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CONCEPTUAL FINE ARTS

Capelli, hair styling, extension dal medioevo a Botticelli

Silvia Tomasi

Al colore dei capelli si attribuiva un significato morale. All’acconciatura un messaggio di seduzione o tradimento. E ogni chioma divenne una storia

Complice il cinema e un celebre romanzo di Anita Loos, Gli uomini preferiscono le bionde, il Novecento è stato il secolo delle platinate, culminato nel mito di Marilyn; ma i colori delle chiome associati a criteri estetici e morali hanno una lunga storia nel costume, nella letteratura e nell’iconografia pittorica attraverso i secoli. “Bruna tu sei ma bella“, pronuncia il Tasso in una sua Rima d’amore, giustificando il fatto che la dama, pur di capelli scuri, è bella, ma delle rosse occorre diffidare. Salomè esibisce con spudoratezza i suoi lunghissimi capelli diabolicamente rossi sciolti, da tarantolata, negli affreschi realizzati intorno al 1200 in San Giovanni a Müstair, nel Canton Grigioni, di contro a quelli velati e raccolti della madre Erodiade. Nelle capriole della danza i capelli penzolano sciolti, rimanendo diabolicamente incollati al collo. Contrapposto al rosso, colore demoniaco, il capello biondo rappresentava nel Medioevo la purezza, l’elevazione spirituale e paradisiaca dell’amore.

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“Herod’s feast and the head of St. John the Baptist”, late Romanesque fresco – 1200ca, Abbey of. San Giovanni, Müstair, Canton of Grisons, Switzerland.

Erano i capi d’oro a l’aura sparsi…”: con il suo ritmo cantato e incantato Petrarca tratteggia la figura sognata dell’amata Laura; sono i suoi capelli dorati, allacciati e slacciati dal vento, a trasfigurarla in una figura angelicata; un lungo capello biondo è quello che re Marco affida a Tristano per rintracciarne la proprietaria che diventerà la sua futura sposa, Isotta detta la Bionda: “imperciò si chiamava Isaotta la bionda ch’avea i suoi capegli sí biondi che non pariano se non oro finissimo”. Chrétien de Troyes in Erec e Enide, datato 1170, narra della bella Enide giunta poveramente vestita alla corte di re Artù e affidata alla regina Ginevra, le cui damigelle “le hanno intrecciato un filo d’oro tra i capelli, ma essi superavano in splendore persino quel metallo tra i più puri”. Inevitabilmente bionda era Ginevra, i suoi capelli rimasti impigliati nel pettine tanto splendevano che “l’oro purificato centomila volte e altrettante raffinato al fuoco, apparirebbe più oscuro della notte in confronto con il più bel giorno d’estate di questo intero anno, se quell’oro e quei capelli venissero guardati uno accanto agli altri”. Era il colore dei capelli a decretare, anzi anticipare un giudizio, in genere positivo per i biondi e negativo per i rossi e i bruni. Il castano era troppo normale per interessare veramente. Ecco perché tutto questo biondo delle dame e damigelle dava alla testa ai cavalieri e ai poeti cortesi che ne intessevano lodi e intrecciavano amori.

Bartolomeo Veneto
Bartolomeo Veneto, “Lucrezia”, 1520, tempera and oil on poplar wood,Städelsches Kunstinstitut und Städtische Galerie, Frankfurt, Germany.

Évrard d’Espinques, miniaturista attivo nella seconda metà del Quattrocento, raffigura nel Roman de Tristan il viaggio di Isotta verso la Cornovaglia, dove l’attende il suo futuro sposo Re Marco. È il momento clou dell’innamoramento. Il leggero “vasel”, la snella barca, fende un mare di onde pungenti e il pungolo d’amore trapana Tristano che tradisce il proprio re e così cede all’intensità di una notte d’amore con Isotta. Poi la melanconica tristezza avvolge Tristano, nomen omen, diventa la psicopatologia della sua vita quotidiana, perché Tristano ha conosciuto la felicità vera, che dopo quell’apice non sarà più raggiungibile. Il suo in realtà non è tradimento verso il suo re, ma elevazione; lo si comprenderà in seguito, quando il Cavaliere si ritroverà con Isotta e nuovamente i due amanti giaceranno insieme, ma sorpresi da re Marco, con stupore il sovrano scoprirà che fra i corpi nudi dei due amanti è posta una spada affilata, confine invalicabile.

Il miniaturista raffigura un’Isotta secondo tutti i canoni di bellezza dell’epoca. Fronte e sopracciglia rasate. La depilazione medievale era assai pericolosa, effettuata com’era con calce viva e solfuro d’arsenico, che serviva a dare alla fronte un aspetto gonfio e ampio. Gli scrub per ottenere una pelle liscissima erano realizzati con pezzi di legno e vetro, poi strofinii di cipolla per togliere le imperfezioni dovute ai foruncoli, e urina di bambino per pulire i denti. I capelli dovevano essere chiarissimi e venivano decolorati o si usavano capelli posticci, extension nate dalle sforbiciatura ai crini di paggetti biondi. Dall’epoca feudale i capelli, prima sempre ricoverati sotto cuffie, potevano essere sciolti, raccolti in alto in un copricapo a cono o in tiare e corone. Qui l’oro della corona riluce nell’oro dei capelli di Isotta. Tutta questa procedura estetica femminile produceva bordate di effetti d’amore nei versi dei poeti trobadorici: dei fedeli d’amore di cui si sussurra facesse parte anche Dante, tormentati dal furor d’amor poetico, ma tutto questo sentimento fuori dai canoni matrimoniali aveva i suoi fermissimi comandamenti.

In un nodo d’amore si flettono, si intrecciano Isotta e Tristano, avvolti nell’aura chiara e dorata della passione in una miniatura del XIV secolo. I due volti accostati creano il disegno dell’infinito, quello di una passione d’amore triste e totale; un convolvolo di campanule rosse, larghe come un cuore grande si intreccia con un fusto volubile, ma attenzione: un ramo è tranciato alla base. Nella riscrittura dei testi medievali relativi alla leggenda di Tristano e Isotta fatta da Joseph Bédier nel 1900 si narra che dalle tombe dei due amanti sepolti vicini nascessero due piante che intrecciavano continuamente i loro rami; e ogni volta che si tranciava il fusto che usciva dal sepolcro di Tristano, subito ne rispuntava uno nuovo che nuovamente si allacciava, in un rinnovarsi del tragico amore eterno. D’altra parte è noto: l’amore senza traversie non fa nascere il “romanzo”.

Fra Angelico
Fra Angelico, “Annunciation”, tempera on wood, 1425-1428, Museo del Prado- Madrid.

Il dardo di Cupido sfreccia nel cuore di Petrarca. Il poeta viene sorpreso dal bendato dio dell’Amore alle fonti del Sorga, il fiume dalle “chiare, fresche et dolci acque/ ove le belle membra/pose colei che sola a me par donna”. In questa miniatura di autore anonimo, inserita in una edizione del Canzoniere petrarchesco del XV secolo, il poeta sofferente per la freccia d’amore è inginocchiato davanti a Laura, che come Isotta è una donna sposata; l’amore di Petrarca verso di lei sarà contrasto spirituale, pena, sbigottimento e totalità. La biondissima chioma dell’amata è sciolta, legata in un semplice laccio sulla nuca. Tutto riluce in Laura. La bianca veste di broccato fiorita d’oro si rinfrange nel flavo dei capelli, e anche le lievi trame arboree sullo sfondo di tenerissimo verde, secondo un delicato decorativismo gotico, diffondono puro chiarore. Laura sta incoronando Petrarca “poeta laureato”; è l’8 aprile 1341 ed è la prima incoronazione poetica con ghirlanda d’alloro secondo una tradizione riemersa dalla cultura romana. D’altra parte il nome stesso di Laura emblematicamente rimanda a lauro, cioè all’alloro. Questa pianta e la corona sono al centro della miniatura, quasi a dividerla in un dittico, come avviene nelle Annunciazioni di Beato Angelico, dove una colonnina separa l’angelo Gabriele dalla Madonna, non più in un paesaggio idealizzato, ma in una perfetta architettura classica, che apre alla nascita della prospettiva.

[Qui il nostro approfondimento sulla prospettiva come metafora nel Rinascimento, ndr.]

La luce, il chiaro e l’oro: tutto nell’Annunciazione del Prado di Beato Angelico è palpito di luce. La colomba-freccia di Dio si inoltra nel seno di Maria. Lo sguardo malinconico di un presago dolore, le trecce bionde dal colore più caldo e intenso dell’aureola in oro punzonato, tutto è avvolto in una luce che dà significato e unifica. I boccoli d’oro dell’arcangelo Gabriele sono arrotondati attorno alla sua nuca appena indorata, quasi fosse una tonsura divina. Il pavimento di marmi colorati fra oro e azzurro, ottenuto quasi a macchie informali, fa da riverbero alla luce sprigionata da Maria e l’Arcangelo. La capigliatura intrecciata di Maria nella Annunciazione di Cortona del 1433-1434 è dell’intenso colore del grano maturo. Il sentimento che suscitano queste Annunciazioni è lo stupore; tutto questo biondo-oro-luce lascia attoniti, (dal latino ad-tonare, tuonare), come scossi dal tuono, perché la bionda bellezza cristiana è in sé tutt’altro che pacificante e serena.

Tutto il simbolismo medievale procede dall’alto verso il basso, l’amore verso la donna non è la fedeltà ai corpi ma a un Ente superiore. Umiltà, lealtà, rispetto e fedeltà si ritrovano in Dante e i versi per Beatrice saranno tanto appassionati quanto più Beatrice si innalzerà in una gerarchia di astrazioni mistiche, raffigurando prima la filosofia, poi la Scienza e infine la Teologia. Dante però non riferisce mai il colore delle ciocche di Beatrice, che viene rievocata sempre velata; si potrebbe proprio supporre che non fosse bionda; ma le miniature raffigurano la musa e guida celeste di Dante come una creatura bionda, secondo i canoni stilnovistici e angelici . Si vedono le sue chiome dorate nella miniatura del XIV secolo che si trova nella biblioteca Marciana di Venezia e il fedele Dante, rapito nella contemplazione di quell’oro, innalza il proprio spirito verso quell’”amor che move il sole e l’altre stelle” . (Paradiso XXXIII,v.145). D’altra parte al tempo del sommo poeta la varietà cromatica della capigliatura individuava differenze importanti, previste dallo stesso volere divino, come spiega a Dante nel Paradiso San Bernardo, che gli chiarisce il motivo della maggiore e minore lucentezza delle aureole, dovuta al diverso colore di capelli assegnato da Dio al momento della nascita.

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Sandro Botticelli, “Birth of Venus” (detail), ca. 1485, 172.5 × 278.5 cm, tempera on canvas, Uffizi Gallery, Florence, Italy

Maestro di biondi capelli mossi dal un dolce vento è Sandro Botticelli. Zefiro spira un soave soffio nella Primavera e nella Nascita di Venere. Esemplare quest’ultima opera, dove la dea con grazia e pudore infiniti usa una ciocca delle lunghe chiome bionde per proteggere il pube. Ma si ritrova altrettanta raffinata leggiadria nella platinata Giuditta del Ritorno a Betulia del 1470 ca. Lei approfitta della voluttà di Oloferne, ammaliato dal suo corpo, per spiccare con spietatezza la testa del generale persiano di Nabucodonosor. Nell’opera di Botticelli, con aiuti di Filippino Lippi, Giuditta cammina leggera come una dea, analoga alla Venere botticelliana è l’ inclinazione del volto; ma qui c’è tutt’altro che pudore: Giuditta impugna da un lato lo spadone affilato, dall’altra il rametto di ulivo; la testa del nemico in un cesto è portata dall’ancella sul capo come fosse un’anfora d’acqua. “Biondità”, eros e sangue, ma la crudeltà di Giuditta è per punire “eresie” politiche e della carne. E poi, come si sa, era in missione per conto di Dio.

[Qui il nostro approfondimento sui ritratti di Botticelli, ndr.]

Sandro_Botticelli Simonetta Vespucci
Sandro Botticelli, “Portrait of a Young Woman” (possibly Simonetta Vespucci), ca. 1480, 82 × 54 cm, tempera on wood, Städel Museum, Frankfurt am Main, Germany

“Sino al XIV secolo prevalsero acconciature abbastanza semplici, con capelli avvolti o raccolti sul capo oppure ricadenti in trecce. Le chiome erano trattenute e ornate con fasce di stoffa, nastri, ghirlande, coroncine di metallo anche prezioso, fili di gioie e gioielli”, puntualizza Virtus Zallot nel suo Sulle teste del Medioevo, testo che raccoglie le citazioni poetiche sui capelli nella letteratura medioevale. La studiosa sottolinea come durante il Rinascimento siano intervenute delle leggi suntuarie per frenare la ricchezza di perle, pietre preziose utilizzate per agghindare i capelli, sontuosità permessa solo alle aristocratiche. Basti pensare alla sfarzosa acconciatura con nastri di pregio che infiocchettano le chiome raccolte ai lati di Battista Sforza, messa in dittico da Piero della Francesca con lo sposo, il Duca di Montefeltro. Come doveva essere à la page quella fronte esaltata dalla rasatura, e poi perle e gemme di cui Piero, alla pari dei fiamminghi, restituisce brillantezza grazie all’uso delle velature a olio.

Pollaiolo
Antonio del Pollaiolo and Piero del Pollaiolo, “Portrait of a young lady”, 1470–1475, mixed technique on wood, Poldi Pezzoli Museum, Milan

[Qui il nostro approfondimento su Gian Giacomo Poldi Pezzoli e il museo da lui fondato, ndr.]

Nel Ritratto di Giovane Dama di Antonio o Piero del Pollaiolo, del 1470 circa, icona del Museo Poldi Pezzoli di Milano e nel Ritratto di Giovane Donna del 1465 attribuito a Piero del Pollaiolo , le due nobili vengono presentate di profilo, silhouettemedaglistiche e proprio per questo motivo si esaltano le pettinature, non potendo apparire la sontuosità dell’abito intero. Velette, nastri, fasce, perle e soprattutto capelli così chiari da apparire decolorati sono stati acconciati sicuramente da un esperto “hairstylist” dell’epoca. Le fogge, gli abbellimenti diventano vari, ingombranti e talora bizzarri; l’artificio prevale sulla natura semplice della capigliatura. Tutto questo lavoro “capillare” nasce per esaltare l’attributo della femminilità. D’altra parte – come sottolinea con una punta di ironia lo storico dell’arte Daniel Arasse – se gli uomini possono vantare attributi virili, e si sa quali siano, non esiste un termine analogo a virile da tributare al femminile. Quindi sicuramente si può dire che i capelli sono gli attributi della femminilità. Non per nulla proprio una treccina di capelli era il dono per l’innamorato fino alle soglie del Novecento.

È per questa suggestione “capillare”, per il profumo di donna sprigionato dai capelli, che essi vengono puniti, martirizzati. A Foligno, nella Pinacoteca Civica, è presente un affresco strappato di Bartolomeo di Tommaso, dedicato al martirio di Santa Barbara, del 1432. È quasi una scena da fumetto, che ricorda il barbaro intercalare di Fred Flintstone: “Wilma, dammi la clava!”. Dal padre Dioscoro la santa viene strattonata per i lunghi capelli biondi, già emblema della sua santità cristiana, e proprio il padre-padrone sarà il carnefice della figlia, fino all’epilogo della decapitazione. Ancor più sorprendente è il Martirio di Sant’Agata di Giovanni e Battista Baschenis del 1488, custodito in una chiesetta della Val di Sole in Trentino. La scena del martirio la rappresenta la santa legata proprio con i suoi lunghi capelli biondi a una struttura a forma di croce, il volto già incorniciato dall’aureola color di luce come i lunghi crini, mentre due carnefici vestiti alla lanzichenecca le strappano i seni con le tenaglie.

Bartolomeo di Tommaso
Bartolomeo di Tommaso, “Martyrdom of Santa Barbara”, 1432, torn fresco, Foligno (Perugia), Civic Art Gallery.

Di certo i capelli biondi più famosi sono quelli di Maria Maddalena che li scioglie, li stende e ostenta per spargere charme. Se ne viene a conoscenza non tanto dai Vangeli, ma dalla Legenda aurea di Jacopo da Varazze, che parla dell’intera famiglia della Maddalena: Sirio ed Educaria sono i genitori, Marta è la sorella, che sgobba in cucina. Quando conosce Gesù, miracolo! Maddalena si pente della sua vita fru fru e diventa la sua più fedele seguace. Nel momento in cui il figlio di Dio poi le resuscita il fratello Lazzaro, Gesù si è meritato un pediluvio di lacrime e profumi e poi un’asciugatura eseguita con il più prezioso dei lini, quello delle sue lunghe chiome che da quel momento lei non ha più curato. Una leggenda tutta d’oro questa di Jacopo da Varazze, come puro oro sono i capelli della Maddalena che rubano la scena a Gesù nella Crocifissione di Masaccio del 1426. Lei è inginocchiata ai piedi di Cristo, le braccia aperte e tese al cielo nel gesto drammatico delle «prefiche», le donne della tradizione mediterranea che lanciavano lamenti durante le cerimonie funebri; i suoi scarmigliati capelli biondissimi sono più lustri del fondo-oro ed esaltati dal rosso acceso della veste. Secondo Longhi, Masaccio ha inserito la Maddalena in un momento successivo alla composizione delle altre figure della Crocifissione; la favorita di Gesù riesce a farsi spazio davanti a lui, da seduttrice convertita, da donna umana rispetto alla perfezione divina di Maria, l’Immacolata, chiusa nel suo dolore esemplare; i capelli fluenti di Maddalena, eredità di una vita dissoluta, diventano strumento del gesto di umiliazione e di elevazione con cui Maddalena inaugura la sua esistenza nuova.

Masaccio Crocifissione - 1426 Museo Nazionale Capodimonte -Napoli
Masaccio, “Crucifixion”, 1426 ca, tempera on panel, National Museum of Capodimonte, Naples, Italy.

È algida ed erotica la Maddalena penitente di Crivelli, che ne raffigura i chiari capelli splendidamente acconciati; sono chiome idealizzate e blasonate in una perfezione astratta, che dovrebbe rappresentare l’élite spirituale, ma che in realtà sono sfoggiate dall’élite terrena senza rimorsi. Maddalena porta in mano gli oggetti del suo pentimento: il vaso dei balsami profumati, dove secondo una bizzarra leggenda era conservato il cordone ombelicale del Cristo, e i gioielli che abbandonerà per iniziare la strada della redenzione. Dopo la morte del Cristo, Maddalena concluderà la vita da eremita. Sempre secondo la Legenda Aurea, dopo aver portato la Buona Novella ed evangelizzato la Provenza, non senza fare alcuni miracoli, la penitente vive gli ultimi trent’anni della sua vita ritirata in in una grotta chiamata della Sainte- Baume. Qui, nuda e in solitudine, rimane coperta soltanto dai capelli che crescono e crescono, lussureggianti e folti, più di quelli di Lady Godiva o della stessa Sant’Agnese, la protettrice delle chiome che, obbligata a uscire nuda per essere schernita nella sua fede, zac! in un lampo si copre di capelli fino ai piedi.

Crivelli
Carlo Crivelli, “Santa Maria Maddalena”, c. 1476, tempera and gold on wood,, Rijksmuseum, Amsterdam

Donatello nella scultura lignea della Maddalena Penitente (1453-1455) ce la mostra alla fine della vita, senza più alcun appeal, scheletrica, contrita, mortificata nella carne coperta da tutti i suoi capelli trascurati; Giotto invece nella Basilica Inferiore di Assisi, dove dipinge con allievi sette storie della vita di Maria Maddalena nella Cappella a lei intitolata, la raffigura ricoperta solo dei suoi sfacciati capelli di peccatrice, quasi per far ricordare le sue origini dissolute. Ma, ormai pienamente perdonata, si eleva pudicamente sensuale a pregare con gli angeli ben sette volte al giorno.

Tilman Riemenschneider nel 1482 scolpisce una Maddalena eremita, oltre ai capelli le crescono peli su peli. È una questione pelosa questa dell’irsutismo della Maddalena che si ricopre di un vero e proprio vello chiaro, da pecora umana. Si è in presenza di un suo esser diventata donna selvatica, ma come dice bene Leonardo, “Salvatico è colui che si salva”.

Bibliografia

Daniel Arasse, Non si vede niente, Einaudi, Torino 2013

Virtus Zallot, Sulle teste del Medioevo, Il Mulino , Bologna 2021

A.P. Macinante, Erano i capei d’oro a l’aura sparsi. Metamorfosi delle chiome femminili tra Petrarca e Tasso, Salerno Editrice, Roma 2011

Joseph Bédier, Il romanzo di Tristano e Isotta, Tea, Milano 1988

Chiara Frugoni, Vivere del Medievo, Il Mulino, Bologna 2017

October 26, 2021