nota: le opere di Marina Xenophontos sono attualmente esposte nella collettiva “Anti-Structure”, curata da Andreas Melas alla Deste Foundation di Atene e in “School of Waters”, Mediterranea 19 Young Artists Biennale, San Marino. In ottobre l’artista farà anche parte di “I GOT UP”, mostra collettiva alla galleria gb agency, e parteciperà a Paris International, presentata da Hot Wheels Athens.

October 14, 2021