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Art hotel: esperienza culturale cercasi

Stefano Pirovano

È il momento delle alternative (non solo alle fiere). Analizziamo gli art hotel. Ma come luoghi d’esperienza, più che di sola contemplazione.

La forzata assenza delle fiere d’arte combinata all’impossibilità di viaggiare liberamente e alle precauzioni imposte dalla pandemia potrebbe portare sempre più appassionati e addetti a cercare l’esperienza dell’arte oltre le vie e i modi tradizionali. Se come c’è motivo di credere questa sarà la tendenza, i luoghi in grado di offrire ospitalità, anche per un periodo di tempo prolungato, sembrano i più adatti a proporre qualcosa che va al di là del ‘vedere’ un’opera. Già, perché oltre che dall’ambiente in cui l’opera si mostra, l’esperienza di vederla è determinata dal contesto sociale, o micro sociale, in cui essa avviene. Un bicchiere della stessa bottiglia di Barolo ha un sapore piuttosto diverso se bevuto a La Morra, nelle Langhe, o in un ristorante di Beijing. E probabilmente il vino, come l’arte, cambia anche in base al momento e alle persone che sono con noi quando ne beviamo. Sulla scorta di quanto abbiamo scritto qualche tempo fa sul modello sperimentato a Villa Lena [qui link. Ndr], proviamo dunque a parlare di art hotel, per poi spingere la nostra analisi verso forme più ibride e potenzialmente innovative. A un certo punto il mondo dell’arte potrebbe voler ripartire da nuove premesse.

 

One Hotel, Kabul, Afghanistan, Courtesy Annemarie Sauzeau Boetti.

Tra gli hotel più memorabili c’è senz’altro quello aperto da Alighiero Boetti nel 1971 durante il suo soggiorno in Afghanistan, poi chiuso nel 1977 prima che i russi invadessero il paese. One Hotel, questo il nome dell’albergo, si trovava in quartiere residenziale di Kabul. Per sapere davvero come si stesse in questo luogo ormai diventato mitico bisognerebbe affidarsi alla memoria di Francesco Clemente, che in quel periodo fece visita all’amico Alighiero [qui il link allo studio che abbiamo dedicato a una sua opera di quel periodo, oggi parte della Collezione Maramotti. Ndr]. Oppure bisognerebbe tornare alla lunga ricerca svolta da un’altro artista, Mario Garcia Torres, poi sfociata in una mostra intitolata ‘La lezione di Boetti: alla ricerca del One Hotel, Kabul (museo Madre, Napoli, 2013). Del One Hotel quel che resta è, infatti, il racconto.

hotel furka
Marina Abramović and Ulay, Nightsea Crossing, Hotel Furkablick, Sept 22, 1984.

Lo stesso si potrebbe dire per il Furka Blick, sul passo Furka, in Svizzera, tra la valle del Rodano e quella del Reno. L’hotel è stato acquistato nel 1988 dal gallerista Marc Hostettler, che ne voleva fare un luogo d’arte contemporanea. Ma anche in questo caso il progetto non è durato a lungo, nonostante le eminenti personalità chiamate a intervenire sulla struttura, da Daniel Buren, a Panamarenko, a Rem Koolhaas. L’architetto e filosofo Gideon Boie ha fatto del Fulka Blick un’analisi che ci sentiamo di condividere, poi sfociata in un libro intitolato One day at the Fulka Zone (Koenig, 2019). Dal punto di vista economico il risultato potrà anche non essere stato quello atteso, e forse, come sottolinea Boie, bisognava dare più attenzione al ruolo di Panamarenko, che come Boetti a Kabul, aveva fatto della cosiddetta Dépendance del Fulka Blick una sorta di tempio personale. Ma la narrativa prodotta dalle vicende occorse in quegli anni – grazie anche all’interessamento del collezionista Alfred Richterich – è diventata parte indelebile dell’identità del luogo. Tanto che qualcuno, ovvero l’artista Thomas Rodriguez, continua a collezionarne i documenti (Furkart ephemera par Thomas Rodriguez, Capture Editions).

Clunie dining room, Fife Arms Hotel, Braemar. Courtesy of Fife Arms Hotel. Ph: Sim Canetty Clarke.

Più di recente, Iwan and Manuela Wirth hanno acquisito e ristrutturato il Fife Arms Hotel, in Scozia. Anche in questo caso purtroppo non possiamo parlare per esperienza diretta, ma due concetti espressi nel breve testo introduttivo presente sul sito dell’hotel ne chiariscono l’approccio. Ovvero, l’arte è considerata un aspetto ‘centrale dell’esperienza del Fife Arms Hotel’, tanto che le oltre 14.000 opere – antica e presente – sono state ‘attentamente integrate’ in ogni stanza, corridoio, angolo della struttura. Nella collezione del Five Arms hotel ovviamente non mancano opere legate alla storia locale, e opere invece composte ad hoc. Come il ciclo di dipinti con cui Guillermo Kuitca ha decorato la Clunei Dining Room, per esempio [si veda a questo proposito quanto abbiamo scritto suoi grandi cicli pittorici contemporanei, qui il link. Ndr]. Ma al di là del risultato estetico, ciò che ci preme sottolineare è che l’hotel è una struttura alberghiera a tutti gli effetti, attentamente pensata per essere tale. Mentre non possiamo scommettere che lo fosse l’albergo di Boetti, o che lo sia davvero mai stato il Furka Blick. Al Fife Arms Hotel, invece, l’arte deve inevitabilmente fare i conti con le imprescindibili ragioni del marketing, senza le quali la visione dei coniugi Wirth non sarebbe certo sostenibile.

Un discorso simile potrebbe valere anche per l’Hotel Castell di Zuoz, per il Byblios Hotel Villa Amistà di Verona, e per un altro hotel che sta pian piano creando una propria collezione, ovvero La Sirenuse di Positano, o il Grand Hotel Miramare di Santa Margherita Ligure. Questi alberghi hanno collezioni d’arte più o meno estese. Ma come il Five Arms Hotel, e a differenza di Villa Lena, che rimane un caso unico, questi art hotel sono innanzitutto albergi, senz’altro migliorati agli occhi di chi ama l’arte dalla presenza delle opere, ma non certo pensati in funzione delle opere, o per offrire un’esperienza davvero ‘altra’ rispetto a quella di un hotel tradizionale. L’esperienza artistica è la ciliegina su una torta che esisterebbe lo stesso – e non potrebbe essere altrimenti. Dopotutto nemmeno l’incantevole Giardino dei Tarocchi di Niki di Saint Phalle, che potrebbe essere la suite più costosa al mondo, è mai stato usato con questo scopo. Sì potrebbe abitare (all’interno delle sculture ci sono una camera da letto, un bagno, la cucina, la sala da pranzo). Invece, al contrario di un hotel, il Giardino si visita e basta. E lo stesso vale, più in generale, per i parchi di scultura [qui il link alla nostra lista dei migliori in Europa. Ndr], per molti dei quali non sarebbe un grande problema sfruttare le potenzialità ‘alberghiere’ del sito. Visitare un luogo – una galleria, un museo, o un parco di scultura – è un’esperienza di natura e di durata diversa rispetto al risiedere, ancorché temporaneamente, in un hotel.       

Eppure le esperienze ibride non sembrano mancare. Si pensi, per esempio, alla Galerie Zink a Waldkirchen, che a un certo punto ha pensato di trasferirsi in un piccolo villaggio bavarese, tra Monaco e Norimberga, e lì ridisegnare la propria attività focalizzandosi sulle tecniche artigianali – senza perciò voler uscire dal sistema dell’arte. La struttura ha al suo interno uno studio attrezzato, in modo che gli artisti qui possano risiedere e lavorare. E ha due appartamenti, arredati e provvisti di opere d’arte che cambiano ciclicamente, destinati all’accoglienza di ospiti e visitatori. Chi volesse trascorrere qualche tempo a Waldkirchen non avrebbe che da andare sul sito della galleria e prenotare il proprio soggiorno. E lo stesso dovrebbe fare se volesse soggiornare nel polo artistico creato da Hauser & Wirth a Somerset, non lontano dalle celebri terme di Bath [ne abbiamo parlato qui. Ndr]. Anche in questo caso si può prenotare il proprio appartamento (con sei posti letti), ovvero la Durslade Farmhouse. Wilfried Lentz sta costruendo qualcosa del genere a Brohl, un paesino rurale a un’ora d’auto da Bonn, in Germania. Il progetto sta ancora prendendo forma, ed è stato ispirato dalla necessità di offrire un luogo adeguato alla collezione d’arte del gallerista. Ma ci sarà senz’altro spazio per offrire ospitalità agli artisti, e in futuro, probabilmente, anche ai visitatori.

Galerie Zink Waldkirchen.

Dagli esempi che abbiamo fatto più temi oggi importanti emergono e si intrecciano tra loro – da quello della delocalizzazione dell’arte contemporanea a quello delle opere site specific. Ma tutti hanno un comune denominatore: l’esperienza che dell’arte si può avere al di là delle vie che hanno caratterizzato gli anni da cui veniamo – ovvero fiere, musei cittadini e gallerie – è forse più impegnativa, ma è anche decisamente più identitaria, soprattutto se la visita ha modo di trasformarsi in soggiorno prolungato, e se oltre al contesto fisico l’esperienza ne prevede uno anche uno sociale.

May 7, 2021