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CONCEPTUAL FINE ARTS

Kim Farkas: considerazioni sulle vesciche

Stefano Pirovano

Kim Farkas persegue l’accordo del molteplice in unità, come concetto che porta a un piacere visivo (per la prima edizione di Paris+)

Nonostante Kim Farkas (nato a Parigi nel 1988) sia a ogni livello un’artista profondamente immerso nel suo presente, come abbiamo avuto modo di appurare conoscendolo, nella Critica del Giudizio di Immanuel Kant ci sono almeno due passaggi che dicono delle vesciche luminose di Farkas come meglio non sapremmo fare. Prendiamo perciò fiato e saltiamo indietro di oltre due secoli nella storia delle idee per osservare che: 

1) se l’accordo del molteplice in unità deve chiamarsi perfezione, lo si deve rappresentare mediante un concetto, altrimenti non si può parlare di perfezione; 

2) Un giudizio estetico è dunque quello il cui principio di determinazione si basa su una sensazione immediatamente connessa col sentimento del piacere e dispiacere.

Immanuel Kant, Critik der Urtheilskraft, Berlin und Libau: Lagarde und Friederich, 1790. First edition, courtesy of Rudi Thoemmes Rare Books, London.

Riguardo alla prima affermazione, ciò che si nota avendo avuto la fortuna di maneggiare le opere di Kim Farkas, oppure avendolo visto all’opera, è proprio la precisione con cui le ‘parti’ sono assemblate tra loro, fin nei minimi dettagli. In arte la perfezione del manufatto è spesso un indicatore negativo, che tuttavia può cambiare di segno nel momento in cui diventa essa stessa elemento espressivo, cioè diventa l’impronta di quelle idee chiare e distinte, per dirla con Kant, su cui anche i più sublimi ‘testi’ poetici si fondano. Sappiamo quanto Picasso, autore di opere a loro modo perfette, disprezzasse la precisione di Raffaello, ma non per questo Raffaello smette di essere un artista di valore assoluto, o Picasso non sia da ritenere un perfezionista. Tendono alla perfezione formale anche due maestri del presente come Olafur Eliasson e il suo allievo Thomas Saraceno – di quali Farkas di certo segue le ricerche sul valore plastico della luce. Se poi alziamo il tiro e guardiamo all’opera di Kim Farkas dal punto di vista concettuale, e dunque consideriamo come parti tutti gli elementi del discorso che nell’’opera convergono, ecco che non faremo fatica a riconoscere quel ‘accordo’ di cui parla Kant.

Kim Farkas 22-04, 2022 (detail), custom composites, LED bulb and fixture, stainless steel. Courtesy of courtesy of the artist and Downs & Ross, New York. Photo: Gregory Copitet.

Gli oggetti, prima scelti e poi annegati nella resina epossidica, sappiamo essere meditati brani di un discorso che insiste sulla tematica dell’identità e che promette perciò di rimanere ‘aperto’ all’evoluzione intellettuale dell’autore e del suo ambiente (come vedremo più nel dettaglio). Kim Farkas ha infatti radici Peranakan, termine che indica un comparto etnico sud asiatico dei più complessi e che perciò si è meritato un museo dedicato, a Singapore (qui). In questo senso si capisce come la distanza delle sue opere ‘perfette’ dal tipo di perfezione esecutiva tipica del prodotto industriale non potrebbe essere maggiore. E si capisce anche come l’accordo del molteplice nell’unità sia probabilmente anche quello che Kim Farkas intende, attraverso un processo concettuale appunto, rappresentare.

Kim Farkas 22-04, 2022, custom composites, LED bulb and fixture, stainless steel. Courtesy of courtesy of the artist and Downs & Ross, New York. Photo: Gregory Copitet.

Veniamo alla seconda affermazione. Di solito le vesciche di Farkas si accendono di luce elettrica, rivelando gli oggetti immersi nella resina (si tratta di oggetti reperiti nelle tante Chinatown del mondo oppure ‘stampati’ ex novo in 3d), che si anima così di riflessi scintillanti, Difficile in loro presenza non provare una sensazione di piacere visivo, soprattutto quando sono solo loro a illuminare l’ambiente. Come la candela sul tavolo, un faro nella notte, le stelle nel cielo lontano dalle città. Il problema è che da quando Kant ha scritto la sua Critica del Giudizio il giudizio estetico, vale a dire l’idea del bello artistico, si è evoluta. Il giudizio oscilla dunque tra piacere e dispiacere, ma non è detto che quest’ultimo determini un giudizio negativo. Anzi, abbiamo capito che spesso è proprio a partire dalla sensazione di dispiacere che gli artisti riescono a estendere il campo di ciò che è ritenuto bello – oggi pochi metterebbero in discussione Picasso per le medesime ragioni per cui era al suo tempo messo in discussione, e di conseguenza ritenuto un artista rivoluzionario. Nel caso di Kim Farkas la ricerca del piacevole è quindi tanto sfrontata quanto funzionale. A ciò che è bello subentra ciò che è espressivo, come le maschere tribali, i dipinti di Matisse, i quadri non-finiti e i mobili non-restaurati che hanno fatto la fortuna stilistica di un astuto mercante come Axel Vervoordt, giusto per fare qualche esempio.

Installation view, On Grist and Sunstroke, duo show with Justin Chance, Down & Ross at CFAlive Milan. Courtesy of the artist and Downs & Ross.

Come all’inizio del seicento in Europa faceva la pittura caravaggesca, Kim Farkas usa la luce per ‘rivelare’ (ciò che la vescica contiene). Come nel caso di Eliasson (o di Dan Flavin), la luce serve a costruire uno spazio simbolico che, come abbiamo detto poc’anzi, nel caso di Farkas ha i tratti distintivi di una cultura composita. E come nel caso delle opere dell’amico Naoki Sutter Shudo, con il quale Kim Farkas nel 2015 ha fondato la casa editrice Holoholo Books, l’oggetto scultoreo si fa narrazione, come fosse pittura estesa nella terza dimensione. Ma se nel caso di Sutter Shudo la luce è fino a ora stata solo un suggerimento (un lampione non si accende davvero), per Kim Farkas questa è pensata per accadere, portandosi con sé fili, interruttori, spine, lampadine, ovvero tutto ciò che serve perché l’opera si accenda. Come una lucciola, più che come una lanterna.

22-20, 2022, Custom composites, PETG, LED, electronics, H.248 X ø60cm). Courtesy of Downs & Ross and Paris+ par Art Basel.

In occasione della prima edizione di Paris+ par Art Basel, nell’ambito dei progetti ideati per il Jardin des Tuileries, Kim Farkas presenta il suo primo lavoro per esterno. La scultura si intitola 22-20, il che significa che questa è la sua ventiduesima opera del 2022. La scelta di intitolare le opere seguendo una numerazione sequenziale è un modo per sottolineare la logica di consequenzialità a cui i suoi lavori rispondono. Si tratta perciò di entità organiche che evolvono in un processo di adattamento bivalente. Da una parte, come abbiamo detto, esse mutano in relazione alla necessità poetica di cui sono espressione. Dall’altra si adattano all’ambiente, come in questo caso. La superficie scultorea perde così la sua trasparenza per farsi scura e riflettere ciò che le sta intorno, invece che lasciar intravedere ciò che racchiude. La luce non proietta le ombre degli oggetti ‘immersi’ nella vescica, ma traspare, per così dire, da un complesso armonico di masse muscolari. Ed è come se la scala di rappresentazione si invertisse, da piccola a grande, da un’entità cellulare a un corpo strutturato. Ecco l’accordo del molteplice in unità come concetto che porta a un piacere visivo.

October 17, 2022